Cassazione n.14777 del 27 maggio 2021: la reintegra solo per condotte conservative tipizzate collettivamente è irragionevole e crea disparità di trattaemento.

Nota a corte di Cassazioni, ordinanza 27 maggio 2021, n. 14777 - Pres- Doronzo - Ref. Ponterio - R. G. S.p.a. (Avv. Luponio) c. I. G. S.p.a. (Avv. Quagliano) (il provvedimento è disponibile su https://www.lpo.it/banca-dati/).

Lavoro subordinato – Licenziamento disciplinare – Condotte punite dal c.c.n.l. con sanzione conservativa – Regime applicabile – Estensione ad ipotesi non tipizzate – Conseguenze – Applicabilità reintegrazione nel posto di lavoro

di Michelangelo Salvagni*.

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L’orientamento assunto dalla Suprema Corte circa l’interpretazione della tutela reale ex art. 18 L. n. 300/70 in caso di licenziamenti disciplinari ingiustificati presenta profili di irragionevolezza là dove individua il discrimine tra la tutela reintegratoria di cui al comma 4 e quella indennitaria di cui al comma 5 in base al dato della necessaria coincidenza del fatto addebitato con una specifica fattispecie tipizzata dal contratto collettivo come punibile con sanzione conservativa. Pertanto, l'attività di sussunzione della condotta contestata al lavoratore nella previsione contrattuale espressa attraverso clausole generali non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, ma si arresta alla interpretazione della norma contrattuale. (Massima a cura dell’A.)

 

Sommario:

Il precedente orientamento del 2019: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL. L’ordinanza n. 14777 del 27 maggio 2021: le circostanze fattuali e la genericità della previsione collettiva che non consente la riconducibilità della condotta alla sanzione conservativa. I principi di rilevanza costituzionale espressi dall’ordinanza interlocutoria che portano ad un ripensamento dell’orientamento del maggio 2019. L’irragionevole disparità di trattamento conseguente all’applicazione della reintegrazione solo per condotte tipizzate dal CCNL. Rilievi conclusivi.

 

Il precedente orientamento del 2019: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL.

Prima di entrare nel merito dei principi espressi dalla ordinanza in commento, occorre una breve premessa di ordine sistematico. Appare opportuno delineare, seppur brevemente, il quadro normativo e gli orientamenti giurisprudenziali formatisi nell’ambito delle modifiche apportate dalla cosiddetta “legge Fornero” in tema licenziamento disciplinare illegittimo e reintegra nel posto di lavoro nei rapporti assistiti dalla tutela reale. L’art. 18, comma 4, L. n. 300/70 disciplina due diverse ipotesi che consentono la reintegra nel caso di licenziamento illegittimo, ossia: se il giudice accerta l’insussistenza del fatto contestato o se l’addebito rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, sulla base delle previsioni del contratto collettivo o del codice disciplinare; quella indennitaria, invece, negli altri casi.

La tematica del licenziamento disciplinare e dell’insussistenza del fatto a seguito della L. n. 92/2012, dopo vari dibattiti dottrinali, pare ormai aver trovato una definitiva collocazione interpretativa[1]. Ciò soprattutto a seguito degli arresti giurisprudenziali che hanno delineato, dapprima, la fattispecie del fatto materiale[2] e, successivamente, quella del necessario carattere di illiceità che deve caratterizzare la condotta, in quanto i fatti privi di rilevanza giuridica non consentono l’accesso alla tutela reintegratoria[3]. Dubbi, invece, permangono ancora sull’applicazione della tutela reale per condotte punibili con sanzione conservativa ma che non siano state espressamente codificate dalla contrattazione collettiva.

