Il datore di lavoro ha sempre l'obbligo di tutelare l'integrità fisio-psichica dei dipendenti contro il rischio di aggressioni criminose

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.4/2008

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I

 

TRIBUNALE TORINO, 27 marzo 2008, Sez. lav. – Est. Lanza – C. Z. (avv.ti Martino, Distasio) c. Autogrill Spa (avv. Lavizzari).

 

 

II

 

TRIBUNALE TORINO, 27 marzo 2008, Sez. lav. – Est. Denaro – P. S. (avv.ti Martino, Distasio) c. Autogrill Spa (avv. Lavizzari).

 

 

III

 

TRIBUNALE TORINO, 5 maggio 2008, Sez. lav. – Pres. Ciocchetti, Est. Bianco – P. S. e C. Z. (avv.ti Martino, Distasio) c. Autogrill Spa (avv. Lavizzari).

Conferma Trib. Torino.

 

Sicurezza sul lavoro – Obbligo di prevenzione dai rischi da rapine – Insufficienza di adeguate misure di tutela – Richiesta di astensione dalla prestazione lavorativa nei turni di lavoro oggetto di episodi criminosi – Ripartizione dell’onere della prova – Responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di sicurezza per l’attività criminosa di terzi – Sussistenza.

 

L’art. 2087 cod. civ. impone al datore di lavoro l’adozione e il mantenimento delle misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione dell’integrità psico-fisica in ambiente di lavoro e in costanza dello stesso tanto più in relazione alla frequenza assunta dalla attività criminosa di terzi rispetto a una certa attività; ciò a prescindere da criteri di fattibilità economica. (1)

 

 

I

 

(Omissis)

A scioglimento della riserva il giudice osserva quanto segue.

La ricorrente prospetta il disagio di dover lavorare, per tre notti al mese, nel turno 22-6, presso l’Autobar di Settimo Torinese nord, come unica addetta; fa presente che il locale, posto sull’autostrada Torino-Milano, «possiede una particolarità logistica che lo distingue dagli altri punti di ristoro siti sulla rete autostradale di Torino […] poiché è accessibile da una strada secondaria (strada Cebrosa) non sbarrata da caselli [e ciò] rende particolarmente vulnerabile il punto di ristoro, il quale pertanto è teatro di frequenti rapine quasi sempre nelle ore serali notturne» (così i capitoli 5, 6 e 7 del ricorso); lamenta che le misure di sicurezza approntate dalla società convenuta per proteggere i dipendenti da azioni criminose (oltre alle rapine anche episodi di intimidazione e bullismo) non sono sufficienti – in particolare il servizio di vigilanza esterna è stato disposto solo episodicamente, nei giorni immediatamente successivi alle rapine –; evidenzia uno stato patologico di ansia e depressione, vistosamente peggiorato negli ultimi tempi (da gennaio 2008, vedi interrogatorio libero), diagnosticato sia dal medico di base che dal neurologo (vedi certificati in atti).

Chiede pertanto in via di urgenza di ordinarsi al datore di lavoro di approntare misure idonee a tutelare la sua integrità fisica e morale e autorizzarsi l’astensione dalla prestazione lavorativa nel turno notturno;

– la convenuta dà atto che dal giugno 2007 nel locale di Settimo Torinese nord si sono verificate rapine a mano armata, e precisamente in data 11 giugno 2007 alle ore 23, in data 25 novembre 2007 alle ore 21,50, in data 1° dicembre 2007 alle ore 19,20, in data 16 gennaio 2008 alle ore 20,30, in data 6 marzo 2008 alle ore 21 (quest’ultimo episodio dopo il deposito del ricorso), senza danni alle persone; sostiene di aver posto in essere tutte le misure di sicurezza possibili, tenuto conto che l’Autobar sorge su aree di proprietà della Spa Total Fina – dunque di soggetto terzo e anche i locali sono della Spa Total Fina (Omissis)

Sostiene ancora l’azienda che il rischio-rapine non può essere eliminato, e rileva infine la inammissibilità delle domande poiché il diritto vantato dalla lavoratrice, che pretende di essere affiancata da altri dipendenti ovvero pretende l’attuazione di un permanente servizio di guardie armate, non sussiste poiché spetta all’imprenditore il compito di organizzare l’impresa.

Così precisate le rispettive posizioni, questo giudice rileva:

– è pacifico il numero di rapine a mano armata verificatosi nell’ultimo periodo (sette mesi);

– è risultato dalle dichiarazioni del teste Gallo, responsabile della sicurezza del gruppo Autogrill Spa, che il punto di ristoro di Settimo è soggetto a un rischio-rapine più elevato rispetto la media nazionale «per un motivo geografico di viabilità nel senso che i criminali in relazione a quell’Autobar hanno una via di fuga agevolata» e anche perché vi è una recinzione, installata a cura della Spa Total Fina, alta solo un metro che può essere scavalcata;

è anche risultato che, a seguito del picco di rapine negli ultimi tre mesi, dal ricorso identico di altra lavoratrice, l’azienda ha provveduto ad incrementare le misure di sicurezza, a questo sollecitata proprio dallo stesso responsabile della sicurezza (vedi deposizione teste Gallo); dunque le misure di sicurezza all’atto del deposito del ricorso sono state ritenute non adeguate proprio dal soggetto a ciò preposto;

