Licenziamenti collettivi della GKN: un caso di condotta antisindacale per violazione dell'obbligo di informazione

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.4/2021, Parte II, RGL Giurisprudenza on line - Newsletter n.11/2021

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TRIBUNALE FIRENZE, decr., 23.9.2021 – Est. Brigida Davia – Cgil Fiom Provincia di Firenze (avv.ti Stramaccia, Focareta) c. Gkn Driveline Firenze Spa in liquidazione (avv.ti Rotondi, Maresca, Paone). 

 

Licenziamento collettivo Licenziamento collettivo per cessazione totale attività  Mancata informazione preventiva al sindacato Obbligo di informazione previsto dal Ccnl e da accordi sindacali Condotta antisindacale per mancata informazione Sussistenza Illegittima esclusione del sindacato dal processo decisionale riguardante la cessazione dell’attività di impresa.

 

È antisindacale la condotta del datore di lavoro che impedisce alle organizzazioni sindacali di interloquire nella fase di formazione della decisione di procedere alla cessazione totale dell’attività di impresa, non fornendo loro alcuna informazione preventiva pur essendone espressamente obbligato in base al contratto collettivo e da specifici accordi sindacali. (1)

 

l licenziamenti collettivi della Gkn: un caso di condotta antisindacale per violazione dell’obbligo di informazione

 

— Il caso dei licenziamenti collettivi da parte della Gkn Driveline di Campi Bisenzio ha avuto un risalto mediatico a livello nazionale in ragione della condotta tenuta dalla società nella fase di apertura della procedura di mobilità. A colpire l’opinione pubblica, le istituzioni, i sindacati e i dipendenti coinvolti sono state le modalità con cui è stata manifestata la decisione di procedere ai licenziamenti e alla chiusura definitiva dello stabilimento: una comunicazione effettuata direttamente ai 422 dipendenti tramite e.mail, senza alcun preavviso, senza alcuna interlocuzione con il sindacato, senza l’apertura di un tavolo istituzionale di trattative, senza il ricorso ad ammortizzatori sociali e con lo stabilimento strumentalmente chiuso per evitare ritorsioni dei lavoratori.

Il tema centrale della controversia riguarda il rispetto delle relazioni sindacali nella gestione delle crisi occupazionali quando, come nel caso di specie, il Ccnl Metalmeccanici e un accordo aziendale del luglio 2020 prevedevano espressamente un coinvolgimento preventivo dei sindacati.


  — Questi, in breve, i fatti. L’azienda, senza alcun confronto con le Rsu (neanche formale) e nonostante tale obbligo fosse stabilito dal Ccnl Metammeccanici e da specifici accordi sindacali, ha deciso di chiudere lo stabilimento. Il metodo utilizzato è stato quello di inviare, direttamente ai lavoratori tramite posta elettronica, la comunicazione del licenziamento ex l. n. 223/91, in assenza di qualsivoglia preventiva informazione al sindacato che, in pari data, ha ricevuto la lettera di apertura di mobilità; con il medesimo provvedimento tutti i dipendenti sono stato sospesi dal lavoro mediante permesso retribuito.

La Fiom-Cgil della Provincia di Firenze ha proposto ricorso ex art. 28 St. lav. presso il Tribunale di Firenze, chiedendo la rimozione degli effetti delle condotte antisindacali della società. Queste le rivendicazioni oggetto del giudizio: revocare la comunicazione di avvio della procedura di licenziamento collettivo in ragione dell’omessa consultazione e confronto con il sindacato, nonché ordinare la riammissione in servizio di tutti i dipendenti collocati forzatamente in aspettativa retribuita. L’O.S. ricorrente ha rilevato, a supporto delle proprie richieste, che gli obblighi di informazione erano previsti sia dagli artt. 9 e 10 del Ccnl applicato, sia dall’accordo aziendale del 9.7.2020.


— L’intera vicenda si incentra, quindi, non solo sugli obblighi di informazione alle OO.SS. nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, ma anche sullo scopo di questi ultimi, volti alla corretta interlocuzione tra le parti. Il tema inerisce al coinvolgimento della Rsu nell’ambito del processo formativo della decisione di recesso che, secondo l’interpretazione del Tribunale, non lo vede implicato solo quale «convitato di pietra», ma come soggetto che deve partecipare attivamente alle varie «fasi di formazione e decisione del licenziamento». Il giudice, infatti, pone l’accento sull’illegittimità della condotta datoriale rinvenibile nella violazione degli obblighi di informazione espressamente stabiliti non solo dal Ccnl ma, soprattutto, da specifici accordi sindacali esistenti tra le parti. Nel caso di specie – secondo il Tribunale – è configurabile «un’evidente violazione dei diritti del sindacato, messo davanti al fatto compiuto e privato della facoltà di intervenire sull’iter». Il giudice, infatti, ha ritenuto la condotta datoriale antisindacale sotto diversi profili, tutti confermati dalle evidenze documentali pacifiche tra le parti. Preliminarmente, in punto di diritto, la questione si incentra su un presupposto fondamentale ai fini della valutazione del comportamento della parte datoriale: è stata la società stessa ad assumere un obbligo di informazione circa l’esistenza di condizioni che possano indurre l’impresa a valutare la necessità di licenziare. Infatti, mediante l’accordo firmato in data 9.7.2020 con le OO.SS., la società si è espressamente impegnata «al confronto con la Rsu in caso di mutamento del corrente contesto e condizioni di mercato». Il giudice, rilevando sul punto che tale accordo ha previsto «una vera e propria procedimentalizzazione delle decisioni in materia di occupazione ed esuberi», osserva che è stata proprio la società a impegnarsi «liberamente e volontariamente» a operare qualsiasi scelta solo dopo aver debitamente informato la parte sindacale.