In merito, si evidenzia che la Corte di cassazione, in un precedente orientamento del 2019, ribadito poi anche da arresti successivi che così parevano aver consolidato tale indirizzo di legittimità[4], ha sostenuto che in tema di licenziamento disciplinare “solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa, il licenziamento sarà non solo illegittimo ma anche meritevole della tutela reintegratoria prevista dal comma 4 dell’art. 18, non essendo invece consentito al giudice, allorché una condotta accertata non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibile con sanzione conservativa, applicare la reintegrazione mediante un’interpretazione analogica o estensiva[5]. In breve, secondo il citato corollario della Cassazione, la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, quarto comma, Legge n. 300 del 1970, può applicarsi alle sole ipotesi tipizzate dal contratto collettivo o dal codice disciplinare, che siano punite con sanzioni conservative. Diversamente, negli altri casi in cui la condotta non sia espressamente prevista con sanzione non espulsiva, il giudice dovrà applicare la sola tutela indennitaria. In concreto, secondo il sopra citato indirizzo della Cassazione, non è consentito al giudice applicare, in via di interpretazione analogica o estensiva, la sanzione conservativa ad una fattispecie che il contratto collettivo non tipizza espressamente in tale modo. Sul punto, occorre precisare che a parere dell’orientamento delle sentenze del 2019 e, in particolare, di quella del 9 maggio n. 12635, si deve escludere il ricorso all’applicazione analogica visto che le disposizioni del contratto collettivo “conservano pur sempre la loro originaria natura contrattuale e non consentono conseguentemente il ricorso all’analogia, che è un procedimento di integrazione ermeneutica consentito, ex articolo 12 delle preleggi, con esclusivo riferimento agli atti aventi forza e valore di legge[6]. Con riferimento invece all’interpretazione estensiva, sempre a parere della sentenza di cassazione del 9 maggio, essa può trovare ingresso, ai sensi dell’articolo 1365 c.c., solo nel momento in cui vi sia una inadeguatezza per difetto rispetto all’intenzione delle parti con riferimento a clausole contrattuali. In tal caso, il giudice deve valutare se le condotte oggetto di addebito possano essere ricondotte nella previsione contrattuale nonostante non siano state espressamente indicate nelle esemplificazioni ivi contenute. Nell’effettuare tale “operazione ermeneutica”, raccomandano i giudici di legittimità, è necessario attenersi ad una rigorosità estrema, poiché la tutela reintegratoria prevista dall’articolo 18, comma quattro, in base alla novella legislativa del 2012, è un’ipotesi eccezionale rispetto alla regola generale e, quindi, deve essere interpretata restrittivamente.

 

L’ordinanza n. 14777 del 27 maggio 2021: le circostanze fattuali e la genericità della previsione collettiva che non consente la riconducibilità della condotta alla sanzione conservativa.

La Corte di cassazione, sesta sezione, con l’ordinanza interlocutoria n. 14777, depositata il 27 maggio 2021, ha messo in discussione i principi espressi dal precedente orientamento di legittimità del 2019. Come noto, il procedimento è stato rimesso alla sezione quarta della Suprema Corte che dovrà decidere sulla materia controversa.

Prima di entrare nel merito delle questioni affrontate dalla Suprema Corte, occorre comprendere la vicenda fattuale sottoposta al vaglio dei giudici nelle varie fasi di giudizio. Il licenziamento disciplinare tratta il caso di un lavoratore, comandante delle guardie giurate, al quale sono stati formulati i seguenti addebiti: non aver denunciato un’aggressione subita da una guardia giurata durante il servizio; avere omesso per cinque mesi di segnalare alla Questura i turni di servizio del personale, come imposto da precise direttive. Sul punto, il CCNL Vigilanza applicato in azienda prevedeva una generica casistica delle condotte oggetto di addebito nella esecuzione della prestazione, come l’averla eseguita senza la necessaria diligenza o con negligenza grave o per aver omesso parzialmente di effettuare il servizio assegnato. Nell’ambito del procedimento cosiddetto Fornero, i giudici, dopo aver escluso la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo, hanno riconosciuto la tutela risarcitoria nella fase sommaria e poi la reintegrazione in quella di opposizione. La Corte d’Appello poi, pur accertando l’irrilevanza disciplinare delle contestazioni, ha annullato il recesso, riconoscendo tuttavia al dipendente solo l’indennità risarcitoria. A giustificazione della mancata applicazione della reintegra, i giudici di appello hanno osservato che la medesima non era configurabile a causa della non riconducibilità delle condotte addebitate al lavoratore all’ipotesi punita dal CCNL con sanzione conservativa. La clausola contrattuale è infatti formulata in modo non specifico, con la generica indicazione della omessa denuncia di un fatto di servizio e di omessa trasmissione di alcuni documenti all'Autorità locale. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione per violazione di norme contrattuali, affermando che la condotta contestatagli era riconducibile alla sanzione conservativa, anche in ragione del fatto che l’illecito era di scarso rilievo disciplinare.

