La qualificazione della definizione «primo rapporto» nel contratto a termine acausale ex lege n. 92/2012

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale n.3/2015

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TRIBUNALE DI MONZA, 9 ottobre 2014  – Est.  Capelli – M. L. T. (avv. Leonardo) c. Eurosfera s.r.l. (avv. Campolunghi).

Somministrazione di lavoro – Contratto a termine acausale ex art. 1, comma 1 bis, d.lgs. n. 368/2001 – Successione contratti con medesimo datore - Nullità clausola appositiva del termine – Qualificazione precedente rapporto lavorativo -  Conversione per mancanza di motivazione -  Insussistenza

Il precedente rapporto di somministrazione a termine non determina alcuna violazione dell’art. 1, comma 1 bis, d.lgs. n. 368/2001 (comma aggiunto dalla lettera b) del comma 9 dell’art. 1, legge 28 giugno 2012, n. 92) e, quindi, non comporta la conversione del rapporto a tempo indeterminato in quanto, anche se il lavoratore era già stato utilizzato dalla stessa azienda, tuttavia, formalmente era stato dipendente dell’Agenzia di somministrazione. Conseguentemente, tra lavoratore e utilizzatore non era mai intercorso un rapporto di lavoro subordinato e, pertanto, il datore di lavoro può legittimamente stipulare un contratto a termine acausale, trattandosi effettivamente del primo rapporto  a tempo determinato intercorso tra le parti (1). 

 La qualificazione della definizione “primo rapporto” nel contratto a termine acausale ex lege 92/2012.

- La sentenza che si commenta risulta di particolare rilevanza in quanto attiene ad una delle prime interpretazioni giurisprudenziali in relazione alla fattispecie del contratto a termine acausale a seguito della riforma attuata con la legge 28 giugno 2012, n. 92, “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita” (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.153 del 3/7/2012 - Suppl. Ordinario n. 136) che ha introdotto il comma 1 bis, all’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001.

Su tale tematica vi sono ad oggi pochi precedenti giurisprudenziali pubblicati (in tal senso cfr. Trib. Milano 9 maggio 2013, n. 1770, con nota di F. Iaquinta, Il Contratto a termine acausale: una prima applicazione concreta al vaglio della giurisprudenza di merito, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, I,  p. 21 ss., nonché si veda anche Trib. Roma del 21 gennaio 2015, n. 529, est. Palmieri, inedita) ma soprattutto, a quanto consta, nessuno sulla questione, sicuramente la più interessante della sentenza in esame, che riguarda la qualificazione della definizione “primo rapporto di lavoro a termine” contenuta nell’art. 1, comma 1 bis, del d.lgs. n. 368/2001 (aggiunto dalla legge 92/012) che, appunto, secondo l’ambigua espressione normativa, consente al datore di lavoro di stipulare, per una sola volta, un contratto a tempo determinato privo di causale e per la durata massima di un anno, non prorogabile.

2. - La decisione de qua trae spunto dalla vicenda di un lavoratore che aveva svolto la propria attività lavorativa presso una società, dapprima, dal 30 settembre 2011 al 30 settembre 2012, mediante quattro rapporti di lavoro somministrato alle dipendenze di un’Agenzia di somministrazione e, poi, alla scadenza dell’ultimo contratto (in data 1 ottobre 2012, e quindi senza soluzione di continuità), era stato assunto direttamente dalla società utilizzatrice mediante contratto di lavoro a tempo determinato stipulato ex 1, comma 1 bis, del D.lgs. 368/2001, sino al 30 settembre 2013. Il lavoratore poi, conclusosi l’intero rapporto, aveva ritualmente impugnato l’ultimo contratto adducendo l’illegittimità del termine apposto al medesimo, chiedendo la conversione del contratto a tempo indeterminato. A tal riguardo, il prestatore aveva dedotto che tra le parti era già intercorso un precedente rapporto lavorativo che non consentiva l’applicazione dell’ipotesi derogatoria della non specificazione della causale nel contratto, prevista dalla c.d. Riforma Fornero. Il giudice non accoglieva il ricorso stabilendo che il rapporto di lavoro somministrato a termine intercorso tra il lavoratore e l’Agenzia di somministrazione, benché si fosse svolto presso il medesimo datore, non poteva essere qualificato come precedente “rapporto di lavoro”, secondo la formulazione prevista dalla nuova previsione normativa introdotta dalla Riforma Fornero. A parere del Tribunale di Monza, occorre distinguere tra la fattispecie del contratto di somministrazione e quella del lavoro subordinato, quest’ultima l’unica che legittimerebbe la violazione della norma di cui all’art. 1, comma 1 bis del d.lgs. 368/2001. Orbene, secondo la prospettazione delineata dalla sentenza in esame, tale pregresso rapporto di somministrazione a termine non determinerebbe alcuna violazione del contratto a termine acausale introdotto dalla legge 92 del 2012 e, quindi, non comporta la conversione del rapporto a tempo indeterminato in quanto, anche se il lavoratore era già stato utilizzato dalla stessa azienda e con le medesime mansioni, tuttavia, formalmente era stato dipendente dell’Agenzia di somministrazione e non dell’utilizzatore (successivamente effettivo datore di lavoro). In base a tale assunto, il giudice sostiene che tra le parti in causa non era mai intercorso un rapporto di lavoro subordinato, con la conseguenza che il datore di lavoro poteva legittimamente stipulare un contratto a termine acausale, trattandosi effettivamente del “primo rapporto”  a tempo determinato intercorso tra le parti.