– è risultato altresì che la ricorrente è affetta da stato ansioso-depressivo certificato da due medici; stato ansioso che la stessa ricorrente (che negli anni passati ha subìto 3 rapine) ricollega al continuo timore, peraltro non infondato, di poter essere oggetto di ulteriori atti delittuosi nel turno serale-notturno;

– ora, è dovere dell’imprenditore tutelare la sicurezza e l’integrità fisica e psichica dei propri dipendenti (articolo 2087 cod. civ.); la libertà di iniziativa imprenditoriale e il diritto dell’imprenditore di organizzare la propria impresa a fini di lucro (ex articolo 41 Costituzione) trova ovviamente un limite anche nella norma di tutela della salute e della sicurezza sopra citata; né può affermarsi che l’imprenditore è tenuto all’impossibile, e cioè, per tornare al caso di specie, a eliminare il rischio di rapine o di atti di violenza nelle ore serali notturne, rischio che evidentemente non può essere mai annullato del tutto; tuttavia si è visto che lo stato dei luoghi (area e locali dell’Autobar di Settimo Torinese nord) non è ottimale, sotto il profilo della sicurezza; ne sono prova il numero decisamente alto di rapine negli ultimi mesi e le parole del teste Gallo, che ha definito anomala la situazione dell’Autobar rispetto alla media nazionale (e ha con chiarezza spiegato i motivi delle sue affermazioni);

– pertanto, ritiene il giudice che nell’ambito della sommaria cognizione che caratterizza il procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. la ricorrente abbia dimostrato la verosimiglianza del proprio diritto, diritto alla miglior tutela della salute e dell’integrità psico-fisica ex articolo 2087 cod. civ. e abbia cioè dimostrato la particolare modalità di resa della prestazione, in quanto di notte presso l’Autobar vi è un solo addetto, la patologia ansioso-depressiva, il ragionevole nesso di causalità tra una situazione lavorativa decisamente preoccupante (ancorché limitata a poche notti al mese) e la patologia ansiosa certificata;

– il pericolo nel ritardo appare in re ipsa, data la particolarità della questione, ed è da porre in relazione all’impossibilità, per la ricorrente, di attendere il giudizio a cognizione piena, stante il rapporto di causalità sopra evidenziato;

– tuttavia ritiene il giudice che non sia consentito, in questa sede, esaminare approfonditamente il merito della questione, al fine di valutare se e quali provvedimenti siano necessari per la tutela della salute della ricorrente, valutazione che è rimessa all’eventuale giudizio di merito; qui appare sufficiente, quale provvedimento temporaneo per la tutela del diritto fatto valere, disporre la non adibizione della ricorrente al turno temuto (dalle 20,00, tenuto conto che le rapine sono state commesse anche tra le 19,20 e le 21, alle 06,00) sin visto l’esito dell’eventuale giudizio di merito.

 

 

II

 

(Omissis)

Il giudice, sciogliendo la riserva che precede,

accertato

– che la ricorrente è tenuta, nel rispetto delle turnazioni previste dalla società convenuta, a operare da sola come commessa nell’Autobar dell’Autogrill Spa sito sulla autostrada Torino-Milano nei pressi di Settimo Torinese dopo le 16 e anche durante la notte;

– che l’Autobar in questione è raggiungibile anche a mezzo di una strada posta sul retro del locale e non soltanto attraverso il nastro autostradale, sì da trovarsi in una condizione anomala rispetto a quella degli altri analoghi esercizi gestiti dalla convenuta;

– che nel corso degli anni il personale è stato oggetto di rapine a mano armata (in tre occasioni fu vittima la stessa ricorrente) con un intensificarsi delle stesse negli ultimi tempi (due rapine nel dicembre 2007, una nel gennaio 2008 e una il 6 marzo 2008);

– che la ricorrente si trova dall’8 febbraio 2008 afflitta da uno stato ansioso-depressivo debitamente certificato dal suo medico curante, stato da lei ricollegato in modo verosimile alla tensione e alla preoccupazione cumulate durante le ore serali e notturne trascorse da sola sul luogo di lavoro;

preso atto

– che con il ricorso depositato il 6 marzo 2008 viene dalla interessata richiesta la pronuncia in via di urgenza di un provvedimento che imponga alla società convenuta di adottare opportune misure idonee alla salvaguardia della sua integrità fisica e psichica ovvero un provvedimento di tenore tale che legittimi la propria astensione dal lavoro qualora fosse chiamata nuovamente a svolgere prestazioni in orari notturni;

preso atto

– che la società Autogrill, costituendosi in giudizio, pur non negando la effettività dei fatti prospettati contesta la fondatezza e la ammissibilità della richiesta adozione, soprattutto in via d’urgenza, dei provvedimenti invocati in ricorso;

rilevato

– come sia dovere specifico del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., quello di adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori;

ritenuto

– che l’esigenza di tutela della integrità fisica, e con essa della salute mentale del lavoratore, sembra corretto estenderla anche alla predisposizione di una organizzazione di lavoro tale da porre il dipendente, in particolare se donna, in condizioni da renderlo il più possibile immune da azioni criminose quando esse, come nella fattispecie, si possono ritenere prevedibili e frequenti; conché diviene  indubbia la sussistenza del cd. fumus boni iuris come presupposto per l’accoglimento della domanda;

