Licenziamenti discriminatori e ritorsivi: evoluzione della giurisprudenza e ripartizione dell’onere della prova

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato su Lavoro e Previdenza Oggi, n. 5/6 2018

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SOMMARIO: 1. Considerazioni preliminari – 2. Questioni interpretative sui licenziamenti disciplinari e per giustificato motivo oggettivo dopo la Legge Fornero: l’insussistenza del fatto, la rilevanza giuridica e la manifesta insussistenza - 3. La tutela reintegratoria quale fattispecie residuale: la fuga in avanti delle domande giudiziali di accertamento di licenziamenti discriminatori e ritorsivi - 4. La fattispecie discriminatoria, riferimenti normativi e tutele sanzionatorie in caso di licenziamento - 5. Norme di riferimento sul licenziamento ritorsivo. Cenni – 5.1. Le novità introdotte dal D.Lgs. n. 23/2015 in tema di licenziamento nullo ai fini della reintegrazione. Cosa si intende per «altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge» - 6. Orientamenti giurisprudenziali in tema di licenziamento discriminatorio e ritorsivo: l’interpretazione estensiva e la sovrapposizione delle due fattispecie 6.1. Casi concreti esaminati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità  - 7. Il nuovo orientamento della Corte di Cassazione che differenzia le due diverse ipotesi di licenziamento discriminatorio e ritorsivo: le sentenze n. 6575 del 5 aprile 2016 e n. 14456 del 9 giugno 2017 - 8. La ripartizione dell’onere della prova tra discriminazione e ritorsività nell’interpretazione della Cassazione - 9. La giurisprudenza di merito dopo il Jobs Act: la distinzione tra licenziamenti discriminatori e ritorsivi – 10. Conclusioni.

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Trasferimento d'azienda, garanzie ex art. 2112 C.C. e nullità del licenziamento per motivo illecito determinante

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in CSDN Roma

Trib. Latina, 8° giugno 2018 – est. dott.ssa Marotta – M.O. (Avv. Alessandra Marconi) c. S. S.r.l. (Massimo D’Ambrosio).

Il divieto di cui all’art 54, D. Lgs. n. 151/2012 subisce una deroga esclusivamente in ipotesi di cessazione dell’attività d’impresa, sicché, in ipotesi di trasferimento d’azienda, il licenziamento intimato dalla società cedente in violazione della disciplina a tutela della maternità, nonché delle garanzie previste dall’art. 2112 è nullo in quanto contrario a norma imperativa e sorretto da motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c.

Lavoro (rapporto) – Tutela della lavoratrice in maternità – divieto di licenziamento - Cessazione dell’attività d’impresa – Trasferimento d’azienda – Inapplicabilità – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Discriminazione – Nullità – Motivo illecito determinante – Tutela reale – Applicabilità.

Artt. 1345, 2112, c.c.; Art. 54, D.Lgs. n. 151/2001; Art. 18, comma 1°, L. n. 300/1970.

Con ricorso ex art. 1, co. 47 ss., L. n. 92/2012, una lavoratrice impugnava il licenziamento formalmente comminatole per giustificato motivo oggettivo rappresentato dalla cessazione dell’attività di impresa, deducendo la nullità dello stesso giacché discriminatorio, con conseguente reintegrazione nel proprio posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, comma 1°, St. Lav.

A sostegno delle proprie domande, la ricorrente, dopo aver allegato l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del recesso datoriale, deduceva altresì la violazione della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 151/2001, il quale, all’art. 54, 3° comma, dispone il divieto di licenziamento della madre lavoratrice durante il periodo che va dalla gravidanza al compimento di un anno di età del bambino, con conseguente nullità dello stesso. Inoltre, la ricorrente deduceva che il licenziamento fosse stato intimato dall’azienda resistente in violazione delle garanzie previste dall’art. 2112 c.c. in ipotesi di trasferimento d’azienda; infatti, sul punto, sosteneva la mancata cessazione dell’attività commerciale espletata dalla società presso cui era impiegata, la quale era proseguita, senza soluzione di continuità, a seguito del subentro di una diversa società in qualità di impresa cessionaria negli stessi locali e con la medesima clientela.

Con ordinanza dell’8 giugno 2018, il Tribunale di Latina, nel premettere che il divieto disposto dal D.Lgs. n. 151/2001 a tutela della maternità subisce una deroga esclusivamente in ipotesi di effettiva cessazione dell’attività di impresa, ritiene che il caso di specie, lungi dall’integrare tale ipotesi, configura un trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.

Su tale presupposto, dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di trasferimento d’azienda, il giudice del lavoro accerta che l’intervenuto mutamento nella titolarità aziendale è inidoneo a fondare, per ciò solo, autonomo e legittimo motivo di licenziamento e comporta, al contrario, l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’azienda cessionaria in applicazione delle garanzie ex art. 2112 c.c.

