COMPAR SPA PERDE GIUDIZIO DI URGENZA SU RICORSO DI MADRE SINGLE CAREGIVER DI 4 FIGLI MINORI DI CUI 2 AFFETTI DA DISABILITÀ. 

Il Tribunale di Roma, con la recentissima ordinanza del 14 settembre 2024, ha accolto la domanda della ricorrente, assistita dallo Studio legale Salvagni, madre single caregiver di quattro figli

minori di cui due affetti da disabilità, all’adibizione della stessa ad almeno tre turni di lavoro di mattina a settimana, al fine di far fronte alle esigenze dei propri figli.

In particolare, la lavoratrice, commessa in un negozio di calzature, aveva dedotto di essere stata discriminata dalla società datrice di lavoro in quanto madre di quattro figli, di cui tre minori e due disabili, e in quanto aveva fruito di un congedo straordinario per assistere il figlio disabile.

Successivamente alla fruizione del congedo, infatti, la lavoratrice era stata adibita dalla società a turni di lavoro per lo più pomeridiani, con la conseguenza che per la medesima fosse difficile, se non impossibile, far fronte alle necessità di cura e assistenza, in quanto madre caregiver di due figli disabili – di cui uno riconosciuto disabile grave ai sensi dell’art. 3, co. 3, L. 104/92 e l’altro riconosciuto disabile nelle more del giudizio.

Il Giudice, adito con procedimento d’urgenza, ha riconosciuto sussistenti sia il fumus sia il periculum in quanto, da un lato, ha accertato il diritto della lavoratrice madre caregiver di assistere ai propri figli disabili mediante il riconoscimento alla stessa di almeno 2 (o 3 quando non fruisce dei permessi di cui alla L. 104/92) turni di mattina a settimana. Ciò anche in base ai principi di correttezza e buona fede che impongono alla società datrice di lavoro di accordare al lavoratore (in questo caso madre e caregiver nello stesso tempo) ogni trattamento che possa giovare alle esigenze familiari, salvo che vi siano diverse e comprovate esigenze organizzative.

Il Tribunale ha riconosciuto sussistente il pericolo nel possibile ritardo nell’adozione del provvedimento, derivante dal possibile aggravamento delle condizioni dei figli minori, e in particolare del disabile. Si legge infatti nell’ordinanza “oggettivo il rischio che il protrarsi della situazione antigiuridica possa pregiudicare le esigenze di cura dei minori e del soggetto affetto da handicap affidato alla ricorrente; non vi sono dubbi circa il fatto che il turno con inizio 10/11 sia preferibile per la ricorrente in quanto la mattina i minori, uno dei quali sottoposto a terapie mediche e dieta particolare (v. in atti), sono a scuola, mentre il pomeriggio essi devono essere accuditi”

Peraltro, a parere del Tribunale di Roma la difesa della società “non appare contenere motivazioni sufficienti a giustificare un’assegnazione, da ottobre 2023, spesso sproporzionata nella

scelta del turno pomeridiano”.

Il Giudice ha conseguentemente condannato la società ad adibire la lavoratrice ad almeno 2 o comunque 3 quando non fruisca dei permessi ex L. 104, turni di mattina alla settimana, ripartendo i turni in proporzione al numero delle dipendenti con qualifica di commessa (e senza differenziazioni tra le commesse, anche se alcune erano part time e la ricorrente full time).

L’ordinanza è di rilevante e attuale interesse anche per il tema del diritto del lavoratore caregiver a fruire di tutti gli istituti possibili al fine di conciliare le esigenze lavorative con quelle di assistenza del familiare disabile.

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TELECOM CONDANNATA DALLA CORTE DI APPELLO A PAGARE ALTRI € 250.MILA PER AVER DEMANSIONATO UN LAVORATORE INQUADRATO NEL LIVELLO 7° QUADRO E A PAGARE IL VALORE BENEFIT AUTO QUALE RETRIBUZIONE IN NATURA PER REVOCA AUTO AZIENDALE AD SUO PROMISCUO.

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 20.05.2024, rigettando l’appello proposto dalla società, ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva accertato l'illegittimo demansionamento subito da un lavoratore inquadrato nel livello 7° Quadro e statuito che le mansioni  svolte in distacco presso altra società (la Loquendo) erano da ricondursi a quelle di Venditore e, come tali, riferibili all’inferiore 5° livello del CCNL Telecomunicazioni, mentre quelle di Store Fix Specialist, svolte successivamente, erano addirittura riferibili all’inferiore di 4° livello del CCNL applicato.

La Corte di appello, inoltre, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal lavoratore, ha condannato la società alla corresponsione di ulteriori (rispetto ai 170.000 liquidati dal giudice di primo grado) 250.000 euro a titolo di danno alla professionalità (in considerazione della notevole durata della dequalificazione professionale - dal 2017 - e della gravità del demansionamento). In tal modo, il danno professionale liquidato corrisponde all’80% della retribuzione per ciascun mese per tutto il periodo dell’accertato demansionamento.

I giudici del secondo grado, infine, sempre in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal lavoratore, hanno riconosciuto l’assegnazione di un’auto aziendale concessa ad uso promiscuo quale retribuzione in natura corrisposta mediante il conferimento in favore del lavoratore di beni e/o servizi, comunemente denominati "fringe benefit”.   

Ed infatti, a seguito della revoca dell’auto aziendale, il lavoratore aveva adito il Tribunale di Roma per richiedere il riconoscimento della natura retributiva della stessa e il conseguente pagamento delle retribuzioni per equivalente in ragione della mancata fruizione del benefit, trattandosi di retribuzione irriducibile ex art. 2103 e 2099 c.c., ormai entrata a far parte del patrimonio del lavoratore.          

