Interposizione di manodopera e licenziamento giuridicamente inesistente: prime sentenze sull’interpretazione autentica dell’art. 38, c. 3, d.lgs. n. 81/2015

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.2/2021, Parte II, RGL Giurisprudenza on line - Newsletter n.4/2021

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I

CORTE APPELLO ROMA, 22.2.2021 - Est. Panariello - D.G.E., R.M., V.M.R., M.G. (avv.ti P. e C. Panici) c. F.I.S.P. s.p.a. (avv.ti Alliegro, Baldieri).

 

Somministrazione di lavoro – Somministrazione irregolare – Interposizione fittizia di manodopera – sussistenza – Licenziamento intimato dal somministratore – Inesistenza – tutela reale – Applicabilità

 

In base all’interpretazione autentica di cui all’art. 80-bis, d.l. n. 34/2020, tra gli atti che, compiuti dal datore di lavoro formale, devono imputarsi al soggetto utilizzatore ex art. 38, d.lgs. n. 81/2015, è escluso il licenziamento; tale interpretazione deve applicarsi anche alla fattispecie dell’appalto illecito in quanto, come per l’ipotesi della somministrazione irregolare, i due istituti realizzano un’identica vicenda di dissociazione fra datore di lavoro formale e sostanziale che viene difatti accertata dal giudice con illecita o irregolare con effetto ex tunc. Il recesso intimato dall’appaltatore è pertanto inesistente e determina la riammissione in servizio del lavoratore nella compagine aziendale dell’appaltante, oltre alla condanna di quest’ultimo alla corresponsione di tutte le retribuzioni maturate medio tempore sino alla riammissione in servizio.

 

II

 

TRIBUNALE ROMA, 3.2.2021 –  Est. Lionetti – R.V. (avv.ti P. e C. Panici) c. N.P. s.p.a. (avv.ti M. Giustiniani, A. Negri, L. De Mech e A. Biondi)

 

Somministrazione di lavoro – Somministrazione irregolare – Interposizione fittizia di manodopera – Sussistenza – Licenziamento intimato dal somministratore – Inesistenza – Tutela reale – Applicabilità.

 

A norma dell’art. 80-bis, d.l. n. 34/20, tra gli atti che, compiuti dal datore di lavoro formale, devono imputarsi al soggetto utilizzatore ex art. 38, d.lgs. n. 81/15, è escluso il licenziamento, di talché, in ipotesi di somministrazione irregolare, il recesso intimato dal primo è inesistente e determina l’applicabilità della reintegrazione del lavoratore nella compagine aziendale del secondo, oltre alla condanna di quest’ultimo alla corresponsione di tutte le retribuzioni maturate medio tempore.(2)

 

(1-2) Interposizione di manodopera e licenziamento giuridicamente inesistente: prime sentenze sull’interpretazione autentica dell’art. 38, c. 3, d.lgs. n. 81/2015

 

