Condotte discriminatorie in ragione della affiliazione sindacale

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 4/2019

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Tribunale di Velletri, Ord. 10.4.2019, Est. Silvestrini, FLAI – CGIL ROMA SUD POMEZIA CASTELLI, nonché A.A., A.M., Y. M., Z. A. (avv. De Marchis) c. S. S.r.l. (avv.ti Gianmaria e Serrani).

 

Rapporto di lavoro – Affiliazione sindacale – Condotte discriminatorie – Procedimento ex art. 702 bis - Normativa antidiscriminatoria – Art. 28 D.lgs. 150 del 2011 – Onere della prova – Registrazioni fonografiche – Ammissibilità – Prova per presunzioni e inversione onere della prova –– Sussistenza discriminazione diretta – Risarcimento del danno non patrimoniale.

 

E’ discriminatoria la condotta datoriale che, in maniera generale e programmatica, riserva un trattamento deteriore a lavoratori aderenti ad una associazione sindacale rispetto ai dipendenti non iscritti ad alcuna OO.SS. in quanto lesiva del principio di parità di trattamento.     

 

Condotte discriminatorie in ragione della affiliazione sindacale.  

 

– L’ordinanza in esame riguarda una discriminazione in ragione dell’affiliazione sindacale di alcuni lavoratori alla FLAI - CGIL. Prima di entrare nel merito delle questioni oggetto del giudizio in analisi, pare opportuno richiamare un caso emblematico in tema di tutela antidiscriminatoria in ragione dell’adesione alle organizzazioni sindacali. Si tratta di quel filone giurisprudenziale relativo alla discriminazione subita dagli affiliati alla FIOM-CGIL nelle assunzioni effettuate presso lo stabilimento di Pomigliano d’Arco dalla società Fabbrica Italiana Pomigliano S.p.a. (si veda Trib. Roma 22.6.2012, pubblicata in MGL, 2012, 610, con nota di Vallebona, nonché in D&L, 2, 369, 2012, con nota di Borelli; C. App. Roma 19.10.2012, pubblicata in RIDL, 2013, II, 180, nonché in D&L, 2012,3, 661, con nota di Guariso).

In merito, la giurisprudenza aveva ritenuto, in maniera prevalente (in senso difforme si veda solo Trib. Roma 6.5.2013, in LG, 2, 2014, 168, con nota di Petracca), che l’esclusione nelle assunzioni da parte datoriale dei lavoratori della FIOM-CGIL configurasse una “discriminazione collettiva ai sensi del D.lgs. n. 213 del 2003, nonché degli artt. 3 e 4 Cost. e dell’art. 15 Statuto dei lavoratori” (cfr. C. App. Roma 19.10.2012, cit.). I giudizi, come è avvenuto nel caso di specie, erano stati instaurati ai sensi di ricorsi ex art. 702 bis e art. 28, d.lgs. n. 150 del 2011. Tuttavia, parte datoriale in tali controversie obiettava che l’azione di accertamento della condotta discriminatoria non potesse esercitarsi tramite lo strumento processuale dell’art. 28 cit., in quanto le “convinzioni personali”, richiamate espressamente nella direttiva 78/2000/CE, sarebbero strettamente connesse alle sole “opinioni religiose” e non a quelle di tipo sindacale (su tale aspetto cfr. Vallebona 2012, 622). Per concludere sul punto, anche per ragioni di chiarezza espositiva rispetto al caso sottoposto al Tribunale di Velletri, va riconosciuto alla Corte di Appello di Roma il merito di aver superato tale eccezione ricollegando la tutela delle “convinzioni personali” alle opinioni rientranti in una serie di categorie di più ampio respiro che tutelano l’individuo in quanto tale. Afferma in merito la Corte capitolina il seguente principio, che costituisce un vero e proprio paradigma al fine di ricondurre la discriminazione di tipo sindacale nell’ambito della categoria generale delle convinzioni personali: “l’affiliazione sindacale (rappresenta) la professione pragmatica di un’ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da specifici motivi di appartenenza a un organismo socialmente e politicamente qualificato a rappresentare opinioni , idee, credenze suscettibili di tutela in quanto oggetto di possibili atti discriminatori vietati” (cfr. in tal senso Cass., 11.3.2014, n. 5581, con nota di De Stefano, in ADL, 2014, 4-5, 1046. In dottrina, con riferimento al fatto che le opinioni sindacali rientrino tra le “convinzioni personali” tutelate dalla normativa antidiscriminatoria, si veda anche Aimo 2007, 43 ss., nonché Lassandari 2010, 110 ss.).        

