Segnalo la mia ultima pubblicazione sulla rivista Labor del 25 ottobre 2025 nella quale approfondisco l’ordinanza della Corte di Cassazione dell’11 aprile 2025, n. 9544.
La decisione appare molto interessante per la soluzione offerta ove la Suprema Corte, riqualificando in subordinato un rapporto formalmente instaurato come co.co.co., affronta anche il tema del recesso e delle motivazioni addotte per la risoluzione del rapporto che, nel caso di specie, apparivano del tutto generiche.
L’analisi si propone di vagliare le ragioni che hanno indotto la Cassazione a censurare la decisione della Corte d’appello di Firenze che, ritenendo il recesso invece solo inefficace, aveva condannato la società al solo risarcimento del danno.
Il fulcro della pronuncia della Cassazione risiede nell’analisi delle conseguenze del licenziamento intimato al lavoratore, una volta riqualificato il rapporto come subordinato, allorché i motivi del recesso manchino di specificità.
In particolare, la decisione in esame sottolinea che “la mancanza della motivazione produce in tal caso l’illegittimità del licenziamento per mancanza di giustificazione (qualificata)”.
In tali ipotesi, per le imprese con più di 15 dipendenti, il recesso va qualificato come insussistente e si deve applicare “la tutela reale attenuata prevista dal quarto comma dell’art. 18 Stat.".
A parere della Suprema Corte, il “difetto di giustificazione” non è semplicemente un’erronea o insufficiente motivazione, ma l’assenza di un valido motivo giustificativo, che comporta l’applicazione di una tutela reale, seppur attenuata, e non una mera indennità.