– Il divieto di interposizione di manodopera ex lege n. 1369/60, nel tempo, è stato segnato da varie modifiche normative. Il legislatore, dapprima, ha tentato di aprire una prima breccia nel muro dell’intermediazione vietata erodendone i presupposti tramite le disposizioni della l. 196/97, considerando così la fornitura di manodopera solo quale eccezione alla regola (in tal senso, Ichino, 506). Successivamente, di eliminarlo mediante sia il d.lgs. n. 276/03, che ne aveva previsto l’abrogazione, sia con il d.lgs. n. 81/15 che, sostanzialmente, ha mantenuto la stessa impostazione legislativa della cosiddetta Riforma Biagi. Tuttavia, ad oggi, la fattispecie dell’interposizione illecita appare più viva che mai, non solo grazie agli orientamenti giurisprudenziali ma, soprattutto, in ragione di una recente modifica legislativa, ossia la l. n. 77/2020, che riporta le conseguenze del licenziamento da parte del datore fittizio nel giusto binario del recesso giuridicamente inesistente. Anche se si è sostenuto che il d.lgs. n. 276/03, più che una vera e propria abrogazione del divieto di intermediazione, abbia optato per una regolamentazione frammentata dello stesso in diverse parti del decreto (Giansanti 2014, 553), la dottrina maggioritaria ha ritenuto che tale divieto permanga ancora ad oggi (cfr. sul punto: Carinci M.T. 2010, 580; Del Punta 2008, 131; Aimo 2014, 415); ciò in considerazione della circostanza che sia le norme del 2003 sia quelle successive (il d.lgs. n. 81/15, infatti, ha abrogato l’art. 27, c. 2, del d.lgs. n. 276/03, indicando però analoghe disposizioni nell’art. 38, c. 3) continuano a sanzionare l’illegittima dissociazione della prestazione lavorativa sempre in capo al soggetto reale utilizzatore (Scarpelli 2004, 411). La giurisprudenza maggioritaria, formatasi successivamente alla Riforma del 2003, mutuata da quella penale che è intervenuta in materia, ha ritenuto esistente una continuità normativa tra il principio di illecita interposizione, di derivazione penale, e quello della somministrazione illecita e/o irregolare, come formulato nell’art. 18 del d.lgs. n. 276/03. In merito, è poi intervenuta la Cassazione a SS. UU., con la sentenza 26.10.2006, n. 22910 (in RCDL, 2006, 1176), avvalorata poi da vari arresti successivi (tra cui, ex multis, Cass. 23.11.2010, n. 23684, in OGL, 2010, I, 958), per cui, anche dopo l’abrogazione del divieto di interposizione previsto dalla l. n. 1369/60, per effetto del d.lgs. n. 276/03, è principio fondamentale del nostro ordinamento quello per cui deve essere ritenuto effettivo datore di lavoro chi, in concreto, utilizza le prestazioni lavorative del dipendente. Orientamento ribadito dalla ordinanza di Cassazione del 9.9.2019, n. 22487 (in www.italgiure.it) che, nell’affermare come la dissociazione tra datore di lavoro ed effettivo utilizzatore della prestazione sia “consentita solamente per ipotesi tipizzate al fine di trovare un contemperamento tra esigenze di flessibilità dell’organizzazione imprenditoriale e garanzie di tutela dei lavoratori”, ha stabilito che in realtà “il d.lgs. n. 276/03 non ha eliminato la figura della somministrazione irregolare di manodopera, già vietata dalla l. n. 1369/60, art. 1, in armonia con la permanenza di principi di rango costituzionale volti a collegare al rapporto di lavoro subordinato e soltanto ad esso una serie di posizioni di vantaggio”.

 

– Venendo alle vicende oggetto di annotazione, le sentenze in commento si impongono all’attenzione giacché costituiscono, a quanto consta, le prime applicazioni pratiche a seguito dell’interpretazione autentica dell’art. 38, c. 3, d.lgs. n. 81/15. Tale norma recita: «tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione». Il legislatore mediante l’art. 80 bis, introdotto in sede di conversione del d.l. n. 34/20, a opera della l. n. 77/20, è recentemente intervenuto per precisare il contenuto dell’art. 38, 3° comma, d.lgs. n. 81/15, stabilendo espressamente che la norma si interpreta “nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento”. Tale disposizione ha un’importante portata chiarificatrice sulla fattispecie del licenziamento intimato dal datore di lavoro fittizio in tutti quei casi di inteposizione di manodopera, appalto illecito e somministrazione iregolare (come confermato nelle sentenze in commento); in ragione di tale previsione legislativa, l’atto di recesso posto in essere dal datore interponente non può produrre effetti su quello interposto, con la conseguente inesistenza giuridica del recesso stesso. Con specifico riferimento ai casi di specie, pare opportuno analizzare, in breve, le tematiche sottoposte al vaglio dei giudici di merito. La sentenza del Tribunale di Roma del 3.2.21, tratta il caso di una lavoratrice che, con ricorso ex art. 1, cc. 47 ss., l. n. 92/12, impugnava il licenziamento per giusta causa intimatole dal formale datore di lavoro; deduceva di aver eseguito la propria prestazione lavorativa in esclusivo favore e alle dipendenze del soggetto utilizzatore convenuto in giudizio, secondo la fattispecie della interposizione fittizia di manodopera; chiedeva, dunque, che venisse accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorrente con il soggetto utilizzatore, con conseguente declaratoria di inefficacia e/o inesistenza del licenziamento intimatole dal datore di lavoro apparente, nonché la condanna alla reintegrazione nel proprio posto di lavoro, oltre al pagamento di tutte le retribuzioni maturate medio tempore. In via preliminare, il giudice capitolino ha dato atto che, all’esito di un ulteriore giudizio incardinato inter partes, era intervenuta una sentenza di accertamento della natura subordinata del sotteso rapporto di lavoro, riconosciuta in ragione dell’illegittimità dell’appalto posto in essere in violazione dell’art. 29, d.lgs. n. 276/03. Tanto premesso, il Tribunale, limitando il proprio decisum al solo giudizio relativo alla illegittimità del licenziamento, ha ritenuto di valorizzare il disposto del citato art. 80-bis, ex l. n. 77/202 statuendo che il recesso dovesse essere dichiarato inesistente, in quanto irrogato da un soggetto che era privo del relativo potere negoziale. Sotto il profilo delle tutele riconosciute alla ricorrente, il magistrato ha concluso che, in assenza di un atto idoneo a risolvere il rapporto di lavoro intercorrente con il soggetto utilizzatore, la tutela applicabile fosse quella prevista dal 1° comma, art. 18, St. lav.; pertanto, ha condannato parte datoriale all’immediata reintegrazione della lavoratrice nel proprio posto di lavoro, oltre al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento e sino all’effettiva reintegrazione, nonché la regolarizzazione contributiva e previdenziale della posizione della lavoratrice.