 

– Tornando alla vicenda in commento, la controversia prende le mosse da un procedimento instaurato ex art. 702 bis c.p.c. e ai sensi dell’art. 28, del d.lgs. n. 150 del 2011, introdotto dalla associazione generale FLAI-CGIL di Roma Sud e Pomezia e da alcuni lavoratori per denunciare diverse condotte discriminatorie subite da parte del datore di lavoro, proprio in ragione della loro appartenenza al sindacato. Il giudice, come si dirà meglio oltre, ha ritenuto che la condotta datoriale fosse discriminatoria di tipo diretto, in quanto lesiva del principio di parità di trattamento. La discriminazione diretta è disciplinata dall’art. 2, 1° c., lett. a), d.lgs. n. 216/2003 e si configura «quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga». Tale fattispecie, infatti, si realizza tutte le volte che un soggetto, a parità di condizioni, venga trattato in maniera sfavorevole e, comunque, diversa rispetto ad altri in determinate situazioni. Pertanto, ai fini della dimostrazione di una situazione di tipo discriminatorio, è necessario provare che un soggetto subisca una condotta svantaggiosa in ragione di certe caratteristiche che la legge, invece, tutela. L’elenco delle ipotesi che qualificano la discriminazione non è tassativo. La legge, in ogni caso, enuclea varie tipologie di discriminazioni vietate, tra le quali figurano: quelle di genere, quelle basate sull’età, sull’orientamento sessuale, sulla disabilità, sulla religione, sulla razza, quelle di tipo politico e sindacale. La classificazione delle normative che tutelano il lavoratore dagli atti discriminatori è vasta e variegata. Una prima impostazione sistematica ed unitaria del fenomeno discriminatorio trova la propria fonte principale nel d.lgs. n. 216/2003, in attuazione della Direttiva Comunitaria 2000/78/CE, che ha determinato l’introduzione nel nostro ordinamento delle nozioni di discriminazione diretta e di quella indiretta.

Per quanto concerne la discriminazione di tipo sindacale, il regime sanzionatorio trova una specifica disciplina nell’art. 15, l. n. 300/1970, ove è stabilito che è nullo qualsiasi patto o atto diretto a subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte o a licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale, ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

In punto di regime probatorio, è applicabile l’art. 4 del d.lgs. n. 216/2003 che stabilisce: “il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza di un comportamento discriminatorio a proprio danno, può dedurre in giudizio, anche sulla base di dati statistici, elementi di fatto, in termini gravi, precisi e concordanti, che il giudice valuta ai sensi dell'articolo 2729, primo comma, del codice civile”.

L’onere della prova semplificato, di cui alla citata disposizione, è stato successivamente ribadito e specificato nell’ambito del d.lgs. n. 150/2011 che, in attuazione delle Direttive n. 2000/43/CE e n. 2000/78/CE, all’art. 28, punto 4 (rubricato “regime di prova attenuata tipico del diritto antidiscriminatorio”), espressamente dispone: “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto,  desunti  anche da  dati  di  carattere  statistico,  dai  quali  si  può  presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta  al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione (…)”.

 

