Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 29.09.2020, riformando la sentenza del Tribunale di Roma, ha dichiarato l’illegittimità del trasferimento di lavoratore dipendente di Telecom Italia S.p.A., e fruitore dei benefici ex L. 104/92, presso il settore ASA, accertando altresì il demansionamento subito dal medesimo.
La Corte di Appello ha innanzitutto accertato l’illegittimità del trasferimento al settore ASA. In particolare, secondo la Corte di appello, il trasferimento è stato disposto in violazione dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, poiché il relativo divieto opera ogni volta che muti definitivamente il luogo geografico di esecuzione della prestazione, anche nell'ambito della medesima unità produttiva che comprenda uffici dislocati in luoghi diversi, senza che possa rilevare gli accordi collettivi che dettano una definizione di sede di lavoro ricomprendendovi l’intero territorio comunale e neppure la distanza della nuova sede di lavoro rispetto all’abitazione del lavoratore, atteso che l’unico dato rilevante a livello legislativo è il consenso al trasferimento del lavoratore titolare dei benefici.
Un lavoratore, inquadrato nel 5° livello CCNL Telecomunicazioni, era stato adibito sin dal 2016 a mansioni di operatore che i Giudici della Corte d’Appello hanno accertato, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite in primo grado, essere riconducibili al 3° livello e, pertanto, notevolmente inferiori.
Ed infatti, il Collegio ha statuito che le mansioni svolte dal lavoratore dal 2016 non possono essere ricondotte al 5° livello di inquadramento, cui erano invece riconducibili quelle in precedenza espletate presso il settore di provenienza, essendo piuttosto riferibili al 3° livello del CCNL delle Telecomunicazioni e, in particolare, al profilo di “Tecnico di supervisione e controllo”.
Accertato l’intervenuto demansionamento professionale, la Corte di Appello, in riferimento al danno patito, ha dichiarato sussistere una serie di elementi presuntivi che evidenziano il danno alla professionalità subito dal lavoratore e in particolare: a) il grave demansionamento subito dal medesimo; b) la professionalità colpita dal demansionamento; c) la durata del demansionamento, dall’aprile 2016 e tuttora in atto; d) la sicura conoscenza dell’avvenuto demansionamento nell’ambiente lavorativo.
Alla luce di detti elementi, la Corte ha proceduto a liquidare il danno nella misura del 30% della retribuzione mensile percepita dal lavoratore dall’aprile 2016 alla data della sentenza
In linea, quindi, con il consolidato orientamento della giurisprudenza, la Corte, oltre a confermare l’accertamento del demansionamento, ha sostanzialmente confermato anche il danno professionale liquidato in via equitativa dal giudice di prime cure.
Quanto sopra, evidenzia come la tesi difensiva avanzata dall’Avv. Salvagni in numerosi ricorsi patrocinati dall’omonimo studio, continui ad essere accolta tanto in primo grado, quanto nei successivi gradi di giudizio.