Segnalo la mia ultima pubblicazione sulla rivista Labor del 4 agosto 2025 nella quale approfondisco gli orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte successivi alla sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024.
L'analisi mira a verificare se, a seguito dei principi sanciti dalla Corte costituzionale, la Corte di Cassazione abbia modificato il proprio orientamento riguardo all'applicazione della tutela reintegratoria attenuata, prevista dall'art. 18, co. 4, L. 300/70, in caso di violazione dell'obbligo di repêchage.
Il contributo delinea l'evoluzione di tale obbligo, che la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto come un elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo.
Il nucleo della questione risiede nello stabilire se l'inosservanza di tale obbligo debba comportare la reintegrazione del lavoratore o una semplice sanzione indennitaria.
Le recenti pronunce della Cassazione sembrano consolidare la posizione secondo cui il repêchage fa parte del "fatto" del licenziamento. Di conseguenza, la sua violazione determina l'insussistenza del fatto stesso e, quindi, l'applicazione della tutela reintegratoria attenuata.
Questo contrasta con quanto stabilito per i licenziamenti in ambito "tutele crescenti", dove la Corte costituzionale n. 128/2024 ha ritenuto che il repêchage vada considerato un elemento esterno al fatto, la cui violazione non determina la reintegrazione, ma solo un indennizzo.
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