 

I principi di rilevanza costituzionale espressi dall’ordinanza interlocutoria che portano ad un ripensamento dell’orientamento del maggio 2019.

Fatta tale premessa di ordine sistematico e fattuale, si può entrare nel merito delle numerose questioni affrontate dall’ordinanza interlocutoria. Il recente arresto della cassazione, infatti, pone un argine o, quantomeno, un serio e rigoroso ripensamento ai principi espressi da quelle che erano state definite le sentenze di maggio[7] che ormai sembravano aver consolidato, se non sepolto definitivamente, la querelle dottrinale[8] e giurisprudenziale (quest’ultima opportunamente richiamata dalla ordinanza in commento nei contrapposti indirizzi esistenti sin dal 2015 proprio al fine di evidenziare la non univocità delle interpretazioni di legittimità) sviluppatasi attorno a tale questione. In merito, infatti, si sono delineati, soprattutto in dottrina, due indirizzi: il primo, per cui la reintegra è consentita solo in caso di coincidenza tra l’illecito contestato e la condotta tipizzata dal contratto collettivo[9]; il secondo, che invece ritiene ammissibile la tutela reale laddove i fatti contestati siano riconducibili a condotte di tipo conservativo che il contratto collettivo ha descritto genericamente o di analogo tenore a quelle tipizzate[10].

L’ordinanza è di rilevante interesse in quanto appare lineare e coerente nelle argomentazioni svolte che si sostanziano, da una parte, in un’approfondita ed esaustiva ricognizione degli opposti orientamenti giurisprudenziali formatisi nel tempo sulla vicenda de qua, dall’altra, in ampi e ragionati richiami alle ultime decisioni della Corte cost. La Suprema Corte, infatti, valorizza alcuni principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale proprio alla luce della recente giurisprudenza della Consulta[11]. In tal senso, leggendo il provvedimento in esame, lo scopo perseguito appare proprio quello di fornire una riflessione di ampio respiro in ordine sia alle differenze precettive e rimediali dell’art. 18, commi 4 e 5, sia al ruolo centrale della tutela reintegratoria, così come valorizzata anche dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 2012[12]. I giudici di legittimità, preliminarmente, riconoscono che la reintegrazione non rappresenta “l’unico possibile paradigma attuativo” dei principi costituzionali di cui agli artt. 4 e 35 Cost., potendo infatti il legislatore prevedere meccanismi di tutela solo risarcitori, delimitando così l'ambito applicativo della reintegrazione, come confermato sempre dalla Corte cost. n. 59 del 2021. Tuttavia, afferma ancora la Suprema Corte, “nell'apprestare le garanzie necessarie a tutelare la persona del lavoratore, il legislatore...è vincolato al rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza[13], di cui si deve tener conto ai fini di consentire l’accesso alla reintegrazione. In merito, viene richiamato quanto statuito dalla sentenza n. 59 del 2021 (punto 10.1) ove la Corte cost., con riferimento all'art. 18, comma 7, ha restituito alla reintegrazione nel posto di lavoro “quel rilievo baricentrico, nell’ambito dello sfilacciato sistema delle tutele contro il licenziamento illegittimo[14]. Al riguardo, l’ordinanza in esame, nel sottolineare il significativo discrimine esistente tra le due forme di tutela applicabile ex art. 18, comma 4 e comma 5, L. n. 300/70, ha messo in luce le “notevoli implicazioni” connesse alla “alternativa fra una più incisiva tutela reintegratoria o una meramente indennitaria”. A parere della Suprema Corte, proprio in ragione di tale asserzione, risulta pertanto irragionevole la scelta di ricondurre la scelta tra le due forme di tutela applicabile a “fattori contingenti” impropri o privi di attinenza con il disvalore del licenziamento[15]. In merito, appare pienamente condivisibile quanto affermato dalla dottrina che, nel definire irragionevole la soluzione interpretativa adottata dalle sentenze di maggio 2019, ritiene che tale orientamento provochi un disequilibrio normativo nella selezione della tutela adeguata proprio perché vi è in gioco “il nucleo duro della tutela della dignità della persona ingiustamente licenziata[16]. Di avviso contrario, invece, altra dottrina che, facendo leva sulla “residualità della tutela reale” e sulla volontà legislativa di graduare il sistema sanzionatorio in base al vizio del recesso, critica il provvedimento in esame sull’assunto che le norme collettive debbano essere interpretate “in termini di stretta tipicità” e ciò a prescindere “da ogni distinzione tra giudizio di sussunzione e giudizio di proporzionalità[17].

