La natura ontologicamente causale del contratto di lavoro temporaneo

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista giuridica del Lavoro n.4/2010

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Corte d’Appello Torino, 20 gennaio 2010, Sez. lav. – Pres. Girolami, Est. Ramella Trafighet – C. R. (avv.ti Poli e Ingegneri) c. Eni Spa (avv.ti Tosi e Realmente). 

Lavoro temporaneo tramite agenzia – Difetto di indicazione dei motivi – Eccessiva genericità – Violazione art. 3, comma 3, lett. a, legge n. 196/1997 – Applicazione dell’art. 10, comma 1, legge n. 196/1997 – Riconoscimento della sussistenza del rapporto di lavoro in capo all’azienda utilizzatrice. 

Il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato si trasforma in contratto a tempo indeterminato alle dipendenze dell’azienda utilizzatrice non solo nei casi contemplati dall’art. 10, commi 2 e 3, legge n. 196/1997, in mancanza di forma scritta o di protrazione del rapporto oltre il termine di dieci giorni dalla naturale scadenza, ma anche nelle ipotesi contemplate dal comma 1 del medesimo art. 10, e quindi anche nel caso di violazione dell’art. 1, commi 2-5, ipotesi tra le quali rientra la generica indicazione dei motivi sottesi alla stipula del contratto di fornitura e del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, essendo detti contratti, intrinsecamente collegati, ontologicamente causali. (1)

(1) La natura ontologicamente causale del contratto di lavoro temporaneo

 

Sommario: 1. — Breve premessa sulla ratio della legge n. 196/97: la doppia deroga rispetto al modello legale tipico. — 2. Il caso di specie. — 3. La specifica indicazione dei motivi quale contenuto essenziale dei contratti di fornitura e di prestazione di lavoro ontologicamente collegati nella loro natura causale. — 4. L’esegesi giurisprudenziale sull’indicazione oggettiva della causale ai fini dell’effettivo controllo del nesso causale che giustifica l’assunzione temporanea. — 5. La novazione soggettiva e oggettiva del contratto di lavoro temporaneo che comportano la conversione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore. — 6. Rilievi conclusivi.

— Breve premessa sulla ratio della legge n. 196/97: la doppia deroga rispetto al modello legale tipico — L’oggetto della presente nota riguarda la querelle interpretativa su quali siano le violazioni della legge n. 196 del 1997 che configurino la trasformazione del rapporto di lavoro temporaneo in uno a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice.

La questione assume particolare interesse in quanto affronta la tematica della novazione oggettiva del rapporto anche per ipotesi diverse da quelle tipiche previste dal legislatore e disciplinate dall’art. 10, commi 2 e 3, legge n. 196/97, ovvero mancanza di forma scritta del contratto (fattispecie che nella maggior parte delle decisioni ha riguardato la mancata produzione in giudizio del contratto di fornitura) e protrazione del rapporto oltre il termine di dieci giorni dalla naturale scadenza.

La sentenza in commento, come altri precedenti di merito ([1]), ha infatti ritenuto che tale effetto si verifichi anche in caso delle violazioni disciplinate dal comma 1 dell’art. 10, legge n. 196/97, che nello specifico richiama l’art. 1, commi 1, 2, 3, 4 e 5, ipotesi per le quali continua a trovare applicazione la legge n. 1369/60.

Occorre preliminarmente evidenziare che, al momento dei fatti di causa, la legge n. 1369/60 non era stata ancora abrogata dal d.lgs. n. 276/2003. Pertanto, al di fuori dei casi previsti e autorizzati alle condizioni di cui alla legge n. 196/1997, la fornitura di manodopera temporanea costituisce ancora, per definizione, la fattispecie vietata dall’art. 1 della legge n. 1369/60, le cui disposizioni e previste sanzioni ritornano quindi in vigore.

Mediante il cosiddetto Pacchetto Treu entra nel nostro ordinamento il «lavoro temporaneo», quale particolare, speciale ed eccezionalmente consentita interposizione nella fornitura delle prestazioni di lavoro. La legge n. 196/1997, infatti, statuisce, fin dall’articolo 1, che il lavoro temporaneo è ammesso solo ed esclusivamente «per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo», con rinvio per l’identificazione ai contratti nazionali della categoria in cui rientra l’impresa utilizzatrice, precisando che rilevano solo quelli stipulati dai sindacati più rappresentativi. Le esigenze temporanee trovano poi una elencazione, chiaramente tassativa, nel comma 2 dello stesso articolo 1.

La legge sul lavoro interinale prevede in primo luogo che l’attività di fornitura dei lavoratori sia svolta attraverso un’apposita struttura imprenditoriale, necessaria alla selezione del personale da offrire alle società clienti; in secondo luogo, si disciplina la realizzazione della fornitura tramite due diversi contratti: quello (a monte e principale) tra impresa utilizzatrice e impresa fornitrice e quello (a valle e connesso) tra impresa fornitrice e singolo lavoratore fornito.