La Corte di appello di Roma, per quanto attiene all’attribuzione dell’auto aziendale per “uso promiscuo” con inserimento in busta paga dell’elemento figurativo del valore convenzionale dell’auto, ha ritenuto che tale concessione, trattandosi di “fringe benefits”, assume valore di retribuzione in natura, cui si applica il principio di irriducibilità della retribuzione.

Pertanto, secondo il giudice, il datore può revocare l’utilizzo dell’auto, ma solo a condizione di mantenere lo stesso livello retributivo del dipendente, trattandosi di retribuzione irriducibile, connessa all’uso promiscuo dell’auto.

La società, pertanto, è stata condannata al pagamento di una somma avente natura retributiva, quale controvalore economico del benefit revocato, nonché del controvalore del costo carburante.  

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CONFERMATA IN APPELLO LA SUBORDINAZIONE DI UN MEDICO DEL S. CAMILLO FORLANINI: L’OSPEDALE CONDANNATO AL PAGAMENTO DI € 90 MILA PER DIFFERENZE RETRIBUTIVE, OLTRE A 7 MENSILITÀ QUALI RISARCIMENTO DEL DANNO DA PRECARIZZAZiONE.

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 29 dicembre 2023, ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto nei confronti dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, da un medico assistito dallo Studio legale Salvagni, con riconoscimento della natura subordinata del rapporto di formale collaborazione professionale intercorso tra le parti e con condanna dell’ospedale al versamento in favore della ricorrente dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché della somma complessiva di € 90.000,00 a titolo di differenze retributive.

In particolare, la Corte adita, condividendo il ragionamento del Tribunale, ha affermato che era risultata dimostrata, sia dai testi escussi, sia dalla produzione documentale, la subordinazione della lavoratrice.

Infatti, la Corte ha confermato che i contratti di collaborazione professionale e/o di lavoro occasionale sottoscritti con l’azienda ospedaliera nel periodo ricompreso tra il 2011 e il 2016, mascheravano, in realtà, un rapporto di lavoro subordinato, in quanto era stato dimostrato che la lavoratrice aveva svolto in favore dell'azienda prestazioni tipiche di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato; e infatti: all’esito dell’istruttoria testimoniale, era emerso che la dottoressa, nell’osservare un orario fisso e garantendo la propria disponibilità finanche nel fine settimana, aveva svolto le mansioni proprie dei dirigenti medici strutturati, avendo contribuito altresì alla gestione in prima persona del reparto, sotto la direzione del primario.

Pertanto, il Collegio adito ha confermato il ragionamento del Tribunale accertando la subordinazione e dichiarando la nullità dei fittizi contratti di collaborazione professionale, con conseguente condanna dell’ospedale al pagamento alla lavoratrice delle differenze retributive pari ad € 90.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti in ragione della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti.

Inoltre, la Corte d’Appello ha accolto anche l’appello incidentale presentato dalla lavoratrice, stabilendo che la stessa avesse diritto al pagamento dell’ulteriore somma, pari a 7 mensilità della retribuzione globale di fatto, a titolo di risarcimento del danno da c.d. precarizzazione (o danno comunitario), in ragione della illegittima reiterazione di contratti di collaborazione autonoma fittizi per tutto il periodo di sei anni, dal 07/02/2011 al 30/06/2016.

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TELECOM CONDANNATA ALLA RIAMMISSIONE IN SERVIZIO DI UN ALTRO “CONSULENTE” PER L’ILLEGITTIMA INTERPOSIZIONE DI MANODOPERA E APPALTO NON GENUINO (cd. Body Rental), CON CONSEGUENTE ACCERTAMENTO DI UN RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con sentenza del 13.05.2024 la Corte di appello di Roma ha accolto l’appello proposto dal lavoratore avverso la sentenza del Tribunale di Velletri che, in primo grado - ove il medesimo era difeso da altro studio legale - aveva rigettato il ricorso.

In particolare, i giudici di secondo grado hanno accertato che il pluriennale rapporto di lavoro formalmente intercorso tra il lavoratore e le società formali datrici di lavoro - società di consulenza informatica che si limitavano alla mera fornitura di manodopera (cd. Body Rental) - doveva in realtà essere imputato alla Telecom Italia in qualità di effettivo datore di lavoro.

Nel caso di specie, il lavoratore, dal 31.3.2008, aveva prestato la propria attività lavorativa di natura subordinata - svolgendo mansioni di tipo informatico - direttamente in favore della Telecom, ricevendo disposizioni specifiche, direttive e indicazioni dai referenti della società stessa, essendo inoltre sottoposti, da parte degli stessi, al controllo e/o riscontro della propria prestazione lavorativa.

In particolare, il giudice ha focalizzato il proprio ragionamento decisorio sulla mancata prova dell’esistenza di uno o più contratti di appalto tra le formali datrici di lavoro succedutesi nel tempo e la Telecom Italia in quanto, tra la documentazione prodotta dalla società, non vi era alcun contratto di appalto tra le stesse, titolo che avrebbe giustificato le prestazioni poste in essere dal lavoratore in suo favore.

Alla luce delle risultanze emerse dall’istruttoria testimoniale e, soprattutto, della documentazione prodotta, la Corte di appello, pertanto, ha dichiarato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, a tempo pieno e indeterminato, intercorso con la Telecom in modo irregolare, ancora in essere, condannando la Società alla riammissione in servizio del lavoratore e al pagamento delle differenze retributive tra quanto percepito con i formali datori di lavoro e quanto il medesimo avrebbe dovuto percepire qualora assunto dalla Telecom sin dall’origine.

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