 

L’irragionevole disparità di trattamento conseguente all’applicazione della reintegrazione solo per condotte tipizzate dal CCNL.

Altro principio messo in risalto dall’ordinanza in esame è quello del bilanciamento di interessi contrapposti costituzionalmente rilevanti[18]. Il provvedimento in commento, nel contesto di un equilibrato componimento dei diversi interessi in gioco, richiama infatti il principio dell’adeguatezza dei rimedi criticando la non conformità del precedente orientamento rispetto anche al criterio di ragionevolezza nell’applicazione dell’art. 18, comma 4, come affermato dalla Corte cost.[19]. La Suprema Corte sollecita, con tale prospettazione, una rimeditazione dell’assunto delle sentenze del 2019 che, in nome dell’esigenza datoriale di prevedibilità dei costi del licenziamento illegittimo, hanno rinvenuto proprio nella tipizzazione delle condotte stabilite dai contratti collettivi o dai codici disciplinari, il discrimine tra tutela reintegratoria e indennitaria. In tale operazione ermeneutica, le cosiddette sentenze di maggio 2019, hanno escluso categoricamente ogni possibilità di interpretazione analogica o estensiva delle clausole generali. Tale assunto, sempre secondo l’ordinanza interlocutoria in analisi, condurrebbe al grave rischio di collegare l’applicazione della reintegrazione “a criteri casuali, non idonei a costituire valido filtro della proporzionalità della sanzione rispetto all’addebito contestato”, ciò in aperta violazione del principio sopra richiamato di un adeguato contemperamento degli interessi delle parti contrapposte.

Il provvedimento in analisi risulta poi di particolare interesse laddove pone in evidenza, in maniera condivisibile a parere di chi scrive, la circostanza per cui se anche alcune condotte non risultino tipizzate dai contratti collettivi come suscettibili di sanzioni conservative, ciò “non può costituire un indice significativo e plausibile della volontà delle parti sociali di escludere tali condotte dal novero di quelle meritevoli delle sanzioni disciplinari più blande, più conservative”. Ciò a maggior ragione allorché tali comportamenti vengano codificati mediante formule generali o aperte oppure con norme di chiusura. L’ordinanza sul punto, e questo forse è uno dei passaggi motivazionali più incisivi, mette in luce il rischio che dal precedente orientamento della cassazione scaturisca “un’irragionevole disparità di trattamento in quanto si legittimerebbe una tutela differenziata arbitraria”. Tale evenienza si determinerebbe, ad esempio, qualora comportamenti non gravi fossero tipizzati dal contratto collettivo e disciplinati con sanzioni conservative, e altri, caratterizzati magari da pari se non addirittura minore rilievo disciplinare, non ricevessero alcuno specifico riconoscimento nelle clausole collettive. La Suprema Corte osserva in merito, con argomentazione particolarmente convincente, che la disciplina dei contratti collettivi è inidonea a predeterminare in astratto tutte le fattispecie disciplinarmente rilevanti. Infatti, solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente disciplinato da una previsione di fonte negoziale che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con provvedimento conservativo, il licenziamento è sanzionato con la tutela reale. Nel caso, invece, di una condotta accertata che non rientri tra quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa, la tutela è solo risarcitoria. Il giudice, pertanto, sempre secondo quanto osservato nell’ordinanza de qua, non compie una autonoma valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto, ma interpreta il contratto collettivo e lo applica alla fattispecie concreta. La Cassazione evidenzia in merito che si tratta di un’attività di sussunzione di un comportamento oggetto di addebito delineato nel contratto collettivo mediante clausole generali che non comporta un giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, configurandosi in realtà solo un’interpretazione della norma contrattuale. Sul punto, i giudici di legittimità rilevano infatti che il compito del magistrato è stabilire, ad esempio, “se una determinata condotta sia sussumibile nella nozione giuridica di negligenza lieve e non decidere se per la condotta di negligenza lieve sia proporzionata la sanzione conservativa o quella espulsiva”. Per i giudici di legittimità, non sussumere una determinata condotta nell’ambito di una clausola del CCNL solo perché formulata in modo generico, sarebbe lesivo del principio di ragionevolezza.