– che gli accadimenti delittuosi degli ultimi mesi fanno ritenere che il diritto alla salvaguardia della salute del lavoratore si trovi soggetto a pericolo grave, imminente e forse anche irreparabile;

– che non sembra possibile imporre con specifica statuizione, ex art. 700 cod. proc. civ., l’adozione di mezzi di protezione idonei, apparendo comunque prima facie presìdi inadeguati l’installazione di telecamere, di sistemi di collegamento a distanza e di impianti di illuminazione, attesa la inidoneità di siffatti mezzi a scongiurare azioni delittuose caratterizzate da rapidità di esecuzione;

– che l’unico intervento cautelare riservato al giudice sembra quello interdittivo di una prestazione che la ricorrente debba rendere da sola nell’arco di un certo nastro orario e precisamente durante la sera e la notte (Omissis)

Ordina alla Autogrill Spa di non utilizzare la ricorrente in turni di lavoro quale unica persona presente nell’Autobar di Settimo torinese, dalle ore 20,00 alle ore 06,00 fin visto l’esito dell’eventuale giudizio di merito.

 

 

III

 

(Omissis)

È evidente che la tutela dell’integrità fisio-psichica dei lavoratori dipendenti dalle aggressioni dell’attività criminosa di terzi in virtù dell’art. 2087 cod. civ. non consente di comprendere ogni ipotesi di pericolo o di danno sulla base dell’affermazione per cui il rischio non si sarebbe verificato in presenza di ulteriori accorgimenti di valido contrasto per cui il verificarsi dell’evento costituisce circostanza che prova il mancato uso di mezzi tecnici idonei visto l’eventuale aggiramento di quelli apprestati dal datore di lavoro. Però, nel caso di specie, si sono delineati in modo inequivoco due elementi fattuali che consentono di escludere, quanto meno in fase cautelare, una responsabilità oggettiva del datore di lavoro che costituisce la logica conseguenza di quanto appena affermato e affermare invece una responsabilità della società per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 cod. civ.

In primo luogo è risultato pacifico in causa che il locale di Settimo negli ultimi tempi è stato quello che ha subìto più rapine a livello nazionale tra gli Autogrill d’Italia verosimilmente perché vi si accede anche mediante una strada statale dunque è oggettivamente più esposto.

In secondo luogo è emerso non solo che in relazione a tale maggiore esposizione non erano state adottare misure più incisive rispetto a quelle adottate ordinariamente negli altri locali, ma anche che solo in occasione di questo contenzioso sono stati installati sul retro del locale un faro in è corrispondenza dei punti dov’è possibile scavalcare la rete di recinzione nonché una telecamera sul davanti e due sul retro dell’esercizio.

Ora, in punto di responsabilità del datore di lavoro art. 2087 cod. civ. non è la parte che subisce l’inadempimento che deve dimostrare la colpa dell’altra, ma è tenuta ad allegare, come è avvenuto, l’esistenza del fatto materiale e le regole di condotta che assume violate, ma è il datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o il pregiudizio che comunque colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile (Cass., Sez. lav., sentenza n. 14469 del 7 novembre 2000).

Sul punto la società reclamante si è limitata ad affermare che una recinzione più alta di quella esistente (mezzo metro) e comunque più idonea a impedire che terzi la scavalchino è stata chiesta all’impianto di distribuzione carburante Total Fina, in tempi e modi non meglio precisati, e che far lavorare durante la notte due lavoratori contemporaneamente o predisporre una vigilanza armata solo per la notte sarebbe antieconomico per la società.

A quest’ultimo riguardo va precisato altresì che, pur avendo le parti o rappresentato che nei giorni immediatamente successivi alle rapine non si sono verificati ulteriori fatti criminosi, probabilmente anche per la presenza dell’automobile del servizio di vigilanza, in un’ottica conciliativa la parte reclamante non ha accettato di predisporre tale servizio neppure fino al giudizio definitivo.

In conclusione, fermo restando che la natura e la tipologia delle misure adottate rientra nella discrezionalità datoriale, l’art. 2087 cod. civ. impone al datore di lavoro l’adozione e il mantenimento delle misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione dell’integrità fisio-psichica in ambiente di lavoro e in costanza dello stesso tanto più in relazione alla frequenza assunta dall’attività criminosa di terzi rispetto a una certa attività (ex multis, Cass., Sez. lav., sentenza n. 4012 dell’aprile 1998).

In siffatta situazione le ordinanze impugnate devono essere confermate atteso che non è possibile affermare che il datore di lavoro abbia adottato tutte le misure attinenti all’efficienza e al buon andamento del servizio idonee a evitare o limitare eventuali danni a carico dei lavoratori che ovviamente non possono essere esclusi dal dolo di terzi. Peraltro parte reclamante, in buona sostanza, non ha affermato di aver predisposto tutte le misure all’uopo necessarie (che potrebbero anche essere diverse da quelle richieste), ma ha sostenuto che le misure diverse da quelle fino a ora adottate risulterebbero antieconomiche.

