La configurabilità del trasferimento in caso di riammissione in servizio in nuova sede a seguito di nullità del termine

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.4/2014

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CORTE DI CASSAZIONE, 25 febbraio 2014, n. 13060, Sez. lav. – Pres. Vidiri – Rel. Ghinoy – Poste Italiane S.p.A. (avv. Pessi) c. R.F. C.F. (avv. Vacirca). 

Conf. Corte di Appello di Firenze del 6 ottobre 2007.

 

Contratto a termine – Nullità clausola appositiva del termine – Riammissione in servizio in sede diversa da quella di originaria appartenenza – Trasferimento del lavoratore ex art. 2103 c.c. – Eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. per ripristino rapporto di lavoro in altra sede di lavoro – Licenziamento – Reintegrazione nel posto di lavoro.

 

L’ordine di riammissione nel posto di lavoro emanato dal giudice che dichiara la nullità del termine apposto ad un contratto esige che il lavoratore sia in ogni caso ricollocato nel luogo e nelle mansioni originarie, salva la facoltà per il datore di lavoro di disporne con successivo provvedimento il trasferimento ad altra unità produttiva, laddove ne ricorrano le condizioni tecniche, organizzative e produttive. Ne consegue che il trasferimento del lavoratore al di fuori di tali condizioni è nullo, in quanto integra un inadempimento contrattuale da parte del datore di lavoro, e giustifica, sia quale attuazione dell’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. sia in considerazione dell’inidoneità a produrre effetti da parte degli atti nulli, il rifiuto del dipendente di assumere servizio nella sede diversa cui sia stato destinato (1).

 

LA CONFIGURABILITA’ DEL TRASFERIMENTO EX ART. 2103 C.C. IN CASO DI RIAMMISSIONE IN SERVIZIO IN NUOVA SEDE A SEGUITO DI NULLITÀ DEL TERMINE

 

 

1 - La sentenza che si commenta conferma l’orientamento già espresso dalla Suprema Corte per cui è illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore che non si sia presentato in servizio qualora il datore di lavoro – a seguito dell’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro e del conseguente ordine di riassunzione disposto dal Giudice – non abbia provveduto a ricollocarlo nel luogo e nelle mansioni originarie, trasferendolo, contestualmente alla riammissione in servizio,  ad altra unità produttiva, senza che tale provvedimento datoriale sia formalmente qualificato come trasferimento e, in ogni caso, sia giustificato dalle comprovate ragioni ex art. 2103 cod. civ..

La decisione è di particolare interesse in quanto offre un’importante chiave di lettura rispetto ai molteplici contenziosi esistenti su tale tematica che, in modo prevalente, hanno riguardato la società Poste Italiane S.p.a.. Sussistono, infatti, numerosi precedenti giurisprudenziali generati dal fatto che tale società, a seguito dell’azione giudiziaria volta all’accertamento della nullità del termine e della conseguente condanna alla riammissione in servizio, in adempimento dell’ordine giudiziale, ha ripristinato il rapporto di lavoro in una sede diversa da quella in cui il lavoratore ha prestato servizio originariamente (ex multis: Cass. n. 976 del 07.02.1996, in Giur. it., 1997, I, 1, 968; Cass. n. 13727 del 14.10.2000, in Orient. giur. lav., 2001, I, 343 e in Giust. civ., 2001, I, 2738;  Cass. n. 8584 del 05.04.2007,  inedita;  Cass. n. 27844 del 30.12.2009,  Repertorio Foro It. 2009, 3890, n. 1585;  Cass. n. 11927 del 16.05.2013 e Cass. n. 27804 del 12.12.2013, a quanto consta non pubblicate).   

La  materia è di rilevante importanza in quanto il trasferimento del lavoratore dalla precedente sede di lavoro e, spesso, anche dal luogo in cui presumibilmente il medesimo vive, ha notevoli ripercussioni sulla vita familiare e sociale del medesimo e, nella sostanza, maschera un licenziamento poiché potrebbe indurre quest’ultimo a rassegnare le proprie dimissioni.