La Suprema Corte, a supporto di tali argomentazioni, evidenzia, a chiusura del proprio ragionamento, altri due passaggi fondamentali: in primo luogo, con riferimento ai codici disciplinari, osserva che gli stessi sono redatti unilateralmente dal datore di lavoro, cosicché la gradazione delle tutele è rimessa alla sola volontà di quest’ultimo; secondariamente, afferma che la tipizzazione delle condotte non è effettuata dalle parti sociali in funzione dell’applicazione dei due diversi regimi di tutela previsti dall’art. 18, ai commi 4 e 5 rispetto al quale le stesse non vengono individuate “secondo un criterio idoneo a dare ragione del fatto per cui solo alcuni illeciti disciplinari, e non altri, meritino la tutela reintegratoria”. In altri termini, secondo la Cassazione, quella tipizzazione “non ha un nesso eziologico e valoriale rispetto alla funzione di discrimine che viene ad essa attribuita. Con la conseguenza, irragionevole, di far ricadere sui lavoratori le lacune e la approssimazione della disciplina contrattuale collettiva”.

 

Rilievi conclusivi.L’ordinanza in commento pare riequilibrare le sorti di una partita che appariva ormai chiusa, sollecitando un complessivo ripensamento dell’orientamento di cassazione del 2019 sin qui analizzato, evidenziandone, in particolare, i profili di incostituzionalità per irragionevolezza e disparità di trattamento. La Suprema Corte, con il provvedimento interlocutorio de quo, tenta di superare un rigido formalismo interpretativo che, se dovesse trovare definitivo accoglimento nel diritto vivente, limiterebbe notevolmente l’applicazione della tutela reintegratoria nelle ipotesi di licenziamento disciplinare. Come giustamente osservato dalla ordinanza n. 14777/21, ritenere quale parametro decisivo per l’applicazione della tutela reale solo le tipizzazioni stabilite dalla contrattazione collettiva, si scontra con un dato cogente e notorio: le codificazioni indicate dal CCNL raramente individuano, in maniera specifica, le condotte che fanno accedere alle sanzioni conservative in quanto, in realtà, si sostanziano in paradigmi esemplificativi, giammai esaustivi. Circoscrivere la reintegra alle sole condotte tipizzate appare illogico e crea un’evidente disparità di trattamento, in quanto tenta di regolare rigidamente, quasi come se trattasse di un’operazione matematica, la qualificazione dei comportamenti meritevoli di tutela reale. Occorre avere la necessaria consapevolezza che tale operazione ermeneutica non valuta correttamente il dato reale, ossia che le tipizzazioni che consentono l’applicazione della sanzione conservativa, e quindi la reintegrazione, spesso sono determinate genericamente dalla contrattazione collettiva. Con la conseguenza che tale approssimazione esclude alcune condotte che, parafrasando le stesse parole della Cassazione, sono magari di pari o addirittura minore gravità di quelle identificate dalle parti sociali. In tal modo, essendo peraltro preclusa qualsivoglia interpretazione analogica o estensiva, come giustamente sottolineato dall’ordinanza n. 14777/21, si rischia un effetto paradossale e discriminatorio per cui un licenziamento illegittimo può comportare la sola tutela indennitaria e non quella reale in quanto l’infrazione contestata, pur non

* Avvocato del Foro di Roma.