La disciplina introdotta dal legislatore del 1997 quindi non ha comportato affatto l’abrogazione del precedente (e ordinariamente mantenuto) divieto d’interposizione nella fornitura della manodopera, ma solo la sua limitata, eccezionale e condizionata deroga.

La legge n. 1369/1960, infatti, è rimasta in vigore per tutte le ipotesi che non rientrano, per qualsiasi ragione, nell’ambito della specifica fattispecie prevista dalla 196/97, a carattere, si ripete, eccezionale.

La disciplina è flessibile in quanto è operativa come «eccezione» solo a fronte del ricorrere di determinati e precisi requisiti posti al fine di prevenire e impedire l’utilizzazione indiscriminata (e illecita) della norma.

Pertanto, il presupposto giuridico essenziale sul quale incentrare l’odierno commento riguarda la questione della «doppia deroga condizionata», in quanto è duplice l’effetto derogatorio rispetto alle regole cogenti, poiché la cosiddetta flessibilità governata ex legge n. 196/97 consente di deviare, da una parte, dal divieto di intermediazione di manodopera ex legge n. 1369/60, dall’altra, dal modello legale tipico del contratto di lavoro subordinato che deve essere stipulato di regola a tempo indeterminato (disposizione, questa ultima, espressamente introdotta dal legislatore nell’ordinamento nazionale con la legge n. 247 del 24 dicembre 2007 che, difatti, ha modificato l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, introducendo il comma 01).

Al riguardo poi occorre tener conto, nell’applicazione dei princìpi giuridici sottesi alla fattispecie concreta, che in ogni caso il contratto di prestazione di lavoro temporaneo è pur sempre una particolare figura di contratto a tempo determinato, tematica questa ribadita nella sentenza della Corte Costituzionale n. 58 del 16 febbraio 2006 (decisione su cui si dirà meglio oltre), che riporta tale fattispecie nell’alveo naturale della disciplina generale in materia di eccezionalità del termine, ove appunto l’assunzione del lavoratore è condizionata ai requisiti previsti dalla legge.

Sul punto, è doveroso evidenziare che una parte della dottrina aveva invece escluso la tesi dell’applicabilità analogica delle norme del contratto a termine al contratto di lavoro interinale ([2]).

In ogni caso, quel che caratterizza il rapporto di lavoro interinale (d’altronde come avviene per il contratto a termine), è il limite della temporaneità e della eccezionalità della esigenza che ha la funzione di impedire la fornitura di lavoratori interinali, al fine di soddisfare esigenze stabili della impresa utilizzatrice. Di ciò vi è precisa conferma nel testo della legge n. 196/97, laddove, mentre è previsto che il contratto di lavoro temporaneo può essere a tempo indeterminato, quello di fornitura è necessariamente un contratto a termine e deve essere vincolato alla sussistenza di una legittima causale (art. 1, comma 5, lettera h).

Come è noto il rapporto speciale di lavoro interinale ha un carattere «trilaterale» a differenza di quello tradizionale. La società «utilizzatrice» chiede alla società «fornitrice» l’invio di manodopera (ancora da identificare) per lo svolgimento dei compiti da indicarsi (analiticamente) nel contratto di «fornitura». L’architrave della struttura risulta dunque il «contratto di fornitura». Questo è il primo, importante e fondamentale elemento da esaminare. Esso ovviamente è estraneo e non reso noto al prestatore e nasce prima del contratto individuale di prestazioni temporanee disciplinato dall’art. 3 della legge. Tale ultimo contratto individuale si pone in stretto e indissolubile nesso causale con quello di fornitura, di cui costituisce la successiva esecuzione. Il contratto individuale ha forma scritta e deve contenere: i motivi, le specifiche mansioni con il relativo inquadramento, il luogo e l’orario oltre che dell’impresa utilizzatrice, la data di inizio e conclusione.

Proprio perché esiste a monte il contratto di fornitura dunque il contratto di lavoro, che del primo è di mera esecuzione, comporta fondamentali oneri esplicativi.

Su tale obbligo di specificazione si basa la vicenda oggetto di nota.

— Il caso di specie — Nella controversia oggetto della sentenza in commento erano stati dedotti vari profili di illegittimità del rapporto interinale intercorso tra le parti e, in particolare, la genericità dei motivi di ricorso al contratto di fornitura, l’insussistenza in capo alla società utilizzatrice delle esigenze giustificative dichiarate per il ricorso all’utilizzo di lavori temporanei, nonché l’assegnazione di mansioni diverse da quelle previste nei contratti stipulati con la società fornitrice.