La ratio dell’art. 2103 cod. civ., che infatti pretende che le ragioni del trasferimento siano “comprovate”,  è proprio quella di evitare che tale provvedimento possa essere utilizzato in maniera ritorsiva per estromettere un lavoratore “non gradito”. Il legislatore, conseguentemente, con il rafforzativo “comprovate” (e quindi non il più semplice provate) ha preteso che le motivazioni siano cogenti e reali, essendo notorie le eventuali conseguenze economiche e familiari di un trasferimento presso un’altra città che, magari, dista centinaia di chilometri di distanza da quella di originaria appartenenza.

Lo scopo del presente commento è di comprendere se le disposizioni garantiste previste dall’art. 2103 cod. civ., a tutela del prestatore contro i trasferimenti ingiustificati, possano applicarsi anche alle ipotesi del ripristino del rapporto di lavoro a seguito della dichiarazione giudiziale della nullità del termine apposto al contratto di lavoro. Ciò sulla falsariga di quanto la giurisprudenza, da sempre, ha affermato in caso di reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro ex art. 18 L. 300 del 1970.  L’altro profilo giuridico che interessa, poi, l’odierna nota, è quello relativo all’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. che il prestatore esercita come reazione ad un provvedimento illegittimo. La tematica, ovviamente, è funzionalmente collegata alla qualificazione - come trasferimento ex art. 2103 cod. civ -  della disposizione datoriale di riammissione in servizio presso una nuova sede. La mancanza, infatti, di tale accertamento farebbe venir meno la possibilità di opporre l’eccezione e, quindi, risulta imprescindibile tale preliminare qualificazione (il trasferimento) al fine del completamento della seconda fattispecie (l’inadempimento contrattuale e la conseguente eccezione), che in tal modo diventano un unicum.        

 

Chiarito quale sia il nodo centrale della vicenda de qua, si rileva che la questione è dibattuta in giurisprudenza proprio in ragione dei rilevanti interessi soggettivi che incidono significativamente sulla vita del prestatore di lavoro nei casi di trasferimento ex art. 2103 cod. civ.. Al riguardo, occorre evidenziare che gli indirizzi formatisi nel tempo hanno preso in considerazione, principalmente, una fattispecie analoga a quella in esame, ossia quella relativa al trasferimento del lavoratore a seguito della reintegrazione sul posto di lavoro ex 18 L. 300/70. Su quest’ultima questione la giurisprudenza, in maniera consolidata, ha affermato il principio per cui è illegittimo il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva a seguito dell’ordine di reintegrazione ex art. 18. L. 300/70, contestualmente all’invito a riprendere servizio dopo l’ordine di reintegra, in ragione del fatto che il sistema della tutela giudiziaria impone di ragionare come se il fatto illegittimo (nella specie, l’estromissione) e la conseguente sanzione (nella specie, l’ordine di reintegra) fossero istantanei, cosicché l’indagine circa la sussistenza delle ragioni giustificatrici del trasferimento andava condotta con riferimento al momento dell’estromissione stessa (in tal senso, Tribunale Civile di Milano, Sezione Lavoro 26.04.1997, est. Gargiulo, inedita).

Tale tesi è stata successivamente ribadita anche dalla Corte di Cassazione che sul tema ha affermato: «l’accertamento giudiziale dell’illegittimità dell’estromissione ed il conseguente ordine di reintegrazione, ricostituendo de iure il rapporto – da considerare, quindi come mai risolto – ne ripristinano integralmente l’originario contenuto obbligatorio, comprendente anche il diritto del lavoratore a riassumere le abituali mansioni nel posto di lavoro occupato anteriormente… » (Cassazione, Sezione Lavoro, sentenza n. 13727 del 14 ottobre 2000, a quanto consta non pubblicata). Ebbene, anche se l’orientamento sopra evidenziato si riferisce, come detto, ai trasferimenti disposti a seguito di ordine di reintegra ex art. 18 L. 300/70, tali principi, tuttavia, possono essere presi in considerazione anche per il trasferimento del lavoratore posto in essere a seguito della ricostituzione del rapporto di lavoro, anche se non vi sia l’ordine di reintegrazione, come ad esempio nel caso di specie caratterizzato appunto da un ordine di riammissione in servizio a seguito dell’accertamento della nullità del termine.

