Articolo di Michelangelo Salvagni
pubblicato su www.csdnroma.it
Trib. Latina, 8° aprile 2018 – est. dott.ssa Avarello – G.V. (Avv. Monica Persico) c. S. S.r.l. S. (contumace).
In ipotesi di trasferimento d’azienda, il licenziamento intimato dalla società cedente in violazione delle garanzie previste dall’art. 2112 è nullo in quanto disposto in frode alla legge allorché, nonostante il mutamento della titolarità aziendale, ricorra identità tra il cedente e cessionario con riferimento agli strumenti aziendali, alla sede e alla clientela.
Lavoro (rapporto) – licenziamento, per giustificato motivo oggettivo – Trasferimento (d’azienda) – Frode alla legge – Nullità – Tutela reale – Applicabilità.
Artt. 1344 c.c. e 2112, c.c.; Art. 18, comma 1°, L. n. 300/1970.
Con ricorso ex art. 1, co. 47 ss., L. n. 92/2012 una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole verbalmente dal proprio datore di lavoro per presunto motivo giustificato oggettivo, deducendo l’inefficacia e/o la nullità, ovvero l’illegittimità dello stesso perché disposto in violazione delle garanzie previste dall’art. 2112 c.c. in ipotesi di trasferimento d’azienda; la dipendente, sul punto, allegava la mancata cessazione dell’attività commerciale espletata dalla società presso cui era impiegata, la quale era proseguita, senza soluzione di continuità, a seguito del subentro di una diversa società in qualità di impresa cessionaria.
Con ordinanza dell’8 aprile 2018, il Tribunale di Latina, dopo aver puntualmente ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di trasferimento d’azienda, ha ritenuto sussumibile nell’alveo applicativo dell’art. 2112 c.c. la vicenda de qua; in particolare, il giudice pontino ha accertato l’intervenuto mutamento della titolarità aziendale, in quanto tale inidoneo a fondare, per ciò solo, autonomo e legittimo motivo di licenziamento e comportante, al contrario, l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’azienda cessionaria.
Tanto premesso, il giudice del lavoro di Latina ha affermato che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’azienda cedente fosse affetto, prima ancora che dall’inefficacia riconducibile alla mancata comunicazione del recesso in forma scritta, da nullità ex art. 18, 1° comma, St. Lav., giacché disposto in frode alla legge, stante il precipuo intento perseguito dal datore di lavoro cedente di eludere la normativa prescritta a garanzia dell’occupazione dei lavoratori coinvolti dal trasferimento d’azienda dall’art. 2112 c.c.
Pertanto, il Tribunale ha condannato la società cessionaria a riammettere in servizio la lavoratrice con efficacia ex tunc, conseguendone altresì il diritto della dipendente a percepire tutte le retribuzioni e i contributi previdenziali maturati medio tempore.
La pronuncia si impone all’attenzione degli interpreti, giacché, nell’accogliere una soluzione oltremodo originale, valorizza la natura imperativa dell’art. 2112 c.c., in quanto tale inderogabile dall’autonomia privata; il Tribunale, nell’accertare la nullità del licenziamento poiché disposto in frode alla legge, ritiene di applicare, prima ancora che le garanzie ex art. 2112 c.c., le conseguenze sanzionatorie di diritto comune che, mai come negli ultimi tempi, si rivelano particolarmente efficaci finanche nel campo del diritto del lavoro e, soprattutto, in ipotesi di licenziamento.
Infatti, a seguito delle ultime riforme che, dapprima nel 2012 e, successivamente nel 2015, hanno interessato il mercato del lavoro, l’applicazione della tutela reale in ipotesi di licenziamento viziato è stata relegata, come noto, ad ipotesi residuali, confluite nel solo 1° comma dell’art. 18 St. Lav., disciplinante la fattispecie di nullità del licenziamento.
Sul punto, l’ordinanza in commento, seppur attraverso un’argomentazione inedita, contribuisce a smentire la tesi, pure avanzata in dottrina, della c.d. tipicità delle nullità rilevanti ai fini dell’applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del 1° comma, art. 18 L. n. 300/1970 che, lungi dal riferirsi alle sole nullità espressamente contemplate della legge, ricomprende finanche le singole fattispecie disciplinate dal codice civile agli artt. 1343 ss. c.c.
