Il demansionamento, o dequalificazione professionale, spesso impropriamente confuso nell’immaginario collettivo con la diversa fattispecie del mobbing, negli ultimi anni sta diventando un fenomeno di così vasta portata ed impatto sociologico da impegnare sempre in modo più significativo e a tratti preoccupante le aule dei nostri tribunali.
Quando si parla di demansionamento, o dequalificazione professionale - termini spesso utilizzati come sinonimi - ci si riferisce a tutti i casi in cui il lavoratore viene adibito a mansioni inferiori rispetto al proprio inquadramento contrattuale, ovvero svilenti e degradanti per la propria professionalità e, comunque, non in linea con il livello di appartenenza. Nei casi più gravi, il lavoratore viene lasciato completamente o quasi inattivo per la maggior parte e/o l’intera giornata lavorativa, con un gravissimo danno alla professionalità e dignità morale del medesimo.
Il dato che recentemente sembra emergere con forza e che stupisce maggiormente è che sono proprio le grandi aziende a porre in essere tali illegittime condotte, con l’evidente intento di indurre il prestatore a dimettersi, eliminando, così, ogni costo connesso all’eventuale ed evitato licenziamento. In sostanza, lo svilimento della professionalità del lavoratore rischia così di diventare il principale strumento di razionalizzazione delle risorse umane, ossia il metodo “subdolo” utilizzato al fine di espellere un lavoratore dalla compagine aziendale senza incorrere nei costi e nei rischi connessi ad una procedura di licenziamento individuale o collettiva.
Eclatante, in tal senso, il caso Telecom Italia, ove categorie di lavoratori accomunati da problematiche personali e/o familiari, ovvero “a bassa produttività” in quanto in regime di part-time e/o titolari di permessi ex lege n. 104/1992 e/o invalidi, vengono ciclicamente trasferiti in massa presso un determinato settore creato ad hoc (ossia il DAC, oggi ridenominato CSA) per essere adibiti a mansioni gravemente inferiori, taluni addirittura a compiti di carattere manuale.
Molti di questi lavoratori si sono rivolti al nostro studio, che è stato il primo a patrocinare le cause del cosiddetto “Reparto ghetto” di Telecom ottenendo, ancora oggi, sentenze favorevoli per i lavoratori. Lo studio, peraltro, patrocina ad oggi numerose cause nei confronti anche di altre grandi aziende, come, per citarne solo alcune, IKEA, MANPOWER, ALITALIA, GSE, ATAC, AMA, LEONARDO-FINMECCANICA, INVITALIA, BNL, FIDEURAM, ACQUIRENTE UNICO, AERO SEKUR, LAZIOCREA, STAMPA ROMA.
Il demansionamento è, infatti, un illecito, ovvero un inadempimento contrattuale del datore di lavoro che dà diritto, innanzitutto, al risarcimento del danno alla professionalità; danno questo che i giudici determinano assumendo come parametro di riferimento la retribuzione mensile percepita dal lavoratore moltiplicata per i mesi in cui i medesimi subiscono il demansionamento, ed al risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti all’illegittima condotta aziendale (in particolare, il danno biologico, morale ed esistenziale).
In tali casi, è fondamentale agire tempestivamente ed efficacemente per la tutela dei propri diritti negati. In tal senso, lo Studio Legale Salvagni, da anni impegnato nella tutela dei lavoratori su vari fronti (licenziamenti, trasferimenti del lavoratore, appalti illeciti, somministrazioni di lavoro irregolare, lavoro subordinato in genere) garantisce la propria massima disponibilità anche per la soluzione di problematiche urgenti e indifferibili, avendo a tal fine provveduto ad attivare un apposito indirizzo email/account al quale inoltrare le Vostre richieste: demansionamenti@michelangelosalvagni.it