Tuttavia, il nodo centrale della controversia si incentra principalmente sull’accertamento giudiziale di primo grado, ove la soluzione interpretativa adottata, in un certo senso, potrebbe apparire addirittura paradossale e in antitesi con i fondamentali princìpi del diritto del lavoro in tema di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Per una corretta analisi di tale istituto è opportuno considerare che il medesimo trova i propri princìpi fondanti sia nelle disposizioni della Direttiva comunitaria n. 1999/70/Ce (cui il d.lgs. n. 368/2001 ha formalmente dato attuazione), secondo la quale «i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro» e «l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo per prevenire gli abusi» (punti 6 e 7 delle «considerazioni generali» dell’Accordo allegato alla direttiva), sia nella citata legge n. 247/2007 che, espressamente, ha stabilito che «il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato».

Il Tribunale di Torino, difatti, pur avendo riconosciuto l’illegittimità del primo contratto di prestazione temporanea, giudicato formalmente irregolare per la genericità dei motivi indicati (stante il mero richiamo ai casi previsti dal Ccnl), tuttavia, non ha ravvisato nella fattispecie concreta quegli elementi giuridici che gli consentissero di dichiarare la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, ritenendo che per tale violazione non fosse prevista dalla legge n. 196 del 1997 la specifica sanzione della conversione del rapporto.

Le questioni che interessano la presente nota sono fondamentalmente due, così come analiticamente sviluppate nel ragionamento decisorio della Corte d’Appello torinese.

La prima, se con riferimento anche alla fattispecie del lavoro interinale, così come è avvenuto nell’interpretazione giurisprudenziale relativa alle causali dei contratti a tempo determinato ex d.lgs. n. 368/01, una generica indicazione dei motivi sottesi all’assunzione determini o meno un illegittimità del rapporto.

La seconda, qualora si stabilisca che una tale mancanza configuri una violazione della legge n. 196 del 1997, se anche per tale ipotesi la legge stabilisca la conversione del rapporto a tempo indeterminato.

— La specifica indicazione dei motivi quale contenuto essenziale dei contratti di fornitura e di prestazione di lavoro ontologicamente collegati nella loro natura causale — Per quanto riguarda la prima questione, è opportuno richiamare un passaggio della motivazione in cui la Corte d’Appello ha affermato di non aderire alla tesi secondo cui le ragioni poste alla base del contratto di fornitura potrebbero essere indicate in modo non specifico nel contratto di prestazione di lavoro temporaneo stipulato dall’impresa fornitrice con il lavoratore, con la possibilità ex post di essere precisate nel corso del giudizio.

Sul punto i giudici torinesi, dopo aver elencato le specifiche ipotesi consentite per la conclusione del contratto di fornitura, hanno sostenuto che detta interpretazione non fosse in alcun modo ammessa dalla lettura delle disposizioni della legge n. 196/97, in quanto il legislatore, «pur conferendo alle organizzazioni sindacali una vera e propria delega in bianco a individuare altre fattispecie che legittimino il ricorso al lavoro temporaneo», tuttavia, non ha permesso una libera stipulazione del contratto di fornitura avendo, infatti, specificatamente determinato «alcuni casi particolari, connotati da eccezionalità e temporaneità, che consentono il ricorso a tale strumento».

A parere della Corte d’Appello di Torino, quindi, tale previsione normativa ha confermato l’interpretazione secondo cui il contratto di fornitura di lavoro temporaneo è «un contratto necessariamente causale», che impone al datore di lavoro, da un lato, di ricorrervi solo per realizzare le ipotesi espressamente previste dalla legge, dall’altro, di dimostrare che la ragione sottesa all’assunzione del lavoratore temporaneo rientri effettivamente tra i casi legalmente previsti.

I giudici di secondo grado hanno affermato poi che «strettamente collegata alla natura causale del contratto è la necessaria esplicitazione del motivo della sua conclusione»: l’art. 3, comma 3, lett. a, della legge n. 196/1997 impone di indicare, nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, «i motivi di ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo».

La Corte d’Appello di Torino, quindi, prendendo le mosse da tali disposizioni, che in buona sostanza stabiliscono l’indicazione dei motivi del ricorso al lavoro temporaneo sia nel contratto di prestazioni di lavoro temporaneo che in quello di fornitura, ha ritenuto che vi sia uno stretto collegamento funzionale fra i medesimi che configurano «una fattispecie complessa» dove i due contratti «non possono essere presi in considerazione autonomamente e indipendentemente l’uno dall’altro», poiché la fattispecie si perfeziona solo nella somma dei due adempimenti.

In merito, si è espressa anche la Corte di Cassazione che in passato aveva già sostenuto che deve ritenersi sussistente un preciso collegamento tra il contratto sottoscritto dall’impresa fornitrice e il lavoratore e quello invece commerciale concluso fra questa ultima e l’azienda utilizzatrice con l’obbligo di questa ultima di «controllare l’esatto contenuto del contratto di prestazione di lavoro temporaneo che costituisce il titolo che gli consente di gestire il lavoratore» ([3]).

In considerazione di tale intrinseco collegamento funzionale tra i due contratti i giudici di legittimità, nella citata sentenza, hanno difatti affermato che il rapporto interinale è «una fattispecie caratterizzata da due negozi – ontologicamente tra loro collegati – che danno luogo a un rapporto-indivisibile trilaterale».