(Omissis)

In ordine al periculum in mora residua a questo punto uno spazio valutativo che si sovrappone in prima battuta alle osservazioni suesposte poiché il Collegio ritiene già verosimilmente leso il bene stesso a tutela del quale l’art. 2087 cod. civ. è stato concepito e interpretato.

Occorre considerare a questo punto che solo il provvedimento inibitorio, nel caso concreto, è in grado di assicurare la tutela fisio-psichica delle lavoratrici nel tempo occorrente a dimostrare di aver approntato tutte le misure in tal senso necessarie.

(Omissis)

rigetta i reclami proposti da Autogrill Spa avverso le ordinanze 27 marzo 2008 del Tribunale di Torino – Sezione lavoro – in composizione monocratica confermando le stesse.

 

 

(1) IL DATORE DI LAVORO HA L’OBBLIGO DI TUTELARE L’INTEGRITÀ FISIO-PSICHICA DEI DIPENDENTI CONTRO IL RISCHIO DI AGGRESSIONI CRIMINOSE DI TERZI A PRESCINDERE DA CRITERI DI FATTIBILITÀ ECONOMICA

 

La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2087 cod. civ. quale norma a fattispecie aperta del sistema prevenzionistico — La questione oggetto del presente commento si incentra essenzialmente su una concezione ampia delle tutele disciplinate dall’art. 2087 cod. civ. a protezione della integrità psico-fisica del lavoratore. E, infatti, a tale norma viene riconosciuta, nella unanime interpretazione della dottrina e della giurisprudenza, una funzione di chiusura del sistema prevenzionistico in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, in quanto obbliga il datore di lavoro a predisporre tutte le cautele antinfortunistiche necessarie per tutelare l’integrità fisio-psichica del lavoratore, anche con riferimento a situazioni non regolate specificatamente dal legislatore.

Secondo la dottrina l’art. 2087 cod. civ. supplisce alle «lacune» di una disciplina specifica che ovviamente non può prevedere ogni fattore di rischio (Lorusso, L’art. 2087 cod. civ. e la responsabilità per danni all’integrità psico-fisica del lavoratore, in nota a Cass. 29 marzo 1995, Sez. lav., in Mass. giur. lav., 1995, p. 362). I provvedimenti in esame risultano essere di notevole interesse in quanto aderiscono a quell’orientamento giurisprudenziale e dottrinale che considera, appunto, l’art. 2087 cod. civ. quale norma a fattispecie aperta, obbligando il datore di lavoro all’adozione della tutela più adeguata al caso concreto. E, infatti, le decisioni adottate dal Tribunale di Torino in sede monocratica e confermate dal Collegio colpiscono per la loro singolarità in quanto, ordinando alla società convenuta di non adibire le lavoratrici al servizio in una determinata fascia oraria (in particolare dalle venti alle sei del mattino), potrebbero apparire come un provvedimento di ingerenza dell’autorità giudiziaria nei confronti della organizzazione del datore di lavoro.

Tuttavia, un tale giudizio potrebbe essere espresso solamente nel caso in cui si volesse addivenire a una semplicistica comparazione tra i contrapposti interessi oggetto della situazione concreta, ovvero la salvaguardia dell’integrità psico-fisica del lavoratore, prevista dagli artt. 2087 cod. civ. e 32 della Costituzione, e la tutela della iniziativa economica imprenditoriale, disciplinata invece dall’art. 41 della Costituzione che, in ogni caso, sempre a norma dello stesso articolo, deve espletarsi in modo tale da «non recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana».

L’art. 41 della Costituzione stabilisce quindi la presenza di un altro fondamentale diritto, posto a presidio del patrimonio psico-fisico di cui la persona-lavoratore è portatrice, ovvero il diritto alla «sicurezza» (Per un approfondimento di tale tematica si segnala l’interpretazione di Smuraglia, La sicurezza del lavoro e la sua tutela penale, Milano, 1974, che analizza il diritto alla sicurezza nella sua duplice accezione: la prima, più ristretta e limitata, si riferisce all’integrità psico-fisica del prestatore e concerne tutti i problemi connessi alla probabilità o possibilità che la stessa sia lesa o esposta a pericolo nell’esercizio dell’attività lavorativa; la seconda, invece, più estesa, si avvicina al campo della sicurezza sociale, riguardando la generale situazione in cui viene a trovarsi il lavoratore subordinato).

Sempre secondo la dottrina la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, in virtù della lettura combinata degli artt. 32 e 41 della Costituzione, costituiscono beni cardine di rango costituzionale, unitariamente rappresentativi della centralità della persona umana, volti alla sua concreta realizzazione e affermazione giuridica, rispetto ai quali ogni altro valore e interesse deve cedere il passo (In tal senso Smuraglia, La tutela della salute del lavoratore tra princìpi costituzionali, norme vigenti e prospettive di riforma, in Riv. it. dir. lav., 1988, I, p. 415, e ancora Culotta, Di Lecce, Attività e strumenti di prevenzione, Prevenzione e repressione nella sicurezza e igiene del lavoro, in Quaderni del Csm, Roma, 1988, 22).