 

L’orientamento della Corte di legittimità espresso dalla sentenza che si annota, quindi, non risulta essere nuovo in ambito giurisprudenziale anche con riferimento alla ricostituzione del rapporto a prescindere dall’ordine di reintegrazione. Sul punto, si osserva che la giurisprudenza, sulla base di un’interpretazione analoga a quella più volte posta in essere nel caso di reintegra del lavoratore ex art. 18, L. 300/70, ha configurato quale trasferimento illegittimo anche il provvedimento datoriale di riammissione in servizio del lavoratore in una sede diversa da quella ove ha prestato originariamente servizio. Tale statuizione, infatti, è stata più volte adottata dai giudici di merito, i quali hanno ripetutamente sostenuto che «la situazione che si verifica a seguito dell’ordine di riammissione in servizio è sostanzialmente identica all’ipotesi in cui venga ordinata la reintegrazione nel posto di lavoro in conseguenza dell’accertamento della illegittimità del licenziamento. Infatti in entrambi i casi vi è un provvedimento giurisdizionale che ricostituisce il rapporto illegittimamente risolto, facendo rivivere le obbligazioni nascenti dal contratto originariamente stipulato» (cfr. Trib. Milano del 5.03.2004, est. Dott. Salmeri, nonché Trib. Sondrio del 19.05.2005, est. Dott.ssa Azzolini, inedite). L’orientamento è costante anche presso il Tribunale di Roma, anche per fattispecie diverse dal contratto di lavoro a termine ove i giudici hanno osservato che «l’accertamento giudiziale della nullità di un contratto a tempo determinato o, come nella specie, di un contratto di lavoro interinale e della conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con obbligo del datore di lavoro di ripristinare lo stesso non determina la costituzione ex novo di tale rapporto, ma accertandone la permanenza, fa rivivere la operatività delle originarie obbligazioni sinallagmatiche …di conseguenza, l’obbligo del datore di lavoro che ne discende non è limitato, come sostenuto dalla resistente, ad un inserimento ex novo del lavoratore nell’organizzazione aziendale, ma è quello di ripristinare il rapporto nelle originarie modalità di svolgimento [omissis] pertanto, quando tale esercizio, come avvenuto nel caso di specie, avvenga contestualmente alla riammissione in servizio del prestatore per ordine del giudice, lo spostamento di questi ad una unità produttiva diversa da quella cui era precedentemente adibito costituisce un trasferimento soggetto ai relativi limiti di legge (sussistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive [omissis]» (in tal senso Tribunale Roma, sentenza n. 14814 del 08.10.2008, est. Dott.ssa Perra, nonché in senso conforme: Tribunale Roma, sentenza n. 9226 del 27.05.2010, est. Dott. Orfanelli; Tribunale Roma, sentenza n. 8984 del 10.05.2011, est. Dott. Valle; Tribunale Roma n. 14476 del 22.09.2011, est. Dott. Selmi; Tribunale di Roma, sentenza n. 358 del 12.01.12, est. Dott.ssa Foscolo,  nonché in senso conforme Corte di Appello di Roma, sentenza 651 del 21.02.13, rel. Dott.ssa Marasco, tutte a quanto consta non pubblicate).   