Pertanto, secondo la Cassazione, in virtù della rilevante circostanza che il rapporto è così disciplinato attraverso due distinti contratti, risulta che il medesimo è quindi «caratterizzato da una scissione fra gestione normativa e gestione tecnico-produttiva del lavoratore; in tale ambito il contratto di prestazione costituisce per il lavoratore la fonte esclusiva della disciplina normativa del suo rapporto (cd. contratto base) e al suo contenuto va fatto riferimento per accertare l’assoggettamento dell’impresa utilizzatrice alla sanzione prevista dal comma 3 dell’art. 10, legge n. 196/97».

Alla luce di tale prospettazione, risulta maggiormente avvalorata la tesi della Corte d’Appello di Torino secondo cui, affinché non risultino violate tali disposizioni, è necessario che l’indicazione dei motivi del ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo consenta di verificare il contenuto degli stessi, possibilità questa che «a sua volta implica che il potere esercitato dall’impresa utilizzatrice non è incondizionato ma è sottoposto a presupposti che ne consentono l’esercizio e la cui sussistenza nel caso concreto deve poter essere sottoposta a controllo giudiziale ex post».

Il Collegio torinese conclude poi il proprio ragionamento affermando che solo una specifica indicazione dei motivi consente un effettivo e concreto controllo giudiziale, esplicitazione questa che diviene «elemento essenziale e imprescindibile del contenuto sia del contratto di fornitura che di quello di prestazione».

Nel caso che interessa, invece, è mancata del tutto la puntuale indicazione dei motivi del ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo, visto che nei contratti vi era una laconica locuzione «casi previsti dal Ccnl», ragione che è stata ritenuta una mera formula di stile priva di effettività, anche in considerazione del fatto che il contratto collettivo oggetto di causa prevede otto differenti ipotesi alternative di ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo. Tale genericità è stata poi considerata insufficiente poiché ritenuta una motivazione generica che non consente al lavoratore di verificare effettivamente le esigenze poste alla base della propria assunzione, ciò violando l’art. 3, comma 3, lett. a, della legge n. 196/1997. 

— L’esegesi giurisprudenziale sull’indicazione oggettiva della causale ai fini dell’effettivo controllo del nesso causale che giustifica l’assunzione temporanea — La sentenza del Collegio torinese consolida, peraltro, un principio ormai pacifico nel panorama giurisprudenziale ove, in maniera pressoché prevalente, è stata sostenuta la tesi della necessaria oggettività della causale. Secondo la giurisprudenza, infatti, i motivi posti alla base dell’assunzione devono essere «fissati» sin dal contratto individuale, in cui deve indicarsi la ragione concreta posta alla base del rapporto interinale, ciò per consentire un effettivo controllo dell’esigenza che la giustifica e, quindi, prevenire l’abuso della fattispecie.

In merito, si segnala un indirizzo giurisprudenziale della Corte d’Appello di Milano per cui lo «strumento di raccordo» tra la causale astratta e la situazione concreta è proprio l’art. 3, comma 3, lettera a, legge n. 196/97, in quanto tale norma, stabilendo che il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo contiene i motivi di ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, in tal «modo fissa la causale». A parere dei giudici meneghini, la specificazione della causale consente al prestatore che lo sottoscrive di conoscere preventivamente la ragione per cui il medesimo viene assunto, in modo «da poter verificare agevolmente che la fattispecie concreta che lo riguarda corrisponda a quella – e solo a quella – fattispecie astratta che l’anomalia consente: imponendosi la puntualizzazione della causale, e quindi dell’esigenza che ne è alla base, si rende più difficoltoso nelle singole situazioni l’abuso dello strumento, ripetesi eccezionale, del lavoro interinale» ([4]).

Secondo altro orientamento della giurisprudenza del Tribunale di Roma l’indicazione delle ragioni nei contatti di fornitura e di prestazione individuale deve essere puntuale, non essendo sufficienti a perfezionare il requisito legale previsto le «formulazioni generiche o di stile, ma è necessario il riferimento alla situazione concreta integrante la temporaneità dell’occasione lavorativa» ([5]). Per il giudice capitolino i motivi indicati nei contratti di natura temporanea, come peraltro avviene per il contratto a termine, devono ritenersi legittimi solo se basati su ragioni oggettive «che emergano preventivamente dall’accordo scritto», le uniche che consentano di rispettare la finalità di prevenire gli abusi, «onde evitare un’inammissibile ricerca a posteriori di una giustificazione per la avvenuta copertura a termine di un’occasione permanente».