Pare opportuno richiamare alcuni precedenti di merito che si sono espressi in tal senso: Trib. Trento del 18 dicembre 2017, in corso di pubblicazione su RGL, con nota di A. Federici e Trib. di Vicenza del 4 novembre 2016, in Questione Giustizia, 11 ottobre 2017 con nota M. Vitali.
Articolo di Michelangelo Salvagni
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CORTE DI APPELLO DI ROMA – Sentenza del 1° febbraio 2018, n. 469 - (Pres., Rel. dott. G. Pascarella), S. S.R.L. (avv.ti Giovanni Beatrice e Giampaolo Marrazzo ) c./ A.R. (avv. Carlo Alessandrini e Loredana Di Folco).
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – manifesta insussistenza del fatto – obbligo di repechâge datore di lavoro – obbligo di repechâge integrato nella fattispecie del g.m.o. – reintegra del lavoratore
L’impossibilità di ricollocare il lavoratore all’interno della compagine aziendale integra uno degli elementi costitutivi della fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sicché, qualora il datore di lavoro ometta di fornire la prova, trova applicazione la c.d. tutela reale attenuata introdotta dalla l. n. 92/2012 e prevista in ipotesi di “manifesta infondatezza del fatto” posto a fondamento del recesso datoriale.
L’evoluzione giurisprudenziale in tema di dovere datoriale di repêchage è passata da un risalente orientamento più rigido, che prevedeva tale obbligo solo per mansioni equivalenti (sul punto si vedano, ex multis,: Cass., 10.3.1992, n. 2881, e, in senso conforme, Cass., 3.6.1994, n. 5401, nonché Cass., 27.11.1996, n. 10527 e Cass., 14.12.2002, n. 17928, tutte consultabili su www.dejure.it.), ad uno invece più flessibile, secondo cui era possibile derogare al divieto di adibizione a mansioni inferiori sul presupposto che fosse prevalente l’interesse del dipendente al mantenimento del posto di lavoro. L’obbligo di repêchage, la cui teorizzazione va ricollegata al concetto del licenziamento quale extrema ratio, risale a elaborazioni dottrinali sviluppate degli anni ’70 (fautore della tesi dell’obbligo di repêchage è F. Mancini, in Commento all’art. 18, Commentario allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Bologna, 1972), ma ha trovato terreno fertile nella successiva interpretazione giurisprudenziale che, nel tempo, ha tentato di delineare quale fosse il campo di delimitazione delle scelte imprenditoriali tenendo conto del necessario bilanciamento dei contrapposti interessi costituzionalmente garantiti per la tutela del lavoro e per quella dell’impresa (artt. 4 e 41 della Cost.). L’obbligo di ricollocazione rappresenta lo strumento di ulteriore verifica della correttezza delle scelte imprenditoriali; viene così posto a carico del datore di lavoro che irroga il licenziamento per giustificato motivo oggettivo il dovere di collocare il lavoratore, altrimenti licenziato, in una diversa e proficua posizione all’interno dell’azienda.
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Articolo di Michelangelo Salvagni
Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 2/2018
CASSAZIONE, 05.12.2017, n. 29062 - Pres. Nobile, Est. Amendola, P.M. Fresa (diff.) – S.F. (avv. Manzi) c. S. S. E. V. L. S.p.a. (avv.ti De Luca Tamajo, Ottone, Cammarata).
Cassa Corte d’Appello di L’Aquila, 25.09.2015
Licenziamento individuale – Licenziamento disciplinare – Congedo straordinario ex L. 104 del 1992 per assistenza a persona affetta da handicap grave – Mancato rispetto della assistenza continuativa e permanente al disabile – Necessità di assistenza notturna - Fatto insussistente – Qualificazione di illecito - Irrilevanza disciplinare della condotta – Fatto privo del requisito dell’antigiuridicità - Illegittimità del recesso – Reintegra.