[1] Sulla tematica del licenziamento disciplinare a seguito della L. n. 92/2012, v. R. De Luca Tamajo – O. Mazzotta (2013), Commentario breve alle leggi sul lavoro, Padova, 2013, 25 e ss.; A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all’art. 18 Statuto dei lavoratori, in http://www.bollettinoadapt.it/ del 25.09.2012; M. Marazza, L’art. 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in Arg. dir. lav., 2012, n. 3, I, 622 e ss.; A. Palladini, La nuova disciplina dei licenziamenti, in Riv. it. dir. lav., 2012, n. 4, II, 653 e ss.; R. Riverso, I licenziamenti disciplinari tra Jobs Act e riforma Fornero. (Basta poco di fatto materiale e la reintegra va giù), in Quest. giust., 2015, 4 e ss.; A. Vallebona, La riforma del lavoro, Torino, 2012, 57; V. Speziale, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, 2012, in Riv. it. dir. lav., 552 e ss.

[2] In tal senso, si veda, quale prima interpretazione sulla qualificazione del “fatto materiale”, Cass. 6.11.2014, n. 23669 secondo cui la “reintegrazione trova ingresso in relazione alla verifica della sussistenza/insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, così che tale verifica si risolve e si esaurisce nell’accertamento, positivo o negativo, dello stesso fatto, pubblicata rispettivamente, in Mass. giur. lav., 2014, 874, nonché in Il Foro it., 2014, I, 3418, con nota di M. De Luca. In dottrina, sulle differenze tra fatto materiale e fatto giuridico si segnalano, tra i tanti commentatori: R. De Luca Tamajo, Il licenziamento disciplinare nel nuovo art. 18: una chiave di lettura, in Riv. it. dir. lav., 2012, n. 2, II, 1049 e ss.; F. Carinci, Il legislatore e il giudice: l’imprevidente innovatore ed il prudente conservatore (in occasione di Trib. Bologna, ord. 15.10.2012), in Arg. dir. lav., 2012, 4-5, 773; M. Barbieri, La nuova disciplina sostanziale del licenziamento individuale: prime risposte giurisprudenziali, in Riv. giur. lav., 2012, 3, 334 e ss.; A. Piccinini, Licenziamento disciplinare: il fatto materiale tra legge Fornero e Jobs Act, in Lav. giur., 2016, n. 4, 339 e ss.

[3] Cfr. Cass. 13.10.2015, n. 20540, in Il Foro it., 2015, I, 3830, con nota di V. Ferrari; in Mass. giur. lav., 2015, 850, con nota di A. Vallebona; in Dir. prat. lav., 2015, 2704, con nota di S. Servidio; in Dir. rel. ind., 2015, 1128, con nota di R. Pelusi; in Riv. it. dir. lav., 2016, II, 102, con nota di O. Mazzotta; in Guida al lav., 2017, fasc. 41, 15 (m), con nota di C. Scognamiglio; si veda anche Cass. 13.10.2015, n. 20545 in Riv. giur. lav., 2016, n. 1, II, 31, con nota di A. Federici. Tale indirizzo è stato poi confermato anche da Cass.,18.9.2016, n. 18418, in Riv. giur. lav., 2017, II, 51, con nota di M. Salvagni, L’irrilevanza giuridica del fatto equivale alla insussistenza della condotta.

[4] In tal senso, Cass., 7.5.2020, n. 8621, in Giur. it, 2021, 1, pag. 130, con nota di F. Olivelli, Il divieto di estensione analogica delle sanzioni conservative sindacalmente tipizzate.

[5] Cfr. Cass., 9.5.2019, n. 12365, nonché nello stesso senso, si veda: Cass., 23.5.2019, n. 14063 e Cass., 28.5.2019, n. 14500, pubblicate tutte in Lavoro e prev. oggi, 2019, 11-12, 694 con nota con nota di M. Salvagni, Licenziamento disciplinare e sanzione conservativa: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica. Sul punto, cfr. R. Del Punta, Ancora sul regime del licenziamento disciplinare ingiustificato: le nuove messe a punto della Cassazione, in Riv. it. dir. lav., 2019, II, pp. 507 e ss. In senso critico all’orientamento del maggio 2019, si veda A. Piccinini, Licenziamenti disciplinari e contrattazione collettiva tra realtà e immaginazione, in Quest. giust., 2019.

[6] In tal senso, cfr. Cass. n. 30420 del 2017.