– Fatta tale breve premessa di ordine sistematico normativo, è possibile affrontare la tematica posta al vaglio del Tribunale di Velletri. In particolare, è stato dedotto in giudizio, ai fini della prova presuntiva di tale discriminazione, che i lavoratori iscritti alla FLAI-CGIL, durante il rapporto di lavoro, avevano subito alcune condotte discriminatorie e, segnatamente: non avevano ottenuto il rinnovo del contratto di lavoro ed erano stati sostituiti con altri lavoratori per espletare sempre la medesima attività esistente in azienda; una riduzione dell’orario di lavoro supplementare e straordinario in precedenza costantemente richiesto dal datore; una serie di contestazioni disciplinari pretestuose ed illegittime che mai erano state addebitate prima di allora; la mancata erogazione di somme, in precedenza all’affiliazione sindacale sempre regolarmente erogate, correlate a voci fisse della busta paga come ad esempio lo “straordinario forfettizzato” e la “diaria interna”; una modificazione peggiorativa degli orari di lavoro, originariamente disposti, con previsione da parte del datore di lavoro di fasce orarie di lavoro notturno incompatibili con l’utilizzo di mezzi pubblici per recarsi in azienda e che rendevano particolarmente difficoltoso l’esatto adempimento della prestazione lavorativa. Ma la vera e propria “cartina di tornasole” che rendeva manifesta ed incontestabile la discriminazione di tipo sindacale risiedeva in una registrazione fonografica, effettuata dai lavoratori durante una riunione con l’amministratore unico della società, il quale non risparmiava a questi ultimi critiche in ragione della loro adesione alla associazione sindacale (sull’ammissibilità di tale mezzo di prova, v. Cass. 10.05.18, n. 11322, RGL, 2, 2018, 515 ss.; Cass. 8.2.2011, n. 3034, FI, 2012, I, 843).

In buona sostanza, nel corso di tale riunione, l’amministratore unico aveva comunicato ai lavoratori che la loro affiliazione sindacale avrebbe determinato un ostacolo alla prosecuzione del rapporto di lavoro; in breve, secondo la prospettazione del rappresentante della società, l’ingresso del Sindacato in azienda avrebbe rappresentato una sorta di “intralcio” alla attività aziendale in ragione delle prerogative proprie di cui il medesimo è portatore, ossia la tutela e la rivendicazione di diritti in favore dei propri associati. Al fine di una migliore comprensione della vicenda de qua, si segnalano alcune delle espressioni più significative estratte dalle registrazioni fonografiche e che connotano la condotta datoriale di tipo discriminatorio: “io prendo in considerazione tutto purché non riguardi i sindacati”; oppure, “l’unico vincolo è che io di sindacati non voglio più sentire neanche che esistono”; nonché, “il primo che mi fa sentire l’odore del sindacato… Io do fuoco alle polveri do fuoco a tutto non ne voglio sentire parlare”; oppure “chi mi fa chiamare dal sindacato per me è fuori non esiste!  Tu vieni a casa mia e comandi insieme a me se viene qualcuno da fuori allora fatemi una proposta se non volete lasciare il sindacato, fatemi una proposta di uscire e troviamo una situazione perché io qua dentro non faccio entrare nessuno! Basta fine del discorso!”; e infine, “allora questa è casa mia io non vi darò mai i soldi che chiedete perciò penso che sia il caso che prendete tutto e lo portate in tribunale dopo che ve ne siete andati però, perché prima ve ne andate...”.

 

– L’ordinanza in commento, nel risolvere la controversia, ha richiamato nella propria motivazione le norme esistenti nel nostro ordinamento in materia di discriminazione, ritenendo che quella relativa alla appartenenza sindacale rientrasse nell’ambito di applicazione dell’art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011. Il Tribunale, a sostegno delle proprie argomentazioni, richiama espressamente il decreto d.lgs. n. 216/2003 (recante disposizioni relative all’attuazione della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro), citando espressamente l’art. 2, ove si rinviene la nozione di discriminazione diretta ed indiretta, nonché l’art. 3, sul principio di parità di trattamento.