Tale circostanza acquisisce ancor più rilevanza, come è avvenuto nella presente vicenda, «quando si fa generico rinvio alla fattispecie di fonte collettiva poiché queste possono essere plurime e distinte e pertanto è necessaria una loro precisa individuazione ai fini della successiva verifica ex art. 1, comma 2, e art. 10, comma 1». Dello stesso avviso è anche il Tribunale di Bologna, secondo cui la mera ripetizione della clausola contrattuale collettiva non è sufficiente a sancire la legittimità del contratto, ma deve invece essere specificata in relazione al singolo contratto di fornitura, con puntuale deduzione della situazione che lo giustifica ([6]).

Sul punto, si segnala anche una decisione del Tribunale di Milano ove è stato, infatti, affermato che la necessità che i motivi del ricorso al lavoro temporaneo risultino dall’atto scritto di assunzione consente di non «svuotare di effettiva utilità la previsione normativa (rinnovata nello specifico dagli artt. 1 e 3 della legge n. 196/97) di individuare delle ragioni» poiché, diversamente opinando, una motivazione stereotipa finirebbe con l’agevolare l’elusione di detta prescrizione poiché frustra le esigenze di individuazione poste dallo stesso art. 1 della legge n. 196/97 ([7]).

In concreto, secondo il giudice milanese, l’indicazione generica dei motivi non consente di stabilire la ricorrenza e la relazione fra il contratto di lavoro temporaneo e una situazione aziendale idonea a giustificarlo, partendo dal presupposto fondamentale che la legge n. 196/97, non consente l’assunzione di lavoratori interinali per soddisfare un’esigenza stabile dell’impresa.

Ritenendo valida una formulazione di tipo generica o astratta nei contratti di fornitura e di prestazione individuale (che, come osservato in precedenza, sono ontologicamente collegati), si finirebbe con l’attribuire un’inaccettabile discrezionalità e potere per l’impresa nelle assunzioni temporanee, in contrasto non solo con le finalità stesse della legge sul lavoro interinale ma anche sulle altre fonti nazionali e comunitarie, come sopra richiamate, che stabiliscono invece un vaglio puntuale circa la deroga al principio generale della durata a tempo indeterminato del contratto di lavoro.

— La novazione soggettiva e oggettiva del contratto di lavoro temporaneo che comportano la conversione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore — Affrontata la prima questione, occorre ora comprendere se la violazione delle norme summenzionate comporti o meno la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Secondo la tesi del Tribunale di Torino oggetto di commento, l’accertata genericità delle motivazioni indicate nei contratti de quibus non consentirebbe la conversione del rapporto a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice, potendosi applicare al caso si specie esclusivamente la sanzione di cui all’art. 10, comma 1, della legge n. 196/1997, in virtù del quale si determinerebbe solo una novazione soggettiva di quel rapporto di lavoro con l’impresa utilizzatrice.

Secondo il giudice di prime cure, tale violazione consentirebbe comunque di non intaccare le caratteristiche di quel rapporto, con la conseguenza di non inficiare la validità del termine finale apposto al contratto di lavoro in esame.

In concreto, il contratto di lavoro temporaneo carente della specificità della motivazione sarebbe illegittimo ma, tuttavia, tale vizio genetico non comporterebbe alcuna trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore in quanto il contratto, seppur viziato nel suo elemento necessariamente causale, dovrebbe sopravvivere (mai accezione del termine sembra più appropriata), mantenendo integri gli elementi formali che gli consentono di ritenere valida l’apposizione del termine.

Come era già avvenuta per il precedente della citata Corte d’Appello di Genova del 2008, anche la Corte d’Appello di Torino richiama l’unica pronuncia di legittimità finora intervenuta sul punto, il cui principio di diritto di seguito si riporta testualmente al fine di una migliore comprensione del contrasto giurisprudenziale esistente sull’interpretazione della normativa. La Corte di Cassazione ha affermato che: «mentre l’art. 10, comma 1, della legge n. 196 del 1997 si deve interpretare – al fine di evitare di ipotizzare difetti di coordinamento con il comma successivo e di ritenere pleonastici i richiami normativi in esso contenuti – nel senso che il divieto di interposizione fittizia di manodopera previsto dalla legge n. 1369 del 1960 continua a trovare applicazione nei confronti dell’impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli cui all’art. 2 della stessa legge n. 196 del 1997 ovvero che violi le disposizioni di cui al precedente art. 1, commi 2, 3, 4 e 5, l’art. 10, comma 2, della legge citata disciplina l’ipotesi dell’instaurazione ex lege di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice. Ne consegue che nei casi disciplinati dal comma 1, cui sono riconnesse tutte le conseguenze anche penali previste dalla legge n. 1369 del 1960, deve ravvisarsi quale unico effetto la sostituzione di diritto del datore di lavoro-fornitore con il soggetto utilizzatore delle prestazioni mentre rimangono invariati gli altri elementi contrattuali, ivi compreso quello inerente la temporaneità del rapporto» ([8]).