- Il punto nodale del ragionamento decisorio fin qui analizzato si basa esclusivamente sulla circostanza che nella somministrazione a termine il vero e proprio rapporto di lavoro intercorrerebbe solo tra il lavoratore e l’Agenzia, garantendo ciò all’utilizzatore, secondo la tesi della sentenza in commento, una sorta di “immunità” rispetto al successivo rapporto di lavoro a termine acausale instaurato direttamente con il medesimo. Sul punto, occorre evidenziare che l’assunto del Tribunale di Monza risulta contrario all’obiettivo perseguito dalla legge Fornero, il cui scopo è appunto quello di consentire tale tipologia contrattuale acausale al fine di agevolare la sperimentazione di un lavoratore. Aderire all’impostazione metodologica adottata dalla sentenza in commento, comporta il rischio di ottenere il risultato contrario rispetto a quello voluto dal legislatore, volto invece a favorire l’ingresso del lavoratore nel mondo del lavoro e a privilegiare l’instaurazione di rapporti di lavoro stabili, proprio per contrastare «l’uso improprio e strumentale degli elementi di flessibilità progressivamente introdotti nell’ordinamento con le tipologie contrattuali» (art. 1, c. 1, lettere a) e c), l. n. 92/2012).

Infatti, la ratio legis della tipologia del contratto a termine acausale voluta dalla legge Fornero è quella di evitare l’abuso non solo dei contratti a termine ma, soprattutto, delle varie tipologie di contratti flessibili, proprio al fine di scongiurare lo “sfruttamento” del prestatore mediante una vera e propria precarizzazione del rapporto sine die. In merito, appare pienamente condivisibile quanto affermato dalla dottrina secondo cui <> (V. Speziale, La riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012, n. 92, in WP CSDLE “Massimo d’Antona”. IT – 153/ 2012, p. 8).

Sul punto, a chiarimento della volontà del legislatore, vista l’innegabile ambiguità della definizione normativa “primo rapporto”, è intervenuta la Circolare del Ministero del lavoro n. 18 del 18 luglio 2012, peraltro utilizzata anche dal Tribunale di Monza a supporto del proprio ragionamento decisorio, che fa riferimento al rapporto di lavoro e non alla tipologia contrattuale utilizzata; tale regime contrattuale acausale in deroga al tipo ordinario, secondo quanto riportato nella summenzionata Circolare, è possibile ove si tratti di primo rapporto lavorativo tra le stesse parti con esclusione, pertanto, di ogni altra ipotesi in cui tra le medesime parti sia stato in precedenza stipulato un contratto di qualsiasi tipo. Nella citata Circolare, si legge, infatti che “...il c.d. causalone non è tuttavia richiesto “nell’ipotesi del primo rapporto a tempo determinato...(omissis) L’introduzione del primo contratto a tempo determinato “acausale” è infatti anche finalizzata ad una miglior verifica delle attitudini e capacità professionali del lavoratore in relazione all’inserimento nello specifico contesto lavorativo; pertanto non appare coerente con la ratio normativa estendere il regime semplificato in relazione a rapporti in qualche modo già “sperimentati”.

- In virtù di quanto sopra riportato, il ragionamento relativo alla precedente sperimentazione del lavoratore può essere applicato ad ogni tipo di relazione lavorativa effettuata con lo stesso datore di lavoro con cui si è intrattenuto un rapporto anteriore, ciò a prescindere dalla tipologia contrattuale utilizzata. In tal senso, si è espressa anche parte della dottrina che, seguendo proprio i chiarimenti forniti dalla sopra citata Circolare, sostiene che il lavoratore non è assumibile con contratto acausale neppure a seguito di forme contrattuali di lavoro non subordinato, <> (R. Voza, Il Lavoro a tempo determinato dopo la Riforma Fornero, in LG, 2012, fasc. 12, p. 1141 e ss.). Del medesimo orientamento anche altra dottrina secondo cui <<l’esenzione della causale non può applicarsi in ogni caso in cui tra le parti sia stata precedentemente instaurata una relazione lavorativa, anche tramite rapporti diversi dal contratto a tempo indeterminato>> (G. Falasca, La nuova disciplina del contratto a tempo determinato, in Riforma del Lavoro – Legge 28 giugno 2012 n. 92, I Supplementi di Guida del Lavoro, 3, p. 28, nonché, con analogo ragionamento, si veda anche S. Chiusolo, Il contratto di lavoro a termine, in Guida alla Riforma Fornero, I Quaderni di wikilabour, a cura di M. Fezzi e F. Scarpelli in www. Wikilabour.it, 2012, p. 15). In senso analogo, si segnala quanto affermato da altro autore a giudizio del quale le parole «primo rapporto» devono essere intese <> (in tal senso, V. Speziale, op. cit., p. 8). Di contrario avviso invece altra dottrina a cui parere il contratto a termine non richiede alcuna giustificazione e <> se il precedente rapporto tra le medesime parti <>, includendo poi in tale ipotesi derogatoria anche ogni forma di lavoro autonomo e parasubordinata (A. Vallebona, La Riforma del Lavoro, Giapichelli, 2012, p. 19).