 

Tornando alla questione oggetto di commento, si evidenzia che nei precedenti giudizi di merito è stata accertata l’illegittimità del licenziamento de quo in considerazione del fatto che il datore di lavoro, nel dare esecuzione alla sentenza del giudice del lavoro, ha sì riammesso il lavoratore in azienda invitandolo, tuttavia, a riprendere il servizio in una sede diversa da quella assegnata in origine. Conseguentemente, la mancata presentazione del lavoratore in azienda ha generato il recesso da parte di Poste per assenza ingiustificata dal lavoro. La Corte di appello fiorentina, in merito, ha sottolineato che la riammissione del lavoratore con assegnazione ad una sede diversa rispetto a quella originaria, configura un inadempimento contrattuale ex art. 1406 cod. civ. da parte della Società, tale da concretizzarsi in un illegittimo trasferimento sì che il rifiuto della prestazione da parte del lavoratore può considerarsi giustificato e il recesso di Poste illegittimo. 

Sul punto i giudici di legittimità, nella sentenza in analisi, hanno confermato il principio secondo cui  l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della originaria posizione di lavoro del dipendente; il reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo e nelle mansioni originarie, atteso che il rapporto contrattuale si intende come mai cessato e, quindi, la continuità dello stesso implica che la prestazione deve persistere nella medesima sede (si veda sul punto in dottrina: G. Pera, Sul contratto di lavoro a termine e sul regime sanzionatorio del licenziamento ingiustificato, q. Riv., 2002, I, 15, nonché su analoga questione a quella in esame cfr. nota a sentenza Corte di Appello di Firenze del 09.10.2007

Lorea, Nullità del termine, trasferimento del lavoratore all’atto della reintegrazione e suo rifiuto di riprendere servizio per illegittimità del mutamento del luogo di lavoro, Riv. It. dir. Lav., 3, 2008, pag. 605).

Secondo i giudici di legittimità una volta ripristinato il rapporto di lavoro, il lavoratore torna ad essere nuovamente titolare dei medesimi diritti ed obblighi precedenti alla interruzione del rapporto  lavorativo, compresi il luogo di lavoro e le mansioni previsti al momento della costituzione del rapporto di lavoro (in tal senso si vedano: Cass. n. 976 del 07.02.1996; Cass. n. 8584 del 05.04.2007; Cass. n. 27844 del 30.12.2009; Cass. n. 11927 del 16.05.2013; Cass. n. 27804 del 12.12.2013, tutte cit.). Resta salva, sempre secondo la Suprema Corte, la facoltà del datore di lavoro di disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, ma in tal caso devono sussistere le ragioni tecniche, organizzative e produttive richieste dall’art. 2103 c.c.. In concreto, a parere della sentenza  in esame,  il contratto di lavoro  - qualsiasi ne sia la natura (a tempo determinato, interinale, ecc.) - per effetto dell’ordine giudiziale di ripristino del rapporto, viene ricostituito con la società nella sua originaria formulazione come se non fosse mai cessato, con esclusione della sola clausola nulla. La continuità contrattuale implica, pertanto, che la prestazione lavorativa deve persistere nella medesima sede nella quale era in essere al momento della cessazione del rapporto. La riammissione in servizio presso un’unità produttiva diversa da quella originaria deve essere interpretata come ripristino del rapporto di lavoro, con contestuale trasferimento in una sede diversa rispetto a quella di originaria appartenenza. L’atteggiamento del lavoratore di non presentarsi in servizio qualora siano mutate il luogo e le mansioni assegnate originariamente a lavoro non rappresenta un inadempimento da parte del prestatore, ma una reazione proporzionata e conforme a buona fede tale da costituire una legittima eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., anche in considerazione della circostanza che gli atti nulli (e quindi la riammissione a lavoro in posto diverso da quello originario) non sono produttivi di effetti.

In ragione dei principi sin qui espressi,  risulta pienamente condivisibile il principio espresso dalla Suprema Corte in commento che, confermando la sentenza della Corte d’appello fiorentina, ha  stabilito che l’invito a riprendere servizio in una sede diversa da quella originaria è stato correttamente inteso come trasferimento nullo, implicante un inadempimento del contratto di lavoro che legittima il rifiuto del dipendente a riprendere la prestazione lavorativa.