L’altra vicenda, invece, prende le mosse da una controversia instaurata contro un Istituto bancario da parte di un gruppo di lavoratori che avevano richiesto l’accertamento di un’illegittima interposizione di manodopera e, comunque, di un appalto illecito per aver prestato, senza soluzione di continuità, la loro attività lavorativa alle effettive dipendenze dell’utilizzatore, anche se tramite una serie di società intermediatrici. In sostanza, i lavoratori deducevano di aver prestato mansioni che non rientravano nell’oggetto dell’appalto e che la loro prestazione doveva considerarsi eterodiretta dall’utilizzatore. Il provvedimento della Corte territoriale del 22.2.21, che cronologicamente è il secondo arresto di merito dopo quello del Tribunale di Roma del 3.2.21, è di particolare interesse in quanto, nel confermare il valore di interpretazione autentica della norma in parola, da cui il giudice non può discostarsi, ha ritenuto che la stessa non è applicabile solo alla somministrazione ma anche alla fattispecie dell’appalto illecito; i due istituti, infatti, realizzano un’identica vicenda di dissociazione fra datore di lavoro formale e sostanziale che viene accertata dal giudice come illecita o irregolare, con effetto ex tunc. Alla luce di tali considerazioni, la Corte di appello ha affermato, anche sulla base del diritto vivente (in tal senso richiama, da ultimo, Cass. ord. 22487/19, cit.), che il licenziamento intimato dal soggetto interposto è giuridicamente inesistente in quanto proveniente a non domino. Tale atto non è assolutamente idoneo a produrre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro che, pertanto, perdura alle dipendenze dell’effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative. In conclusione, a parere dei giudici di merito (che tuttavia sul punto si discostano dall’interpretazione fornita dalla summenzionata sentenza del Tribunale di Roma), vista l’inesistenza giuridica del recesso, non può applicarsi l’art. 18 St. lav., che presuppone invece un licenziamento esistente; conseguentemente, è possibile accertare solo l’effettiva titolarità del rapporto di lavoro in capo all’appaltante e ordinare il ripristino con le ulteriori conseguenze retributive dalla data dell’illegittima estromissione dal posto di lavoro sino alla riammissione in servizio. 

 