La Corte d’Appello di Torino, richiamando le ragioni esposte dalla Corte d’Appello di Genova nella summenzionata sentenza del 20 febbraio 2008, ha ritenuto di non poter condividere i princìpi esposti dalla Corte di Cassazione per cui si avrebbe un’instaurazione ex lege di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato – quindi novazione oggettiva del rapporto – con l’impresa utilizzatrice solo nei casi di mancanza di forma scritta del contratto di fornitura e protrazione del rapporto oltre il termine di dieci giorni dalla naturale scadenza, e che tale sanzione non sia estensibile analogicamente alle altre violazioni della legge n. 196/97 (tutte pedissequamente già evidenziate nelle pagine precedenti).

A giudizio dei giudici della Corte d’Appello torinese, infatti, la novazione oggettiva del rapporto con l’impresa utilizzatrice si verifica non solo nei casi sopra indicati, ma anche per la generica indicazione dei motivi del ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo, con la conseguenza che il rapporto contrattuale si instaura direttamente, ex lege, tra l’utilizzatore interposto e il lavoratore.

Tale rapporto, sostiene la Corte d’Appello di Torino, «viene a collocarsi al di fuori della causa tipica del contratto di fornitura, che presuppone la sussistenza di un rapporto trilaterale, con contratti collegati tra fornitore e utilizzatore, e tra fornitore e lavoratore. Pertanto, lungi dal permanere la disciplina del contratto di fornitura e di prestazione di lavoro temporaneo, in quei casi viene meno la causa legale del tipo contrattuale invocato dalle parti, con la conseguente nullità delle relative pattuizioni».

L’altro importante passaggio logico della motivazione evidenzia poi che «alla novazione soggettiva del rapporto, che da trilaterale diviene bilaterale per il rinvio operato alla legge n. 1369/1960, consegue necessariamente anche la novazione oggettiva del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, che discende dalla eccezionalità delle ipotesi del contratto a termine e dall’obbligo di forma scritta (art. 1, legge n. 368/2001) che, per definizione, non può esservi in caso di interposizione vietata».

Tale assunto risulta pienamente condivisibile in quanto il legislatore, nel proprio intento di garantire una flessibilità governata, ha consentito al lavoro temporaneo di derogare ai divieti e alle sanzioni previste dalla legge n. 1369/60 solo rispettando i limiti posti dalla stessa legge n. 196/97 e dalla contrattazione collettiva, anche per quanto riguarda l’indicazione delle causali sottese all’instaurazione del rapporto.

Con la violazione di tale requisito essenziale si configura una illecita interposizione di mano d’opera che comporta il consolidamento del rapporto di lavoro tra utilizzatore e lavoratore, essendo a esso non opponibile qualsivoglia diversa pattuizione con un soggetto terzo, ovvero il soggetto intermediario.

I giudici torinesi, a giustificazione di tale assunto, affermano, infatti, che «il rapporto di lavoro che si instaura ex lege tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice non è assistito da un contratto scritto inter partes e non può certo essere regolato da clausole – compresa quella che fissa il termine – contenute in un contratto che, oltre a essere illegittimo, risulta formalmente stipulato tra il lavoratore e un altro datore di lavoro (l’impresa fornitrice)».

A conforto di tale ragionamento decisorio la Corte d’Appello di Torino evidenzia che nel nostro ordinamento il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la regola e quello a tempo determinato l’eccezione, richiamando al riguardo il diritto comunitario, il consolidato orientamento dalla Corte di Cassazione, nonché la citata legge n. 247/07.

In merito, appare opportuno osservare come una conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato contrasterebbe con quanto affermato dalla sentenza Corte Costituzionale n. 58 del 16 febbraio 2006 ([9]), la quale – chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 117, comma 1, legge n. 388 del 2000 che aveva introdotto la conversione del rapporto a tempo determinato con l’utilizzatore invece che a tempo indeterminato per le violazioni di cui al comma 2 dell’invocato art. 10 – ha ribadito che le garanzie anche formali previste dalla legge non possono essere poste nel nulla con disposizioni contraddittorie e irragionevoli. Le determinazioni della Corte Costituzionale sono pienamente applicabili alla presente fattispecie in quanto, in via analogica, il principio sotteso anche alla presente decisione riguarda un’eventuale disparità di trattamento in caso di diverse violazioni della legge n. 196/97, dovendosi considerare che nel caso di specie risulta evidente, per tutte le ragioni sopra esposte, la mancanza di reali ragioni giustificatrici che consentivano il ricorso al lavoro temporaneo.

La citata sentenza della Corte Costituzionale ha, infatti, evidenziato come, nel caso di una diversa applicazione di regime sanzionatorio, si verificherebbe una violazione del principio di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.) e di quello di tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni (art. 35, comma 1, Cost.).

Il mancato rispetto di tali previsioni comporta quindi la violazione dell’art. 1, comma 2, da cui consegue l’applicazione della legge n. 1369/60, che determina l’imputabilità del rapporto al diretto utilizzatore, risultando qualsivoglia conseguenza diversa dalla prosecuzione del rapporto alle dipendenze del reale utilizzatore una «sostanziale inoperatività» della norma imperativa, con un esito «costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3, 35 e 101 Cost.», come giustamente affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 58 del 16 febbraio 2006.

