L’ALLUNGAMENTO DEL COMPORTO È UN ACCOMODAMENTO RAGIONEVOLE?

Segnalo il mio contributo pubblicato sulla Rivista Giuridica del Lavoro n. 4/2025, parte II, RGL GIURISPRUDENZA ONLINE NEWSLETTER N. 11/2025, Sezione Approfondimenti, dal titolo:

“DISABILITÀ, ALLUNGAMENTO DEL COMPORTO E LICENZIAMENTO: ALLA RICERCA DELL’ACCOMODAMENTO RAGIONEVOLE”

Nel contributo analizzo due recentissime pronunce che offrono letture diametralmente opposte in merito alla portata dell’obbligo di diligenza datoriale e all'onere di conoscenza della condizione di disabilità del prestatore.

Il Tribunale di Napoli (sent. 29.5.2025, n. 4247), adottando un approccio formalistico, ha ancorato la tutela al dato meramente probatorio/documentale. In questa prospettiva, la mancata “crocettatura” della disabilità nel certificato medico esimerebbe il datore di lavoro da responsabilità, legittimando il recesso.

Di segno opposto l’approccio sostanzialistico della Corte d’Appello di Torino (sent. 7.7.2025, n. 338). I giudici piemontesi, con una lettura inclusiva e conforme ai principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto, hanno statuito che l'assenza di indicazioni formali non costituisce una scriminante. La conoscibilità della disabilità aziona la responsabilità datoriale, imponendo una verifica proattiva prima del recesso.

Nel contributo affronto anche un altro tema di stringente attualità ossia, se una mera estensione temporale del comporto (nel caso di specie, 364 giorni ben oltre il periodo massimo di 180 giorni previsto dal CCNL di settore) possa considerarsi un accomodamento ragionevole.

Sul punto, offro una soluzione critica. L'aumento del periodo di comporto, privo di fondamento normativo e disposto unilateralmente, non integra un accorgimento ragionevole, ma si riduce a una mera «concessione».

Si tratta di un intervento passivo e dilatorio, privo di quella componente proattiva richiesta dalla normativa antidiscriminatoria. Essendo espressione di un potere unilaterale - potenzialmente arbitrario e revocabile - tale condotta rischia di ledere il principio del legittimo affidamento del lavoratore disabile circa la non computabilità delle assenze, esponendolo a un licenziamento ad libitum.

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