Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Con ordinanza del 16 gennaio 2019, n. 965, il Tribunale di Velletri, sezione Lavoro, in accoglimento del ricorso promosso da una lavoratrice nei confronti Manpower S.r.l., ha dichiarato la nullità del licenziamento intimatole per presunto giustificato motivo oggettivo, giacché connotato, in realtà, da natura discriminatoria; conseguentemente, il giudice ha condannato il datore di lavoro a reintegrare la ricorrente nel proprio posto di lavoro, nonché al pagamento integrale delle retribuzioni maturate medio tempore, dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegrazione, oltre al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
In particolare, il Tribunale ha rilevato che la società resistente, in qualità di impresa dedita all’attività di intermediazione di lavoro, ha disatteso la procedura prevista dall’art. 25 del CCNL di settore, il quale, all’esito delle singole missioni, impone al datore di lavoro di provvedere, attraverso tentativi concreti e realmente apprezzabili, di ricollocare il personale somministrato e reperire ulteriori opportunità di impiego dello stesso.
E infatti, la Manpower S.r.l. si era limitata, nel caso di specie, a svolgere un solo tentativo di ricollocamento della ricorrente, in quanto tale ritenuto insufficiente dal Tribunale anche alla stregua delle molteplici occasioni di impiego che, invero, risultavano esistenti e del tutto compatibili con il profilo professionale della lavoratrice.
Pertanto, il Tribunale ha ritenuto che il licenziamento intimato nei confronti della ricorrente, motivato in ragione dell’asserita insussistenza di missioni cui adibire la lavoratrice e della conseguente impossibilità di ricollocarla, fosse destituito di ogni fondamento e privo del presunto giustificato motivo oggettivo addotto dalla società a fondamento del recesso.
Tanto premesso, il giudice del lavoro ha affrontato il profilo discriminatorio del recesso, denunciato dalla lavoratrice assistita dallo studio legale Salvagni e, sul punto, ha affermato che lo stato di maternità della lavoratrice “costituisce elemento idoneo a far ritenere che la [ricorrente] non sia stata ricollocata perché donna in età fertile, con prole inferiore ad anni cinque, e che questo sia stato l’unico motivo di licenziamento”.
Pertanto, il giudice ha dichiarato la nullità del licenziamento, condannando il datore di lavoro a ricollocare la dipendente nel posto di lavoro precedentemente occupato, nonché al pagamento di tutte le retribuzioni spettanti alla lavoratrice.