In caso di congedo straordinario ai sensi dell'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 concesso al prestatore per assistere la madre in condizione di handicap grave, anche se risulta materialmente accaduto che il lavoratore si trovasse in talune giornate lontano dall'abitazione della persona portatrice di handicap, ciò non è sufficiente a far ritenere sussistente il fatto contestato perché, una volta accertato che, ferma la convivenza, questi comunque prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, con modalità da considerarsi compatibili con le finalità dell'intervento assistenziale, tanto svuota di rilievo disciplinare la condotta tenuta. (1)
Licenziamento disciplinare e congedo straordinario per l’assistenza del disabile.
Il caso di specie concerne un licenziamento disciplinare irrogato ad un lavoratore che aveva richiesto un congedo straordinario ai sensi dell'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 per assistere la madre in condizione di handicap grave (per una disamina completa sul diritto a tale congedo si veda Lamonaca, 966). Nel corso di tale periodo di congedo, il datore di lavoro contestava al dipendente, a seguito di indagine investigativa, che durante alcune giornate, nelle ore diurne, non era stato visto a casa della madre, ma presso la propria abitazione. A fronte di tali addebiti il prestatore rendeva le proprie giustificazioni sostenendo di aver prestato assistenza notturna alla madre, portando a supporto di tale assunto una certificazione medica specialistica che attestava la tendenza della propria madre alla fuga, all’insonnia notturna e tratti di ipersonnia diurna. Ciò rendeva necessario per il lavoratore restare sveglio la notte per assistere il genitore al fine di evitare possibili fughe, già verificatesi in passato. La società, in ogni caso, irrogava il licenziamento disciplinare con preavviso.
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Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Sentenza pubblicata su Wikilabour
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Con sentenza dello 08.02.2018, n. 125, il Tribunale di Latina, in accoglimento del ricorso promosso dal lavoratore, ha escluso la sussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto a sostegno del licenziamento intimatogli dalla Equipment & Service S.r.l., ha dichiarato l’inefficacia dello stesso e, conseguentemente, condannato il datore di lavoro a ripristinare il rapporto lavorativo con la ricorrente, nonché al pagamento del risarcimento del danno, liquidato in misura pari alle retribuzioni globali di fatto maturate in circa quattro anni, dalla messa in mora e sino alla sentenza.
La pronuncia in oggetto si impone all’attenzione sotto un profilo duplice.
In primo luogo, il giudice, nel riconoscere la genericità del richiamo, nella lettera di licenziamento, alla “grave crisi economica” indicata dalla società quale ragione di carattere economico-organizzativo posta a fondamento della soppressione dell’unità lavorativa cui la era addetto il ricorrente, afferma che la società ha del tutto omesso di soddisfare il relativo onere di motivazione specifica nella comunicazione del recesso; infatti, tale onere, in ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, grava inequivocabilmente sul datore di lavoro.
Precisa il Tribunale che la motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente completa e tale da consentire al lavoratore di approntare una difesa adeguata, dovendosi ritenere, in caso contrario, l’equivalenza tra le due diverse fattispecie rappresentate dalla comunicazione eccessivamente generica e l’assoluto difetto della stessa.
Secondariamente, il Tribunale di Latina, in ragione della “lampante lacuna assertiva della società”, rileva l’inefficacia del suddetto licenziamento, poiché disposto in violazione dell’art. 2, 2°comma, L. n. 604/1966. In particolare, il giudice, nel ritenere la diretta applicabilità della L. n. 604/1966 in quanto l’azienda convenuta impiega meno di quindici dipendenti alle proprie dipendenze, sposa integralmente la tesi difensiva sostenuta dall’Avv. Salvagni, applicando la c.d. “tutela reale di diritto comune” che, sul versante delle conseguenze scaturenti dall’inefficacia del licenziamento, comporta il ripristino del rapporto lavorativo e il pagamento di tutte le retribuzioni maturate medio tempore, anche a titolo di risarcimento del danno.
Come anticipato, la pronuncia rappresenta un precedente importante poiché, a fronte della progressiva diminuzione subita negli ultimi tempi dalle tutele avverso i licenziamenti illegittimi, si pone in senso diametralmente opposto e, grazie al risultato ottenuto dallo studio legale M. Salvagni, apre uno spiraglio per l’effettività della tutela anche per i lavoratori i cui rapporti non sono assistiti dalle garanzie dell’art. 18 (reintegrazione nel posto d lavoro e risarcimento danni).