Questo è il punto più rilevante del provvedimento in esame in quanto, con argomentazione insuperabile a parere di scrive, la decisione viene fondata sul vincolo che è stato assunto direttamente dal datore di lavoro, il quale si è obbligato a fornire alle OO.SS. tutte le informazioni inerenti non solo all’andamento dell’azienda, ma anche ai futuri recessi. La condotta è antisindacale, dunque, perché la mancata interlocuzione ha impedito al sindacato di esercitare al meglio le proprie funzioni istituzionali, compresa quella di condizionare le future determinazioni gestionali dell’impresa.

Il Tribunale, poi, ha osservato che dalla lettera di apertura della procedura di mobilità è emerso che, precedentemente alla determinazione della chiusura dello stabilimento, vi era stata da parte della società una «lunga fase di analisi» sulle stime «a ribasso dei volumi di vendita dell’unità produttiva di Campi Bisenzio», le quali avevano reso non più conveniate la produzione: ciò avrebbe imposto un dialogo e un confronto nel momento della determinazione dei licenziamenti; al contrario, nel caso di specie, sono state omesse del tutto le informazioni al sindacato circa il «carattere allarmante dei dati relativi all’azienda in relazione alle direttive ricevute dalla direzione del gruppo e alle possibili ricadute di tale situazione sulle dinamiche occupazionali».

Al riguardo, a parere di chi scrive, potrebbe parlarsi di hybris datoriale sia per le modalità delle comunicazioni dei licenziamenti, sia per il mancato coinvolgimento del sindacato nella formazione della decisione di recesso. Per il magistrato, infatti, la prova evidente del contegno illegittimo adottato dalla società si rinviene proprio nell’arbitra-ria e voluta omissione di informazioni al sindacato circa la volontà aziendale di precedere ai licenziamenti de quibus. Ciò è dimostrato da quanto strumentalmente affermato dal datore di lavoro, in data 8.6.2021 (quindi solo un mese prima della decisione di chiudere lo stabilimento), laddove lo stesso ha rappresentato ai sindacati la sussistenza possibili esuberi non a breve, bensì (addirittura) per l’anno 2022 e, peraltro, solo per 15 o 29 dipendenti. Nella ricostruzione fattuale e documentale è emerso, poi, che il sindacato ha tentato un confronto con l’azienda e, con nota del 29.6.2021, ha proposto soluzioni organizzative idonee a evitare gli esuberi. E ancora, a fronte della mancata risposta dell’azienda, la Rsu ha nuovamente sollecitato un riscontro con nota del 6.7.2021 cui l’azienda ha risposto, in pari data, promettendo un incontro. In tale comunicazione, tuttavia, parte datoriale ha omesso ogni riferimento al fatto che, di lì al successivo 8.7.2021, si sarebbe tenuto un consiglio di amministrazione ove, all’ordine del giorno, vi era proprio la decisione di chiudere per il successivo 9.7.2021 lo stabilimento e di licenziare tutto il personale.

