Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Sentenza pubblicata su Wikilabour
Articolo pubblicato su www.csdnroma.it
Con sentenza dello 08.02.2018, n. 125, il Tribunale di Latina, in accoglimento del ricorso promosso dal lavoratore, ha escluso la sussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto a sostegno del licenziamento intimatogli dalla Equipment & Service S.r.l., ha dichiarato l’inefficacia dello stesso e, conseguentemente, condannato il datore di lavoro a ripristinare il rapporto lavorativo con la ricorrente, nonché al pagamento del risarcimento del danno, liquidato in misura pari alle retribuzioni globali di fatto maturate in circa quattro anni, dalla messa in mora e sino alla sentenza.
La pronuncia in oggetto si impone all’attenzione sotto un profilo duplice.
In primo luogo, il giudice, nel riconoscere la genericità del richiamo, nella lettera di licenziamento, alla “grave crisi economica” indicata dalla società quale ragione di carattere economico-organizzativo posta a fondamento della soppressione dell’unità lavorativa cui la era addetto il ricorrente, afferma che la società ha del tutto omesso di soddisfare il relativo onere di motivazione specifica nella comunicazione del recesso; infatti, tale onere, in ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, grava inequivocabilmente sul datore di lavoro.
Precisa il Tribunale che la motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente completa e tale da consentire al lavoratore di approntare una difesa adeguata, dovendosi ritenere, in caso contrario, l’equivalenza tra le due diverse fattispecie rappresentate dalla comunicazione eccessivamente generica e l’assoluto difetto della stessa.
Secondariamente, il Tribunale di Latina, in ragione della “lampante lacuna assertiva della società”, rileva l’inefficacia del suddetto licenziamento, poiché disposto in violazione dell’art. 2, 2°comma, L. n. 604/1966. In particolare, il giudice, nel ritenere la diretta applicabilità della L. n. 604/1966 in quanto l’azienda convenuta impiega meno di quindici dipendenti alle proprie dipendenze, sposa integralmente la tesi difensiva sostenuta dall’Avv. Salvagni, applicando la c.d. “tutela reale di diritto comune” che, sul versante delle conseguenze scaturenti dall’inefficacia del licenziamento, comporta il ripristino del rapporto lavorativo e il pagamento di tutte le retribuzioni maturate medio tempore, anche a titolo di risarcimento del danno.
Come anticipato, la pronuncia rappresenta un precedente importante poiché, a fronte della progressiva diminuzione subita negli ultimi tempi dalle tutele avverso i licenziamenti illegittimi, si pone in senso diametralmente opposto e, grazie al risultato ottenuto dallo studio legale M. Salvagni, apre uno spiraglio per l’effettività della tutela anche per i lavoratori i cui rapporti non sono assistiti dalle garanzie dell’art. 18 (reintegrazione nel posto d lavoro e risarcimento danni).
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Sentenza pubblicata su Wikilabour
Articolo pubblicato su www.csdnroma.it
Con sentenza dello 08.02.2018, n. 125, il Tribunale di Latina, in accoglimento del ricorso promosso dal lavoratore, ha escluso la sussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto a sostegno del licenziamento intimatogli dalla Equipment & Service S.r.l., ha dichiarato l’inefficacia dello stesso e, conseguentemente, condannato il datore di lavoro a ripristinare il rapporto lavorativo con la ricorrente, nonché al pagamento del risarcimento del danno, liquidato in misura pari alle retribuzioni globali di fatto maturate in circa quattro anni, dalla messa in mora e sino alla sentenza.
La pronuncia in oggetto si impone all’attenzione sotto un profilo duplice.
In primo luogo, il giudice, nel riconoscere la genericità del richiamo, nella lettera di licenziamento, alla “grave crisi economica” indicata dalla società quale ragione di carattere economico-organizzativo posta a fondamento della soppressione dell’unità lavorativa cui la era addetto il ricorrente, afferma che la società ha del tutto omesso di soddisfare il relativo onere di motivazione specifica nella comunicazione del recesso; infatti, tale onere, in ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, grava inequivocabilmente sul datore di lavoro.
Precisa il Tribunale che la motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente completa e tale da consentire al lavoratore di approntare una difesa adeguata, dovendosi ritenere, in caso contrario, l’equivalenza tra le due diverse fattispecie rappresentate dalla comunicazione eccessivamente generica e l’assoluto difetto della stessa.
Secondariamente, il Tribunale di Latina, in ragione della “lampante lacuna assertiva della società”, rileva l’inefficacia del suddetto licenziamento, poiché disposto in violazione dell’art. 2, 2°comma, L. n. 604/1966. In particolare, il giudice, nel ritenere la diretta applicabilità della L. n. 604/1966 in quanto l’azienda convenuta impiega meno di quindici dipendenti alle proprie dipendenze, sposa integralmente la tesi difensiva sostenuta dall’Avv. Salvagni, applicando la c.d. “tutela reale di diritto comune” che, sul versante delle conseguenze scaturenti dall’inefficacia del licenziamento, comporta il ripristino del rapporto lavorativo e il pagamento di tutte le retribuzioni maturate medio tempore, anche a titolo di risarcimento del danno.