Tanto premesso, il Tribunale di Latina ritiene che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’azienda cedente sia affetto da nullità insanabile di cui all’art. 18, 1° comma, St. Lav.; in particolare il giudice pontino afferma che il recesso de quo integri l’ipotesi di “altri casi di nullità previsti dalla legge” ivi contemplata in via residuale, giacché disposto in violazione dell’art. 2112 c.c. che ha natura imperativa, ritenendo che il tale licenziamento sia riconducibile a motivo illecito determinante di cui all’art. 1345 c.c.

Pertanto, il Tribunale condanna la società cessionaria a riammettere in servizio la lavoratrice con efficacia ex tunc, con conseguente condanna delle due società, in solido, al pagamento di tutte le retribuzioni e i contributi previdenziali maturati medio tempore dalla lavoratrice.

La pronuncia si impone all’attenzione degli interpreti, giacché, da un lato, valorizza la natura imperativa dell’art. 2112 c.c., in quanto tale inderogabile dall’autonomia privata, e, dall’altro, ritiene di applicare, prima ancora che le garanzie ivi disposte a tutela dell’occupazione, le conseguenze sanzionatorie di diritto comune che, mai come negli ultimi tempi, si rivelano particolarmente efficaci finanche nel campo del diritto del lavoro e, soprattutto, in ipotesi di licenziamento.

Infatti, a seguito delle ultime riforme che, dapprima nel 2012 e, successivamente nel 2015, hanno interessato il mercato del lavoro, l’applicazione della tutela reale in ipotesi di licenziamento viziato è stata relegata, come noto, ad ipotesi residuali, confluite nel solo 1° comma dell’art. 18 St. Lav., disciplinante la fattispecie di nullità del licenziamento.

Sul punto, l’ordinanza in commento, seppur attraverso un’argomentazione inedita, contribuisce a smentire la tesi, pure avanzata in dottrina, della c.d. tipicità delle nullità rilevanti ai fini dell’applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del 1° comma, art. 18 L. n. 300/1970 che, lungi dal riferirsi alle sole nullità espressamente contemplate della legge, ricomprende finanche le singole fattispecie disciplinate dal codice civile agli artt. 1345 ss. c.c.

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Garanzie ex art. 2112 c.c. e nullità del licenziamento in frode alla legge

Articolo di Michelangelo Salvagni

pubblicato su www.csdnroma.it 

Trib. Latina, 8° aprile 2018 – est. dott.ssa Avarello – G.V. (Avv. Monica Persico) c. S. S.r.l. S. (contumace).

In ipotesi di trasferimento d’azienda, il licenziamento intimato dalla società cedente in violazione delle garanzie previste dall’art. 2112 è nullo in quanto disposto in frode alla legge allorché, nonostante il mutamento della titolarità aziendale, ricorra identità tra il cedente e cessionario con riferimento agli strumenti aziendali, alla sede e alla clientela. 

Lavoro (rapporto) – licenziamento, per giustificato motivo oggettivo – Trasferimento (d’azienda) – Frode alla legge – Nullità – Tutela reale – Applicabilità.

Artt. 1344 c.c. e 2112, c.c.; Art. 18, comma 1°, L. n. 300/1970.

Con ricorso ex art. 1, co. 47 ss., L. n. 92/2012 una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole verbalmente dal proprio datore di lavoro per presunto motivo giustificato oggettivo, deducendo l’inefficacia e/o la nullità, ovvero l’illegittimità dello stesso perché disposto in violazione delle garanzie previste dall’art. 2112 c.c. in ipotesi di trasferimento d’azienda; la dipendente, sul punto, allegava la mancata cessazione dell’attività commerciale espletata dalla società presso cui era impiegata, la quale era proseguita, senza soluzione di continuità, a seguito del subentro di una diversa società in qualità di impresa cessionaria.

Con ordinanza dell’8 aprile 2018, il Tribunale di Latina, dopo aver puntualmente ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di trasferimento d’azienda, ha ritenuto sussumibile nell’alveo applicativo dell’art. 2112 c.c. la vicenda de qua; in particolare, il giudice pontino ha accertato l’intervenuto mutamento della titolarità aziendale, in quanto tale inidoneo a fondare, per ciò solo, autonomo e legittimo motivo di licenziamento e comportante, al contrario, l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’azienda cessionaria.

Tanto premesso, il giudice del lavoro di Latina ha affermato che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’azienda cedente fosse affetto, prima ancora che dall’inefficacia riconducibile alla mancata comunicazione del recesso in forma scritta, da nullità ex art. 18, 1° comma, St. Lav., giacché disposto in frode alla legge, stante il precipuo intento perseguito dal datore di lavoro cedente di eludere la normativa prescritta a garanzia dell’occupazione dei lavoratori coinvolti dal trasferimento d’azienda dall’art. 2112 c.c.