Al riguardo, si rileva che un altro autorevole autore ritiene che tali fondamentali princìpi di natura costituzionale determinano il primato del diritto alla salute sulla libertà di impresa che «non lascia (o non dovrebbe lasciare) varchi scoperti né aree immuni, comportando che sia l’organizzazione dei mezzi produttivi a dover essere calibrata e costruita a misura d’uomo, e non viceversa» (L. Montuschi, L’incerto cammino della sicurezza del lavoro tra esigenze di tutela, onerosità e disordine normativo, in q. Riv., n. 4, 2001, p. 503).

 

Il caso di specie — Fatta tale premessa sulle norme fondamentali che interessano la odierna fattispecie, è opportuno esaminare le circostanze in fatto che hanno determinato il convincimento dei giudici in sede cautelare (sia i due giudizi di urgenza che quello in sede di reclamo), al fine di consentire una piena comprensione della vicenda de qua.

Questi i fatti di causa. Le ricorrenti hanno convenuto in giudizio la società deducendo di svolgere mansioni di addetta al banco e addetta alla cassa e di prestare attività presso un Autogrill, aperto 24 ore su 24, che adotta un orario di lavoro articolato su turni. Le lavoratrici, quindi, mediante due distinti ricorsi di urgenza (entrambi accolti e confermati in sede di reclamo), hanno richiesto al Tribunale di Torino l’adozione di un provvedimento di astensione dal lavoro nelle fasce notturne, comprese dalle venti di sera alle sei del mattino, in quanto, durante tale fascia oraria, presso la propria sede di lavoro, si sono verificate diverse rapine a mano armata.

In particolar modo, le ricorrenti hanno evidenziato la singolarità della posizione del punto di ristoro ove sono adibite, in quanto a esso è possibile accedere da una strada statale secondaria rispetto all’autostrada, non sbarrata da caselli o da altre entrate presidiate da casellanti ovvero da barriere automatiche. A parere delle ricorrenti, l’anomala ubicazione dell’Autobar lo rende particolarmente vulnerabile poiché, grazie alla possibilità di una facile via di fuga (rappresentata, appunto, da tale strada secondaria che permette di evitare caselli o barriere), favorisce il verificarsi di frequenti rapine.

Le ricorrenti, a sostegno della loro richiesta, hanno quindi evidenziato una carenza strutturale di efficaci misure di prevenzione e vigilanza esterne atte a prevenire detti episodi criminosi, lamentando che le medesime, di fatto, sono state approntate episodicamente e, in particolare, mediante il presidio di guardie giurate davanti al locale solo per pochi giorni. Le dipendenti hanno quindi rappresentato che tali aggressioni hanno causato alle medesime uno stato psicologico di ansia e depressione, peggiorato a seguito delle ultime rapine.

Durante l’istruttoria, particolare importanza ha assunto la testimonianza del responsabile della sicurezza della società, il quale, in sede di sommarie informazioni, ha confermato «l’anomalia geografica» del locale oggetto di causa per essere quello che aveva subìto più rapine a livello nazionale negli ultimi tempi, anche in considerazione della sua posizione che consente una via di fuga agevolata.

L’azienda e lo stesso responsabile della sicurezza hanno confermato quindi lo stato dei luoghi descritto dalle attrici e l’alto numero di rapine avvenute negli ultimi tempi. La società, quindi, deducendo di essersi resa conto della particolarità della situazione concreta e della pericolosità del luogo di lavoro, ha sostenuto di aver iniziato ad adottare una serie di misure di sicurezza tese a prevenire tali episodi criminosi. In concreto, l’azienda ha affermato di aver provveduto a installare alcune telecamere e dei fari sul retro del locale, al fine di illuminare meglio la zona, sostenendo, inoltre, di aver fatto presidiare per alcune settimane il punto di ristoro (durante il turno compreso dalle ventidue alle sei del mattino) da una guarda giurata dopo una delle ultime rapine.

Ricostruiti in breve i fatti di causa, il nodo centrale della questione sottoposta al vaglio del Tribunale appare essere il seguente: quale sia il grado di diligenza che l’imprenditore deve osservare al fine di assicurare la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore, in virtù dell’obbligo contrattuale di prevenzione ex art. 2087 cod. civ., che, comunque, esclude una responsabilità oggettiva dell’imprenditore in materia di salute e sicurezza del datore di lavoro.

Al riguardo occorre evidenziare, come difatti è avvenuto nel caso di specie, che, per determinare se il datore di lavoro sia stato o meno diligente e abbia o meno ottemperato ai propri obblighi di sicurezza, è necessario analizzare quali siano le misure di sicurezza adottate dal medesimo con riferimento alla situazione concreta; misure, queste, che dovranno essere tecnologicamente avanzate e prive di vizi, ma, soprattutto, tali da consentire di prevenire quei rischi che l’imprenditore è tenuto a conoscere in base al principio della «massima sicurezza tecnologicamente possibile», nonché alla stregua della comune esperienza e della normale diligenza ex art. 1176 cod. civ..