Come anticipato, la pronuncia rappresenta un precedente importante poiché, a fronte della progressiva diminuzione subita negli ultimi tempi dalle tutele avverso i licenziamenti illegittimi, si pone in senso diametralmente opposto e, grazie al risultato ottenuto dallo studio legale M. Salvagni, apre uno spiraglio per l’effettività della tutela anche per i lavoratori i cui rapporti non sono assistiti dalle garanzie dell’art. 18 (reintegrazione nel posto d lavoro e risarcimento danni).
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Con sentenza del 1° marzo 2018, n. 1585, il Tribunale di Roma, sezione Lavoro, in accoglimento del ricorso promosso da una lavoratrice inquadrata nel 7° livello contrattuale, ha accertato il demansionamento dedotto da quest’ultimo, condannando Telecom Italia S.p.a. a risarcire il danno arrecato alla professionalità della ricorrente a causa del suddetto demansionamento.
Nel caso di specie, una dipendente di Telecom Italia S.p.a. inquadrata nel 7° livello contrattuale, dopo aver partecipato a molteplici incontri formativi presso il Job Center aziendale, sito in Via del Pellegrino e Viale Parco de Medici in Roma, è stata trasferita presso il settore Vendite Retail, ove è rimasta totalmente inattiva e sprovvista di mansioni specifiche, anche se formalmente adibita a mansioni di TPC.
Quindi, il giudice ha accolto il ricorso della lavoratrice assistita dallo studio legale Salvagni, accertando il demansionamento subito dalla stessa, che è stata lasciata totalemnte inattiva e priva di reali compiti da svolgere.
In particolare, il giudice ha ritenuto generiche le difese articolate da Telecom Italia S.p.a. che, limitandosi ad affermare la riconducibilità delle mansioni assegnate alla lavoratrice a quelle previste dalla relativa declaratoria contrattuale, non ha soddisfatto l’onere di specifica allegazione che gli spetta per legge.
Pertanto, sulla base di tali premesse, il giudice ha condannato Telecom Italia S.p.a. a risarcire il danno arrecato dall’illegittima condotta datoriale alla professionalità della lavoratrice, liquidandolo in misura pari al 100% della retribuzione per ogni mese di dequalificazione subita dalla ricorrente.
Articolo di Michelangelo Salvagni
Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 4/2017
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CASSAZIONE CIVILE n. 13379, 26 maggio 2017, Sez. lav. – Pres. Di Cerbo – Est. Patti – P.M. Sanlorenzo (accoglimento), B.M. (avv.ti Lacagnina, Piccinino) c. M.D. S.r.l. (avv.ti, Magrini, Pisa, Cantone).
Diff. Corte di Appello di Venezia del 16 gennaio 2014.
Lavoro (Rapporto di) – Licenziamento individuale - Giustificato motivo oggettivo – art. 3, legge 15 luglio 1966, n. 604 – Soppressione posto di lavoro – Obbligo di repêchage – Mansioni inferiori promiscue - Illegittimità del licenziamento.
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro deve estendersi alla verifica della possibilità di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori se il dipendente esercitava, promiscuamente alle mansioni soppresse, anche compiti non riconducibili alla propria qualifica, sebbene in misura minore.
Il repêchage in mansioni inferiori dopo il Jobs Act: obbligo o facoltà ?
La modifica della norma sullo ius variandi (articolo 2103 c.c., come novellato dal D.Lgs. n. 81 del 2015) ha inevitabili ricadute anche sull’obbligo di repêchage che, proprio in virtù delle nuove disposizioni, risulta sicuramente dilatato sia in senso orizzontale che verticale, dovendo tale obbligo avere, come parametro di riferimento, non solo tutte le mansioni riferibili al livello di inquadramento del dipendente ma anche quelle di livello inferiore.
Sino all’entrata in vigore del citato decreto, l’orientamento giurisprudenziale in tema di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo è stato condizionato dal principio dell’equivalenza ex art. 2103 c.c. e, in un certo senso, “imbrigliato” dall’inderogabilità delle disposizioni ivi contenute (la nullità dei patti contrari) e, quindi, dal limite legale posto dal rispetto del bagaglio professionale del prestatore. Su tale limite, ritenuto invalicabile, si era quindi fondato il prevalente indirizzo giurisprudenziale che riteneva ammissibile l’obbligo di ricollocamento del lavoratore solo con riferimento in posizioni di lavoro equivalenti (in tal senso, ex multis: Cass. 12.2.2014, n. 3224, in NGL, 2014, 522; Cass. 8.11.2013 n. 25197, in LG, 2014, 181; Cass., 1.8.2013, n. 18416, in Mass. giur. lav., 2014, 1/2, 35. Cass., 23.6.2005, n. 13468, in Orient. giur. lav., 2005, 647).
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