Pertanto, il Tribunale ha condannato la società cessionaria a riammettere in servizio la lavoratrice con efficacia ex tunc, conseguendone altresì il diritto della dipendente a percepire tutte le retribuzioni e i contributi previdenziali maturati medio tempore.

La pronuncia si impone all’attenzione degli interpreti, giacché, nell’accogliere una soluzione oltremodo originale, valorizza la natura imperativa dell’art. 2112 c.c., in quanto tale inderogabile dall’autonomia privata; il Tribunale, nell’accertare la nullità del licenziamento poiché disposto in frode alla legge, ritiene di applicare, prima ancora che le garanzie ex art. 2112 c.c., le conseguenze sanzionatorie di diritto comune che, mai come negli ultimi tempi, si rivelano particolarmente efficaci finanche nel campo del diritto del lavoro e, soprattutto, in ipotesi di licenziamento.

Infatti, a seguito delle ultime riforme che, dapprima nel 2012 e, successivamente nel 2015, hanno interessato il mercato del lavoro, l’applicazione della tutela reale in ipotesi di licenziamento viziato è stata relegata, come noto, ad ipotesi residuali, confluite nel solo 1° comma dell’art. 18 St. Lav., disciplinante la fattispecie di nullità del licenziamento.

Sul punto, l’ordinanza in commento, seppur attraverso un’argomentazione inedita, contribuisce a smentire la tesi, pure avanzata in dottrina, della c.d. tipicità delle nullità rilevanti ai fini dell’applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del 1° comma, art. 18 L. n. 300/1970 che, lungi dal riferirsi alle sole nullità espressamente contemplate della legge, ricomprende finanche le singole fattispecie disciplinate dal codice civile agli artt. 1343 ss. c.c.

Pare opportuno richiamare alcuni precedenti di merito che si sono espressi in tal senso: Trib. Trento del 18 dicembre 2017, in corso di pubblicazione su RGL, con nota di A. Federici e Trib. di Vicenza del 4 novembre 2016, in Questione Giustizia, 11 ottobre 2017 con nota M. Vitali.  

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Obbligo di repechage quale elemento costitutivo del licenziamento per g.m.o. la cui inosservanza determina la reintegra del lavoratore

Articolo di Michelangelo Salvagni

pubblicato su www.csdnroma.it

CORTE DI APPELLO DI ROMA – Sentenza del 1° febbraio 2018, n. 469 - (Pres., Rel. dott. G. Pascarella), S. S.R.L. (avv.ti Giovanni Beatrice e Giampaolo Marrazzo ) c./ A.R. (avv. Carlo Alessandrini e Loredana Di Folco).

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – manifesta insussistenza del fatto – obbligo di repechâge datore di lavoro – obbligo di repechâge integrato nella fattispecie del g.m.o. – reintegra del lavoratore

L’impossibilità di ricollocare il lavoratore all’interno della compagine aziendale integra uno degli elementi costitutivi della fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sicché, qualora il datore di lavoro ometta di fornire la prova, trova applicazione la c.d. tutela reale attenuata introdotta dalla l. n. 92/2012 e prevista in ipotesi di “manifesta infondatezza del fatto” posto a fondamento del recesso datoriale.

L’evoluzione giurisprudenziale in tema di dovere datoriale di repêchage è passata da un risalente orientamento più rigido, che prevedeva tale obbligo solo per mansioni equivalenti (sul punto si vedano, ex multis,: Cass., 10.3.1992, n. 2881, e, in senso conforme, Cass., 3.6.1994, n. 5401, nonché Cass., 27.11.1996, n. 10527 e Cass., 14.12.2002, n. 17928, tutte consultabili su www.dejure.it.), ad uno invece più flessibile, secondo cui era possibile derogare al divieto di adibizione a mansioni inferiori sul presupposto che fosse prevalente l’interesse del dipendente al mantenimento del posto di lavoro. L’obbligo di repêchage, la cui teorizzazione va ricollegata al concetto del licenziamento quale extrema ratio, risale a elaborazioni dottrinali  sviluppate degli anni ’70 (fautore della tesi dell’obbligo di repêchage è F. Mancini, in Commento all’art. 18, Commentario allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Bologna, 1972), ma ha trovato terreno fertile nella successiva interpretazione giurisprudenziale che, nel tempo, ha tentato di delineare quale fosse il campo di delimitazione delle scelte imprenditoriali tenendo conto del necessario bilanciamento dei contrapposti interessi costituzionalmente garantiti per la tutela del lavoro e per quella dell’impresa (artt. 4 e 41 della Cost.). L’obbligo di ricollocazione rappresenta lo strumento di ulteriore verifica della correttezza delle scelte imprenditoriali; viene così posto a carico del datore di lavoro che irroga il licenziamento per giustificato motivo oggettivo il dovere di collocare il lavoratore, altrimenti licenziato, in una diversa e proficua posizione all’interno dell’azienda.

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