In ogni caso, si evidenzia che la sentenza della Cassazione del 2008, da cui trae le mosse il ragionamento del Tribunale di Torino per negare la conversione del rapporto a tempo indeterminato, risulta non condivisibile in quanto, oltre per i motivi sopra esposti, tra l’altro, anche perché non ha considerato in alcun modo i princìpi fissati dalla summenzionata sentenza n. 58/2006 della Corte Costituzionale, nonché, circostanza ancora più sorprendente, quelli stabiliti sia nel d.lgs. n. 368/01 (il quale, come noto, prescrive, all’art. 1, requisiti sostanziali e formali per la valida apposizione del termine), sia nella già citata recente riforma voluta dal legislatore nel 2007 che, aggiungendo il comma cd. 01 all’art. 1 della legge n. 368/01, ha previsto espressamente che il rapporto di lavoro è stipulato di regola a tempo indeterminato.

Le soluzioni interpretative esposte dalla citata sentenza di Cassazione n. 2488 del 2008 (secondo la quale anche nel caso di violazione dell’art. 10, comma 1, della legge n. 196/97 debba sopravvivere la disciplina speciale di tale tipo contrattuale con la piena validità dell’efficacia del termine), non appare affatto persuasiva, poiché proprio per il venir meno della causa tipica il rapporto si colloca al di fuori di quella disciplina.

I giudici della Corte d’Appello di Torino ritengono poi che non può essere condivisa neppure l’affermazione contenuta nella citata sentenza di Cassazione, secondo cui la soluzione adottata nel caso concreto renderebbe superfluo il comma 2 dell’art. 10, legge n. 196/1997. Sostiene al riguardo il Collegio torinese che le due disposizioni hanno una diversa funzione: il comma 2 si rivela necessario per disciplinare la specifica ipotesi nella quale il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo (tra fornitore e utilizzatore), sia legittimo sia sotto il profilo formale che sostanziale, ma non lo sia invece il contratto di prestazione di lavoro temporaneo (tra fornitore e lavoratore). In questo caso, sempre secondo i giudici di secondo grado, «le conseguenze dell’illecito non possono che ricadere sul fornitore, nei confronti del quale avviene ex lege la trasformazione del contratto per prestazione di lavoro temporaneo in contratto a tempo indeterminato».

Sul punto, pare opportuno segnalare la tesi della citata Corte d’Appello genovese che, a supporto di tale argomentazione decisoria, ha affermato che proprio da un’attenta lettura del comma 2 dell’art. 10 – e poi anche del comma 3 stesso articolo – che si comprende la corretta portata del comma 1, stesso articolo. E, infatti, nel comma 2, secondo periodo, dell’art. 10, viene disciplinata l’ipotesi della mancanza della forma scritta del contratto di prestazioni di lavoro temporaneo laddove il contratto di fornitura sia pienamente legittimo. Nel comma 2, primo periodo, dell’art. 10, viene disciplinato l’ipotesi della mancanza della forma scritta del contratto di fornitura, quindi la mancanza di un requisito essenziale, che altro non è che una delle ipotesi già disciplinate nel comma 1 dell’art. 10, ossia la violazione dell’art. 1, comma 5, della legge n. 196/97, per cui l’effetto della novazione oggettiva del rapporto di lavoro nei confronti dell’impresa utilizzatrice già consegue dal richiamo alla legge n. 1369/60.

Sicché, volendo condividere la tesi della Cassazione nella sentenza n. 2488 del 2008, si dovrebbe ritenere che, fra le violazioni delle varie disposizioni contenute nel citato art. 1, una soltanto comporti la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. Ma ciò sarebbe irragionevole, considerato che pure i commi 2, 3 e 4 del medesimo art. 1 definiscono condizioni di liceità del ricorso alla fornitura di lavoro non meno importanti.

Più coerente con la ratio legis risultano essere quindi le tesi sostenute dalle Corte d’Appello di Genova e Torino, alla cui stregua la formulazione del comma 2 dell’art. 10, non mira affatto a circoscrivere solamente entro quell’ambito la costituzione ex lege di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, bensì corrisponde alla diversa esigenza di chiarire le differenti conseguenze per il caso in cui il requisito della forma scritta difetti nel contratto di fornitura ovvero nel contratto di prestazioni di lavoro temporaneo. E, infatti, qualora sia il contratto di prestazioni a risultare privo della forma scritta, il rapporto di lavoro deve necessariamente essere imputato all’impresa fornitrice, alla quale soltanto può essere riferito l’illecito.

Come osservato dai giudici genovesi nel comma 3 dell’art. 10, cit., che presuppone la piena legittimità sia del contratto di fornitura che del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, si rinviene una ulteriore conferma della comune ratio dell’intero art. 10 in commento, avente lo scopo di apprestare una tutela sostanziale alla posizione del lavoratore attraverso la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato tutte le volte che il ricorso alla fornitura avvenga fuori delle condizioni stabilite dalla legge.