Il giudice, alla luce della normativa sopra richiamata, ha ritenuto che le affermazioni contenute nelle conversazioni registrate dimostrano in maniera inequivocabile la condotta discriminatoria attuata nei confronti dei lavoratori aderenti alla FLAI-CGIL. Secondo il magistrato, le dichiarazioni dell’amministratore unico, oggetto di registrazione fonografica, costituiscono una vera e propria confessione stragiudiziale ex artt. 2730 e 2733 c.c. e, quindi, avente efficacia di prova piena e diretta dell’esistenza del trattamento discriminatorio denunciato. Il giudice, peraltro, ritiene comprovata la discriminazione anche in base ad alcune condotte censurate dai lavoratori che avevano aderito alla associazione sindacale, come ad esempio:  la cessazione del lavoro supplementare e straordinario, il mancato rinnovo e la mancata proroga di contratti a tempo determinato di alcuni lavoratori, la modificazione dei turni di lavoro ad alcune lavoratori, la esplicita richiesta di scegliere tra la prosecuzione dell’attività lavorativa alle dipendenze della società convenuta, rinunciando alla iscrizione al sindacato, o la risoluzione del rapporto di lavoro in essere. Nel caso di specie, pertanto, sono riscontrabili tutti quegli elementi indicati quali fattori indizianti la natura discriminatoria; è evidente, infatti, il nesso eziologico esistente tra i comportamenti datoriali e l’adesione dei lavoratori al sindacato, visto che ai medesimi, come è stato giustamente osservato nel provvedimento in analisi, è stato riservato “un trattamento deteriore rispetto a quello osservato nei confronti degli altri lavoratori”. In tal senso, il giudice ha fatto applicazione delle norme che disciplinano il regime probatorio in materia di discriminazione, utilizzando l’istituto delle presunzioni ex art. 2729 c.c., anche in ragione della mancata specifica prova contraria gravante sulla società. Secondo il giudice, tali disposizioni pongono un onere della prova a carico del ricorrente circa l’esistenza di atti discriminatori e “una conseguente inversione dell’onere della prova, in capo alla parte resistente, circa l’insussistenza di discriminazioni”. A parere del Tribunale di Velletri, infatti, i lavoratori avevano correttamente adempiuto a tali oneri fornendo un principio di prova dell’esistenza di condotte discriminatorie sia tramite le registrazioni fonografiche sia attraverso le deduzioni di comportamenti differenti attuati nei loro confronti rispetto ad altri prestatori non aderenti ai sindacati. La normativa sin qui richiamata risulta chiaramente preordinata a favorire il lavoratore che si dichiari vittima di una discriminazione, realizzando per tale via un equo bilanciamento dell’onere probatorio, altrimenti eccessivamente gravoso per il ricorrente. Il prestatore di lavoro, pertanto, proprio sulla scorta della cosiddetta disciplina antidiscriminatoria, può limitarsi a fornire in giudizio elementi di fatto dai quali si possa desumere prima facie l’esistenza della discriminazione, desunti anche da dati di carattere statistico, spettando quindi alla parte convenuta l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione.

Infine, per completezza di informazione, non essendo possibile approfondire meglio tale aspetto per esigenza di brevità espositive, pare opportuno segnalare che il Tribunale di Velletri, una volta accertata la discriminazione sindacale, ha condannato la società, ai sensi dell’art. 1, cc. 5 e 7 del d.lgs. 150 del 2011, al risarcimento di un danno non patrimoniale a favore sia dei lavoratori sia dell’associazione sindacale per effetto delle condotte discriminatorie subite, oltre alla pubblicazione del provvedimento su un quotidiano a diffusione nazionale.

Bibliografia

Aimo M. (2007), Le discriminazioni basate sulla religione e sulle convinzioni personali, in Barbera M. (a cura di), Il nuovo diritto discriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, Giuffrè, Milano, 43 ss.; Borelli S. (2012), Il diritto antidiscriminatorio nella vicenda Fiat/Fabbrica Italia Pomigliano (Fip)-Fiom, in D&L, 2, 369 ss. De Stefano V. (2014) Tutela antidiscriminatoria e affiliazione sindacale: una possibile lettura “multivello”, in ADL, 4-5, 1046; Guariso A. (2012), Pronuncia antidiscriminatoria, autonomia privata e ripristino della parità, D&L, 2012, 3, 661; Lassandari A. (2010), Le discriminazioni nel lavoro. Nozioni, interessi, tutele, Cedam, Padova, 110 ss.; Petracca N. (2014), Caso Pomigliano: criteri di scelta per l’applicazione della Cigs e discriminazione per gli iscritti alla Fiom-CGIL, in LG, 2, 2014, 168; Vallebona A. (2012), Le discriminazioni per convinzioni personali comprendono anche quelle per convinzioni personali: un’altra inammissibile stortura a favore della Fiom-Cgil, in MGL, 622 ss.