Alla luce di quanto sin qui esposto, il legislatore pone fine ad alcuni dubbi interpetativi indotti da una parte della giursiprudenza che, invece, aveva ricondotto anche il recesso tra gli atti compiuti o ricevuti dall’utilizzatore. Sul punto, occorre evidenziare che secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte, pluridecennale, era stato affermato il principio di diritto secondo cui il licenziamento intimato dal non reale datore di lavoro – per illecita interposizione, appalto illegittimo e somministrazione irregolare – non fosse idoneo a interrompere il rapporto di lavoro perché “a non domino” (cfr., tra le tante, Cass. 4.7.1996, n. 6092, RFI, 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 476; Cass. 16.6.1995, n. 5995, in FI, 1998, I, 3582; Cass. 11.6.1992, n. 7213, in RFI, 1992, voce Lavoro (rapporto), n. 529). La naturale conseguenza di tale assunto era, dunque, l’inefficacia del recesso per inesistenza del potere risolutivo in capo al datore di lavoro fittizio e la prosecuzione del rapporto di lavoro mediante la “perpetuatio obbligationis”. In merito, si erano espresse le Sezioni Unite di Cassazione, con sentenza del 21.3.1997, n. 2517 (in FI, 1998, I, 3318), sostenendo che l’interposizione vietata determinasse la sostituzione dell’interponente all’interposto nel rapporto di lavoro e, in conseguenza di ciò, il recesso intimato dall’interposto fosse giuridicamente inesistente in quanto quest’ultimo non rivestiva più il ruolo di datore di lavoro. Tale interpretazione era stata confermata anche dalla giurisprudenza successiva secondo cui “nell’ipotesi di interposizione fittizia nel rapporto di lavoro, il potere di recesso deve essere esercitato dal contraente reale e non già da quello fittizio” ove, pertanto, “il licenziamento proveniente da un soggetto diverso dal titolare del relativo potere è inefficace perché a non domino” (cfr. Cass. 25.5.2000, n. 6926, in GCM, 2000, 1118; Cass. 11.9.2000, n. 11597, in GCM, 2000, 1946). Tuttavia, come anticipato, tali principi in tema di inefficacia del recesso intimato dal datore di lavoro apparente erano stati messi in discussione da un indirizzo della Cassazione, la decisione 12.08.2016, n. 17091 (in FI, 2017, I, 239), confermata da altre successive (ad es., Cass. 30.1.2018, n. 2303, in RGL, 2018, II, 193), che ha allargato le maglie interpretative dell’art. 38, c. 3, d.lgs. n. 81/2015, affermando che dovesse intendersi riferibile al reale datore di lavoro, e quindi come compiuto da quest’ultimo, anche il licenziamento. In particolare, i giudici di legittimità avevano sostenuto il seguente principio: “nei casi di costituzione d’un rapporto di lavoro direttamente in capo all'utilizzatore, ai sensi dell'art. 27, c. 1, d.lgs. 276/03, gli atti di gestione del rapporto posti in essere dal somministratore producono nei confronti dell'utilizzatore tutti gli effetti negoziali anche modificativi del rapporto di lavoro, loro propri, ivi incluso il licenziamento, con conseguente onere del lavoratore di impugnare il licenziamento nei confronti di quest'ultimo ai sensi dell’art. 6 della legge 604/1966” (in tal senso, Cass. 13.9.2016, n. 17969, in RFI, 2016, voce Lavoro (rapporto), n. 845). La norma in parola, in realtà, stabiliva che gli atti del datore fittizio imputabili al datore reale fossero solo quelli inerenti la “costituzione del rapporto” e la “gestione” dello stesso, giammai alla sua risoluzione. Tali principi giurisprudenziali, includendo il recesso tra gli atti posti in essere dal datore di lavoro interposto, avevano creato notevoli problemi interpreteativi sulle azioni di accertamento dell’illecita interposizione ovvero dell’appalto illegittimo e della somministrazione irregolare. Ciò con riguardo, non solo al tema dell’impugnativa giudiziale, ma anche con riferimento alla dimostrazione e confutazione delle ragioni che avevano determinato il recesso intimato dal datore fittizio. Per completezza, va segnalato che su tale fattispecie esiste a tutt’oggi, comunque, un contrasto di giurisprudenza poiché alcune sentenze della Suprema Corte continuano, correttamente a parere di chi scrive, ad aderire a quell’orientamemto giurisprudenziale secondo cui il licenziamento intimato dal soggetto interposto è inefficace (cfr., oltre a Cass. 9.9.2019, n. 22487, cit,. anche Cass. 28.2.2019, n. 5998, nonché Cass. 10.9.19, n. 21968, entrambe pubblicate in www.rassegnadidirittolavoro). Per concludere, si può affermare che l’interpretazione autentica fornita dal legislatore ex art. 80-bis, l. n. 77/20 pare risolvere ormai definitivamente ogni querelle giurisprudenziale e dottrinale sorta su tale tematica, fissando il principio per cui, in caso di interposizione illecita di manodopera o somministrazione irregolare o appalto non genuino, il recesso intimato dal datore fittizio è giuridicamente inesistente e non può mai intendersi compiuto dal reale datore di lavoro.  

 

Riferimenti bibliografici

 

Aimo M. (2014), La somministrazione di lavoro: una fattispecie negoziale complessa, in M. Aimo, D. Izzi (a cura di), Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, Utet, Torino, 415 ss.

Carinci M.T. (2010), Utilizzazione e acquisizione indiretta del lavoro: somministrazione e distacco, appalto e subapplato, trasferimento d’azienda e di ramo, Giappichelli, Torino.

Del Punta R. (2008), Le molte del divieto di interposizione nel rapporto di lavoro, RIDL, I, 130 ss.

Giansanti L. (2014), La somministrazione illecita, in M. Aimo, D. Izzi (a cura di), Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, Utet, Torino, 553 ss.

Ichino P. (1997), Il lavoro interinale e gli altri varchi nel “muro” del divieto di interposizione, in DRI, 506 ss.

Scarpelli F. (2004),  Art. 27 e art. 28, in E. Gragnoli, A. Perulli (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi moelli contrattuali. Commentario al d.llgs. 10.9.2003, n. 276, Cedam, Padova, 411 ss.