 

I provvedimenti cautelari — Entrambi i giudici del lavoro di Torino, assunte le sommarie informazioni e soprattutto a seguito dell’escussione del responsabile della sicurezza della società, hanno ordinato alla società Autogrill Spa «di non utilizzare la ricorrente in turni di lavoro dalle 20 alle 6, fin visto l’esito dell’eventuale giudizio di merito», in quanto, al momento del deposito dei ricorsi di urgenza, le misure approntate non sono risultate adeguate per prevenire gli episodi criminosi.

Secondo i giudici di Torino, il comportamento della società convenuta è risultato illegittimo in quanto posto in violazione dell’art. 2087 cod. civ., che impone al datore la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore. I giudici, al riguardo, hanno evidenziato che, pur non potendosi pretendere dal datore «l’impossibile», ovvero eliminare il rischio di rapine o di atti di violenza nelle ore notturne, è risultato comunque che «lo stato dei luoghi […] non è ottimale, sotto il profilo della sicurezza»; circostanza, questa, confermata dal numero alto di rapine e dalla «anomalia» della posizione geografica del punto di ristoro, come riconosciuta dalla stessa azienda e dal suo responsabile della sicurezza.

La società ha proposto reclamo avanti il Collegio, che, tuttavia, ha confermato i provvedimenti di urgenza, ritenendo che «nel caso di specie, si sono delineati in modo inequivoco due elementi fattuali che consentono di escludere, quanto meno in fase cautelare, una responsabilità oggettiva del datore di lavoro che costituisce la logica conseguenza di quanto appena affermato e affermare invece una responsabilità della società per violazione dell’art. 2087 cod. civ.».

In particolare, si rileva che è risultata determinante, ai fini del convincimento del Collegio, la circostanza (pacifica tra le parti) che il punto di ristoro fosse in una situazione di maggiore esposizione agli episodi criminosi senza che, tuttavia, la società avesse approntato, per prevenirli, «misure di sicurezza più incisive rispetto a quelle adottate ordinariamente in altri locali», limitandosi, invece, a installare misure di sicurezza solo in occasione della presentazione dei ricorsi di urgenza (nella specie alcune telecamere e un faro sul retro).

Il Tribunale, in sede collegiale, in punto di responsabilità ex art. 2087 cod. civ., ha quindi ritenuto che «non è la parte che subisce l’inadempimento che deve dimostrare la colpa dell’altra, ma è tenuta ad allegare, come è avvenuto, l’esistenza del fatto materiale e le regole di condotta che assume violate, ma è il datore di lavoro che deve provare l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o il pregiudizio che comunque colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile» (Cass., Sez. lav., sentenza n. 14469 del 7 novembre 2000).

Il Collegio, quindi, preso atto che la società non ha voluto predisporre in maniera permanente un servizio di vigilanza (neanche sino alla fine del giudizio di merito), ha stabilito infine che «fermo restando che la natura e la tipologia delle misure adottate rientra nella discrezionalità datoriale, l’art. 2087 cod. civ. impone al datore di lavoro l’adozione e il mantenimento delle misure atte a preservare i lavoratori dalla lesione dell’integrità psico-fisica in ambiente di lavoro e in costanza dello stesso tanto più in relazione alla frequenza assunta dalla attività criminosa di terzi rispetto a una certa attività (Ex multis, Cass., Sez. lav., sentenza n. 4012 del 20 aprile 1998)».

In particolare, il Collegio, dopo aver accertato che il datore non ha predisposto tutte le misure necessarie ad evitare eventuali danni a carico dei lavoratori, ha censurato il comportamento datoriale che neanche si è premurato di dedurre di aver attuato tutte le misure idonee a prevenire i rischi, limitandosi invece a impostare la propria tesi difensiva sulla circostanza relativa all’impossibilità di predisporre «misure diverse da quelle fino a ora adottate [che] risulterebbero antieconomiche».

Come fin qui evidenziato, il Tribunale ha valutato le misure di sicurezza poste in essere dal datore di lavoro proprio in termini di congruità delle medesime con il caso concreto, non ritenendole, appunto, sufficienti ed adeguate sulla base di un’interpretazione esegetica che fa leva sui princìpi cardine del sistema antinfortunistico, ovvero, da una parte, l’accezione ampia delle tutele che il datore di lavoro può e deve adottare in base agli obblighi nascenti dall’art. 2087 cod. civ., in quanto norma perfetta e aperta ai mutamenti economico-sociali (In tal senso L. Montuschi, L’incerto cammino della sicurezza del lavoro fra esigenze di tutela, onerosità e disordine normativo, in q. Riv., 2001, n. 4, pp. 501 ss.), e, dall’altra, la regola, ormai consolidata in giurisprudenza (anche se non espressamente richiamata nei provvedimenti di specie), che obbliga il datore di lavoro a realizzare sul luogo di lavoro la «massima sicurezza tecnologicamente possibile», che rappresenta un criterio di automatico adeguamento dell’intero sistema prevenzionale all’evoluzione tecnologica (In tal senso G. Loy, Linee di tendenza della normativa italiana in materia di tutela della salute, in Quad. dir. lav. rel. ind., Torino, Utet, 1993, n. 14. Secondo Natullo, La tutela dell’ambiente di lavoro, Torino, 1995, p. 5: «La norma del codice si pone come zoccolo duro dell’intero complesso normativo della disciplina della sicurezza sul lavoro. Della quale costituisce una chiave di lettura fondamentale e un sostegno indispensabile»).