A giudizio del Tribunale si configura altresì una violazione dei principi di correttezza e buona fede anche nelle modalità con le quali è stata posta in essere la cessazione dell’attività aziendale. I fatti, pacifici tra le parti, in breve sono i seguenti. L’azienda ha concordato con la Rsu, in data 29.6.20201 un giorno di chiusura dello stabilimento proprio per il 9 luglio, nella consapevolezza che l’8 luglio sarebbe stato l’ultimo giorno dei turni di lavoro dei dipendenti. Il datore strumentalmente ha così deciso di cessare l’attività a tale ultima data proprio mentre i prestatori sono stati tutti posti, dapprima, in permesso collettivo e, poi, dal 9 luglio in aspettativa retribuita. Tale comportamento dimostra – secondo il giudice – «l’intento di delegittimare il Sindacato con iniziative volte a elidere o comunque ridurre la possibilità di reazione dello stesso». Il Tribunale osserva che, pur non essendo in discussione la discrezionalità dell’impresa nella scelta di chiudere una attività aziendale come riconosciuta dall’art. 41, c. 1, Cost., siffatta scelta, tuttavia, deve essere rispettosa dei principi di correttezza e buona fede e delle prerogative del sindacato. Vale la pena osservare che in ogni caso l’art. 41 Cost. stabilisce, al c. 2, anche il vincolo dell’utilità sociale e del rispetto della dignità umana come limite alla libertà economica (in tal senso, in merito al caso in esame, si v. Terzi 2021). La dottrina ha più volte evidenziato come l’iniziativa economica privata è libera, ma non incondizionata (in tal senso, Mengoni 1958; Persiani 2004), essendo soggetta al potere di valutazione del giudice non tanto in ordine al tipo di scelta effettuata, ma alle condotte tenute dalle parti (cfr. Santoro Passarelli 2013) che, pur caratterizzate da interessi contrapposti, devono pur sempre essere ispirate al rispetto delle regole di correttezza e buona fede ex art. 1175 e 1375 c.c. La scelta imprenditoriale, pertanto, non è totalmente libera, ma soggiace sempre al rispetto di tali principi che trovano fondamento nei limiti previsti dal c. 2 dell’art. 41 che «costituiscono parametro di legittimità anche delle relazioni tra imprenditore e lavoratore subordinato» (Baldassarre 1971, 595). Il caso in commento porta alla ribalta, ancora una volta, un tema antico approfondito da autorevole dottrina (Mortati 1975, 59; Natoli 1954, 284); tema, da ultimo, oggetto di un importante saggio ove si auspica, appunto, una rivalutazione dei limiti («sicurezza», «libertà», «dignità umana») dettati dalla Costituzione all’iniziativa economica privata, la quale appare «proclamata in maniera già depotenziata» nella formulazione costituzionale, laddove, infatti, «solo il diritto al lavoro (art. 4, c. 1 Cost.) è inserito tra i principi fondamentali, non anche la libertà d’iniziativa privata (art. 41, c. 1, Cost.)» (Pallante 2020, 213).   

Per concludere, tutti i fatti sopra elencati confermano – a parere del giudice – un’evidente violazione delle prerogative di partecipazione del sindacato il quale, volutamente, è stato tenuto all’oscuro delle dovute e previste informazioni sui recessi; con l’obiettivo di non consentirgli alcuna funzione di confronto o di intervento nella procedura di formazione della scelta dei licenziamenti collettivi quando invece, come affermato da autorevole dottrina, «l’associazione operaia si presenta storicamente come il mezzo necessario a conferire ai lavoratori un’efficienza capace di contrapporre efficacemente la loro forza a quella che deriva dal possesso dei beni» (Mortati 1954, 301).

Il decreto in esame riconosce, pertanto, un ruolo centrale al sindacato nella gestione delle crisi occupazionali, tanto più ove le conseguenze si riverberano su tutti i dipendenti di un sito produttivo.

Conseguentemente, il Tribunale di Firenze, accogliendo la domanda della Fiom-Cgil, ha stabilito che «la rimozione degli effetti di tale comportamento non può che implicare l’obbligo per l’azienda di rinnovare correttamente l’informativa omessa e, quale ulteriore e necessitata conseguenza, l’obbligo di revoca del procedimento ex l. n. 223/91 iniziato sulla base di una decisione presa in assenza del confronto, necessario anche se non vincolante, con il sindacato».

Il decreto ha, quindi, imposto alla società di revocare la lettera di apertura della procedura ex l. 223/91 e di mettere in atto un confronto con i sindacati e i lavoratori, come previsto dal Ccnl e dagli accordi esistenti tra le parti.

  

Riferimenti bibliografici

 

Baldassarre A. (1971), Iniziativa economica privata (voce), in ED, vol. XXI, Giuffrè, Milano.

Mengoni L. (1958), La stabilità dell’impiego del diritto, in Aa. Vv., La stabilità dell’impiego nel diritto dei paesi membri della Ceca, Giuffrè, Milano, 279 ss.

Mortati C. (1975), Art. 1, in Branca G. (a cura di), Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, Zanichelli-Il Foro Italiano, Bologna-Roma.

Mortati C. (1954), Il lavoro nella Costituzione, in DL, n. 1, 301 ss. (poi in Id., Problemi di diritto pubblico nell’attuale esperienza costituzionale repubblicana. Raccolta di scritti, vol III, Giuffrè, Milano, 1972).

Natoli U. (1954), Sui limiti legali e convenzionali della facoltà di recesso ad nutum dell’imprendito-re, in RGL, I, 281 ss.  

Pallante F. (2020), Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo alla luce del dettato costituzionale, RGL, I, 213 ss.

Persiani M. (2004), Diritto del lavoro e autorità dal punto di vista giuridico, in ADL, I, 917 ss.

Santoro Passarelli G. (2013), Note per un discorso sulla giustizia del lavoro, in RIDL, I, 513 ss.

Terzi A. (2021), I licenziamenti Gkn, il giudice e l’impresa, in Q&G, n. 9.