Alla luce di quanto fin qui esaminato, risulta evidente che lo scopo della norma acausale disciplinata dalla legge c.d. Fornero era quello di favorire l’ingresso in azienda di un nuovo lavoratore e non di assorbire quelli che già vi avessero prestato servizio. E’ chiaro che questo tipo di impostazione legislativa si pone come eccezione alla regola di derivazione comunitaria (ossia alla direttiva 1999/70/CE), secondo cui l’assunzione a tempo determinato deve essere giustificata da una ragione obiettiva e specifica, essendo il contratto di lavoro a tempo indeterminato la forma ordinaria di rapporto di lavoro (in tal senso R, Voza, op. cit., 1143). Tale assunto ha trovato conferma, nel tempo, negli orientamenti sia della dottrina che giurisprudenza tanto che il legislatore gli ha finalmente recepiti nel 2007, introducendo il comma 01 all’art. 1 del D.lgs. 368/01, nel quale si è espressamente stabilito che il “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.   

Conseguentemente, visto che la riforma Fornero non ha modificato la ratio della disciplina sul contratto a termine, tale nuova normativa deve essere necessariamente interpretata nel solco già delineato dalla quella antecedente, che appunto definisce il contratto a termine quale eccezione rispetto alla regola del contratto a tempo indeterminato. Appare del tutto evidente che le norme stabilite dalla legge n. 92 del 2012, relative all’acausalità del contratto a termine, non legittimano in alcun modo l’abuso di detta regola, ma permettono l’ipotesi derogatoria solo al fine di consentire la “sperimentazione” del prestatore di lavoro (come chiarito dalla Circolare n. 18 del 18 luglio 2012), per poi scegliere se convertire o meno il rapporto a tempo indeterminato. Il contratto acausale quindi, secondo quanto sostenuto da parte della dottrina, ha esclusivamente la funzione di favorire <<l’accesso ad una prima occupazione presso un determinato datore di lavoro, diventando un surrogato del patto di prova>>. (in tal senso V. Speziale, op. cit., p. 7).

- Essendo quello fin qui delineato il quadro normativo di riferimento, non è quindi condivisibile l’interpretazione della sentenza in esame, visto che nel caso di specie il lavoratore aveva precedentemente già lavorato per quello stesso datore di lavoro mediante un rapporto di lavoro somministrato, senza soluzione di continuità, peraltro svolgendo le medesime mansioni a cui era stato poi adibito durante il successivo contratto a termine acausale. Conseguentemente, il prestatore di lavoro era stato ampiamente “sperimentato” dal datore di lavoro quale utilizzatore (per di più sulle medesime mansioni) nella precedente somministrazione a termine. L’interpretazione del Tribunale di Monza è criticabile in quanto privilegia il dato formale e non quello sostanziale, prestando così il fianco a comportamenti in frode alla legge che legittimano nuove forme di precariato, con una grave lesione dei diritti del lavoratore. Sostenere infatti, come ha affermato il Tribunale di Monza, che tale pregresso rapporto di lavoro non determina l’illegittimità dell’apposizione del termine nel successivo contratto acausale in quanto si tratterebbe di “primo rapporto” tra le parti, è un’interpretazione eccessivamente rigorosa e formalisticamente orientata che non tiene in alcuna considerazione il dato sostanziale sotteso alla fattispecie giuridica esaminata. Sul punto, peraltro, era già intervenuta parte della dottrina affermando che tra la successione di rapporti che impongono di giustificare il termine rientra sicuramente quella tra lavoro a tempo determinato e somministrazione (e viceversa ovviamente) <>, poiché anche se muta il datore di lavoro tuttavia <>  (A. Vallebona, op. cit, p. 19).

In conclusione, sostenere che un rapporto di somministrazione a termine mediante il quale il lavoratore presta la propria attività direttamente in favore dell’utilizzatore non possa essere considerato quale precedente rapporto di lavoro con detto imprenditore, al fine della illegittimità del successivo rapporto a termine acausale instaurato tra le parti, appare francamente un vero e proprio paradosso giuridico, contrario alla spirito che ha ispirato la norma stessa.

La sentenza analizzata quindi non è condivisibile poiché non ha tenuto in alcuna considerazione la rilevante circostanza per cui il diritto del lavoro, al fine della effettiva tutela dei diritti dei lavoratori, è sempre stato volto alla ricerca della verità materiale, ove la realtà sostanziale prevale e deve prevalere sul dato formale, con il preciso obiettivo di perseguire ed evitare abusi.  

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