TELECOM PERDE ANCHE IN CASSAZIONE: CONFERMATA L’ILLEGITTIMITÀ DEL TRASFERIMENTO DI UN LAVORATORE FRUITORE BENEFICI L. 104/92 E DELLA DEQUALIFICAZIONE ALL'ATTUALITÀ FINO AL DEPOSITO DELLA SENTENZA DI APPELLO.

Segnalo questo provvedimento della Corte di cassazione emesso nell'ambito di una causa patrocinata da questo Studio Legale, con la collaborazione della collega di studio Avv. Elisabetta Masi, di particolare interesse per i principi affermati in tema sia di trasferimento del lavoratore sia di risarcimento del danno da dequalificazione liquidato fino al deposito della sentenza di appello.

La Corte di Cassazione, con provvedimento del 14 dicembre 2024, ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Roma che aveva dichiarato l’illegittimità del trasferimento di un dipendente di una nota società di Telecomunicazioni - fruitore dei benefici ex L. 104/92 - accertando, altresì, la dequalificazione subito dal medesimo.
In particolare, la Suprema Corte, ha confermato che il trasferimento del lavoratore è stato disposto in violazione dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992 poiché, il relativo divieto, opera ogni volta che muti definitivamente il luogo geografico di esecuzione della prestazione. Ciò vale anche nell'ambito della medesima unità produttiva che comprenda uffici dislocati in luoghi diversi (nel caso di specie, diverse sedi ubicate nella città di Roma).


La particolarità della vicenda risiede nel fatto che, secondo i giudici di merito (come confermato anche da quelli di legittimità), tale trasferimento è illegittimo anche se gli accordi collettivi dettano una definizione di sede di lavoro ricomprendendovi l’intero territorio comunale (definito comprensorio dalla contrattazione collettiva). A parere dei giudici non rileva, rispetto alla illegittimità della condotta aziendale, neppure la distanza della nuova sede di lavoro rispetto all’abitazione del lavoratore atteso che, l’unico dato rilevante a livello legislativo, è il consenso al trasferimento del lavoratore titolare dei benefici.


Con riferimento alla dequalificazione, il lavoratore, inquadrato nel 4° livello CCNL Telecomunicazioni, aveva dedotto di essere stato adibito - sin dal 2016 - a mansioni di semplice operatore adibito ad attività standardizzate dovendo seguire menù informatici predefiniti a tendina limitandosi a flaggare su tre possibili opzioni che, come accertato dai Giudici della Corte d’Appello, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite in primo grado, sono riconducibili al 3° livello e/o al 2° livello del CCNL di settore, dunque, ad attività inferiori rispetto al livello di inquadramento.
Con riferimento poi al risarcimento al danno, la Corte di Appello ha dichiarato sussistere una serie di elementi presuntivi che evidenziano il danno alla professionalità subito dal lavoratore e in particolare:
a) la grave dequalificazione subita dal medesimo;
b) la professionalità colpita dalla dequalificazione;
c) la durata della dequalificazione, rispettivamente dall’aprile 2016 in atto sino alla sentenza di primo grado;
d) la sicura conoscenza dell’avvenuta dequalificazione nell’ambiente lavorativo.


Alla luce di detti elementi, la Corte ha proceduto a liquidare il danno professionale nella misura del 30% della retribuzione mensile percepita dal lavoratore dall’inizio della dequalificazione all'attualità, ossia sino alla data della sentenza di primo grado del 10 marzo 2021. Tali principi sono stati confermati anche dalla Corte di cassazione.


Di rilievo però appare anche il principio, affermato dalla Corte territoriale e confermato poi dalla Cassazione, per cui il risarcimento del danno da dequalificazione doveva essere liquidato fino alla data del deposito della sentenza di secondo grado (10 marzo 2021), senza che lo stesso dovesse limitarsi al momento di proposizione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado, ossia il 12 ottobre 2016.


A parere della Suprema Corte, la pronuncia di condanna risarcitoria, che include anche il periodo successivo alla data del deposito del ricorso fino alla data del deposito sentenza, non configura alcun vizio di ultrapetizione, in quanto nel corso del giudizio è stata dimostrata la persistenza della dequalificazione fino a tale periodo.


Quanto sopra, evidenzia come la tesi difensiva avanzata dallo Studio Legale Salvagni in numerosi ricorsi patrocinati dall’omonimo studio, continui ad essere accolta tanto in primo grado, quanto nei successivi gradi di giudizio sino alla Corte di Cassazione.