La «massima sicurezza tecnologicamente possibile» risulta essere pertanto l’obiettivo verso cui il datore deve tendere al fine di soddisfare l’esigenza di colmare le carenze di tutela dovute ai fenomeni di obsolescenza normativa o, più semplicemente, all’assenza di regolamentazione giuridica specifica (Così, M. Franco, Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro, Angeli, Milano, 1995, pp. 29 ss.).

 

I precedenti della giurisprudenza — Le decisioni in commento si inseriscono così nell’ambito di un consolidato orientamento della giurisprudenza in merito alla questione di danni alla salute provocati al lavoratore a causa della attività criminosa di terzi (giurisprudenza peraltro richiamata anche dallo stesso Collegio). Le stesse risultano di particolare interesse in quanto il caso concreto appare essere diverso (ovvero problematiche conseguenti a rapine in Autogrill) rispetto ai precedenti giurisprudenziali, che, a quanto consta, riguardano principalmente rapine compiute nei confronti di istituti di credito, di caselli autostradali e di uffici postali.

Sul punto, si rileva che la prima sentenza che si è occupata analiticamente della fattispecie riguardante la prevenzione dei rischi connessi all’ambiente lavorativo, in particolar modo quelli da rapine, risulta essere la pronuncia di Cassazione n. 5048 del 1988 (In Giust. civ., 1988, II, p. 2868, con nota di V. Marino, Sul confine tra inadempimento della obbligazione di sicurezza e oggettivazione della responsabilità per danno ai dipendenti), che, infatti, attraverso un’analisi dettagliata delle norme adattabili al caso concreto, ha sviluppato le tematiche dei problemi relativi alla sicurezza sul lavoro correlati a situazioni di ordine pubblico e criminalità.

La sentenza di Cassazione n. 5048 del 1988 riveste particolare importanza proprio per aver espresso una attenta funzione ermeneutica nei confronti una fattispecie concreta, ovvero la protezione dei dipendenti da aggressioni criminose di terzi, non ancora salvaguardata dal legislatore, ritenendo di dover tutelare «quegli interessi emergenti che non sono stati ancora considerati e valutati dal legislatore alla cui inevitabile lentezza l’ordinamento stesso è in grado di sopperire con la predisposizione di clausole generali, nella cui volutamente lata e indeterminata formulazione l’interprete, in sede dottrinaria come in sede giurisprudenziale, può appunto cogliere già nel loro nascere nuove esigenze meritevoli di tutela e attribuire loro (ove appaia consentito alla stregua dell’ordinamento, dal suo insieme e in primo luogo sulla base dei princìpi costituzionali), veste e dignità di posizioni soggettive tutelate. È significativo il fatto che i nuovi interessi trovino frequentemente un loro referente normativo nella Carta costituzionale, nei cui enunciati spesso è dato rinvenire posizioni soggettive in nuce, o non ancora compiutamente disciplinate dal legislatore ordinario, che peraltro consentono un flessibile adeguamento dell’ordinamento alla realtà sociale».

Partendo da tali importanti princìpi interpretativi, la summenzionata sentenza della Cassazione ha evidenziato il valore di clausola generale dell’art. 2087 cod. civ. richiamando i princìpi espressi dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 559 del 18 dicembre 1987, ha riconosciuto il valore primario assegnato al diritto alla salute dall’articolo 32 della Costituzione ove «la salute rileva come posizione soggettiva autonoma, e che, nell’ambito della generale garanzia assicurata a tutti i cittadini, una tutela privilegiata spetta ai lavoratori, nei cui confronti essa si svolge tanto sotto il profilo sanitario che sotto quello economico […] con l’imposizione all’imprenditore di un rigoroso dovere di garantire la sicurezza dei lavoratori (art. 2087 cod. civ.), che si pone come condizione per il legittimo esplicarsi dell’iniziativa economica privata (art. 41, comma 2, Cost.)».

La Cassazione, conseguentemente, prendendo spunto dai concetti espressi dalla Corte Costituzionale e avendo come riferimento il «punto di equilibrio tra i contrapposti interessi», ha ritenuto che fosse necessariamente correlato al rischio di impresa un dovere di protezione che comporta «che debba essere l’imprenditore a valutare se l’attività della sua azienda presenti rischi extra-lavorativi di fronte al cui prevedibile verificarsi insorga il suo obbligo di prevenzione. Obbligo che, proprio alla stregua dei dati di esperienza (che includono anche parametri di frequenza statistica generale, per tipo di attività, o particolare con riferimento alla singola unità produttiva), avrà un contenuto non teorizzabile a priori, ma ben individuabile nella realtà alla stregua delle tecniche di sicurezza comunemente adottate. Trattasi di una obbligazione ex lege accessoria e collaterale rispetto a quelle principali proprie del rapporto di lavoro, come tale involgente la diligenza nell’adempimento ex art. 1176 cod. civ., eventualmente correlata alla natura dell’attività esercitata, e comunque improntata nella sua esecuzione a quei criteri di comportamento delle parti di ogni rapporto obbligatorio costituiti, ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., dalla correttezza e buona fede, ormai ampiamente valorizzati dalla giurisprudenza».