[7] La definizione è di A. Maresca, Licenziamento disciplinare e sussistenza del fatto contestato nella giurisprudenza di Cassazione, in Dir. rel. ind., 2019, 946.

[8] Sul punto, cfr. R. Del Punta, Ancora sul regime del licenziamento disciplinare ingiustificato: le nuove messe a punto della Cassazione, in Riv. it. dir. lav., 2019, II, 507 e ss., nonché P. Tosi, E. Puccetti, La tipizzazione collettiva degli illeciti disciplinari tra tutela reale e tutela obbligatoria, Riv. it. dir. lav., 2019, II, 4, 652. Si segnala anche il commento critico all’orientamento del 2019 di A. Piccinini, Licenziamenti disciplinari e contrattazione collettiva tra realtà e immaginazione, op. ult. cit., 2019.

[9] A. Maresca, Licenziamento disciplinare, contrattazione collettiva, e sistema dei rimedi nell’art. 18, co. 4: i chiarimenti della Cassazione, in Arg. dir. lav., 2019, 6, 1287, nonché G. Proia, Il regime delle tutele e i licenziamenti disciplinari: lo stato della giurisprudenza e osservazioni a margine, in Mass. giur. lav., 2019, 1, 127.

[10] In tal senso, V. Speziale, Giusta causa e giustificato motivo dopo la riforma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT-165/2012, 33 e ss.; S. Giubboni, A. Colavita, La valutazione della proporzionalità nei licenziamenti disciplinari: una rassegna ragionata della giurisprudenza, tra legge Fornero e Jobs Act, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT -334/2017, 7.

[11] Per un approfondimento della giurisprudenza costituzionale antecedente alla sentenza C. cost. 59/21, V. Speziale, La giurisprudenza della Corte costituzionale sul contratto a tutele crescenti, in Riv. giur. lav., 2020, I, 733 ss.

[12] Sul punto, si vedano in dottrina: C. Pisani, La riforma dei regimi sanzionatori del licenziamento per mano della Consulta, in Dir. rel. ind., 2021, 522, nonché V. Ferrante, Non c’è alternativa alla reintegra, in caso di manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo, in Dir. rel. ind., 2021, 509.

[13] In tal senso, l’ordinanza n. 14777/21 richiama C. cost. n. 59 del 2021, punto 8.

[14] S. Giubboni, Una rinfrescante ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione sul confine tra tutela reintegratoria e indennitaria nel licenziamento disciplinare ex art. 18 dello Statuto, in Lav. dir. Eur., 2021, 3, 3.

[15] Tale assunto fa riferimento all’orientamento giurisprudenziale che assoggetta a una valutazione in termini di eccessiva onerosità la reintegrazione dei soli licenziamenti economici.

[16] In tal senso, S. Giubboni, op. cit., 12.

[17] P. Tosi, E. Puccetti, L’interpretazione analogica della tipizzazione collettiva, l’abrogazione tacita di una riforma, in Lav. dir. Eur., 2021, 3, 7. Sempre in senso critico, si veda anche A. Di Rosa, L’insostenibile leggerezza del decidere – nota a margine dell’ordinanza n. 14777/21, in Lav. dir. Eur., 2021, 3, 9.

[18] In merito, l’ordinanza in commento richiama quanto affermato sul punto dalla sentenza C. cost. n. 150 del 2020 (punto 13) secondo cui “in un prudente bilanciamento tra gli interessi costituzionalmente rilevanti, l'esigenza di uniformità di trattamento e di prevedibilità dei costi di un atto, che l'ordinamento qualifica pur sempre come illecito, non può sacrificare in maniera sproporzionata l'apprezzamento delle particolarità del caso concreto, peraltro accompagnato da vincoli e garanzie dirette ad assicurarne la trasparenza e il fondamento razionale”.

[19] Sul punto l’ordinanza, a supporto di tale principio, cita espressamente quanto stabilito dalle sentenze C. cost. n. 150 del 2020, punto 13, nonché dalla n. 194 del 2018, punti 12.1. e 12.2, secondo cui nell’ambito della disciplina dei licenziamenti occorre una necessaria adeguatezza dei rimedi “nel contesto di un equilibrato componimento dei diversi interessi in gioco e della specialità dell'apparato di tutele previsto dal diritto del lavoro”.