La questione è stata poi affrontata anche da successive sentenze della Corte di Cassazione (tra le quali: Cass. 17 luglio 1992, n. 8724, in q. Riv., 1992, p. 988, con nota di F. Petracci, Rapina negli Istituti di credito e tutela della salute; Cass. 3 settembre 1997, n. 8422, in Giust. civ., 1998, II, p. 79, con nota di V. Marino, La colpa quale presupposto della dichiarazione di responsabilità ex art. 2087), ma, in particolare, risultano determinanti i princìpi espressi dalla sentenza di Cassazione del 20 aprile 1998, n. 4012 (in Riv. it. dir. lav., 1999, II, p. 326, con nota di G. Mautone, Sul contenuto specifico dell’obbligo di prevenzione delle rapine a carico dell’istituto di credito e sulle conseguenze del suo inadempimento), che, richiamando nel suo ragionamento decisorio la precedente Cassazione n. 5048 del 1988, ha affermato «a norma dell’art. 2087 cod. civ. che è norma di chiusura del sistema antinfortunistico estendibile a situazioni e ipotesi non espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione, l’obbligo dell’imprenditore di tutelare l’integrità fisio-psichica dei dipendenti impone l’adozione non solo di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di detta integrità anche in relazione al rischio di aggressioni conseguenti all’attività criminosa di terzi, tenuto conto della frequenza assunta da tale fenomeno rispetto a determinate imprese e alla probabilità del verificarsi di tale rischio, non essendo detti eventi protetti dalla tutela antinfortunistica di cui d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, e giustificandosi l’interpretazione estensiva della predetta norma alla stregua sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute (art. 32 della Cost.) sia dei princìpi di corretta e buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.) cui deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto».

Quest’ultima interpretazione specifica ulteriormente che la disposizione contenuta dall’art. 2087 cod. civ. deve coordinarsi necessariamente con l’art. 1176 cod. civ.; e, infatti, tale articolo, stabilendo il parametro della diligenza che deve usare il debitore nell’adempimento dell’obbligazione, detta indirettamente tale obbligo per il debitore che eserciti «un’attività professionale», quale è l’imprenditore secondo lo stesso codice civile. Il prestatore di lavoro, nella prospettiva del combinato disposto degli artt. 2087 e 1176 cod. civ., acquisterebbe la figura specifica di «creditore di sicurezza», e la diligenza in questione, dovuta, appunto, dall’imprenditore, si qualifica nella predisposizione delle misure di sicurezza caratterizzate dal disposto dell’art. 2087 cod. civ. (In tal senso C. Smuraglia, Evoluzione del quadro normativo. Esperienze attuative e prospettive, in q. Riv., 2001, 4, p. 465).

Sul punto si evidenzia ancora che secondo la dottrina «la genericità del precetto ex art. 2087 cod. civ. rappresenta la base legale della pretesa, a carico del datore di lavoro, di una diligenza che deve essere particolarmente qualificata, in specificazione del dovere di cui all’art. 1176 cod. civ., al fine dell’individuazione, in materia de qua, del “buon imprenditore” e della connessa delimitazione dei profili di colpa a lui imputabili» (Marino, La minimizzazione del rischio sui luoghi di lavoro nell’interpretazione della Corte Costituzionale, in Riv. it. dir. lav., 1997, II, p. 30).

 

Considerazioni conclusive — Allo stato di quanto fin qui argomentato, si può affermare che in virtù della prevalenza, costituzionalmente sancita, del diritto alla salute sulla libertà di iniziativa economica, la tutela dell’integrità psico-fisica del dipendente sui luoghi di lavoro rappresenta un vero e proprio diritto soggettivo assoluto che obbliga l’imprenditore (in virtù del combinato disposto degli articolo 32 e 41 della Costituzione, nonché degli artt. 2087 e 1176 cod. civ.) a compiere e apprestare tutto quanto è necessario per rendere sicuro l’ambiente e le condizioni di lavoro.

Il datore di lavoro, in virtù della clausola generale di sicurezza, ha quindi l’onere di prevenire anche eventuali fattori di rischio provocati da aggressioni criminose provenienti da soggetti terzi, dovendo tener conto, nell’attuare le misure di prevenzione, non solo delle comuni tecniche già allestite, ma anche dalle regole imposte dalla comune prudenza che gli impongono, proprio in base al principio della «massima sicurezza possibile», di valutare e prevenire i pericoli anche in relazione alla situazione concreta che di volta in volta gli si rappresenta.

Il principio di diritto che si ricava nella presente fattispecie è quindi il seguente: il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre misure di sicurezza idonee a tutelare i lavoratori da eventuali lesioni alla loro integrità psico-fisica, dovendo il medesimo preservare i dipendenti anche da una possibile attività criminosa di terzi; ciò a prescindere da criteri di fattibilità economica.