In effetti, la tesi della Corte d’Appello di Genova, in parte ripresa da quelli torinesi, sembra più coerente con la volontà del legislatore di ritenere il lavoro temporaneo una’ipotesi eccezionale, ciò perché le soluzioni adottate prospettano un’interpretazione unitaria di tale ratio e delle violazioni previste dall’art. 10, della legge n. 196/97. Ciò in netto contrasto rispetto alla posizione assunta dalla citata Cassazione del 2008, la quale si fonda esclusivamente sul carattere di specialità che rivestirebbe solo il comma 2 e il comma 3 dell’art. 10: uniche disposizioni che consentirebbero la conversione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore.

 

— Rilievi conclusivi — Sulla questione della novazione oggettiva del rapporto è intervenuta, con rilievi critici, anche la dottrina ritenendo «palesemente infondato» l’argomento prospettato dai giudici di legittimità nella sentenza del febbraio 2008, osservando al riguardo che il richiamo nel comma 1 dell’art. 10 della legge n. 196/97 alla legge n. 1369/60 «implica di per sé la dichiarazione di un contratto a tempo indeterminato con l’utilizzatore interponente nel caso di fornitura ingiustificata, mentre l’espressa previsione del comma 2 deriva solo dall’esigenza di regolare appositamente il vizio distinguendo due ipotesi» ([10]).

Tale dottrina afferma poi che la questione relativa alla novazione oggettiva del rapporto con l’effettivo utilizzatore era in realtà già stata affrontata e risolta dalla Cassazione a proposito della legge n. 1369/60 ([11]), la quale in merito aveva sostenuto la tesi della necessaria conversione del rapporto a tempo indeterminato. I giudici di legittimità, con un ragionamento che può adattarsi in via analogica alla presente vicenda, avevano prospettato una tesi che, secondo la citata dottrina, appare essere «un insuperabile argomento sistematico». E, infatti, se in caso di accertata violazione del divieto di interposizione si ritenesse legittima una conversione a termine con l’interposto vi sarebbe la conseguenza paradossale che tale contratto «permarrebbe come tale con l’interponente anche se illegittimo». Una tale interpretazione della normativa consentirebbe di aggirare facilmente la disciplina limitativa del contratto a termine, permettendo, infatti «all’interponente di lucrare un lavoro a termine diversamente precluso», ciò in contrasto con la stessa ratio legislativa ([12]).

Tale Autore poi, al fine di supportare tale teoria, sostiene che ogni questione interpretativa al riguardo sia stata risolta positivamente in virtù del combinato disposto di due norme contenute nella legge sulla somministrazione di lavoro, ove il legislatore non precisa mai che in caso di irregolarità della somministrazione il contratto di lavoro debba intendersi a termine o a tempo indeterminato.

E, infatti, l’art. 27, comma 1, della legge n. 276/03, dispone che in caso di somministrazione irregolare vi sia la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del datore di lavoro. L’art. 21, comma 4, stabilisce che in mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutto alle dipendenze dell’utilizzatore ([13]).

Nessuna delle due norme puntualizza quale sia il modello contrattuale da applicare (a termine o a tempo indeterminato). La precisazione manca in quanto sarebbe pleonastica e superflua, in virtù della rilevante circostanza che «alle dipendenze» non può che significare l’instaurazione di un ordinario rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore sicché, come correttamente osservato dalla citato orientamento dottrinale, occorre ripetere il medesimo ragionamento interpretativo anche per il lavoro temporaneo ([14]).

Questa d’altronde appare l’unica interpretazione possibile al caso di specie, soprattutto alla luce della legge n. 247/2007, normativa con la quale il legislatore si può affermare abbia provveduto a «chiudere il cerchio», risolvendo, infatti, ogni dubbio interpretativo in merito alla eventualità che nel nostro ordinamento sia ancora consentito convertire a termine, anziché a tempo indeterminato, un contratto di lavoro privo di quegli elementi formali e sostanziali che, al momento dell’instaurazione del rapporto, hanno permesso di derogare alle regole generali.

In conclusione, se non sussistono i requisiti essenziali che consentono la doppia deroga al modello legale tipico (ovvero divieto di interposizione di manodopera e principio generale della durata a tempo indeterminato del contratto di lavoro), nell’accezione delineata nelle pagine precedenti, la fattispecie concreta fuoriuscita dall’ipotesi derogatoria deve essere ricondotta alla disciplina generale del diritto e nel modello contrattuale ordinario, con la necessaria conseguenza, viste le citate disposizioni normative di derivazione nazionale e comunitaria, che il contratto che non rispetta tali elementi deve essere obbligatoriamente trasformato a tempo indeterminato.

([1]) Vedi Corte d’Appello di Genova, 20 febbraio 2008 – Est. Haupt – in Riv. crit. dir. lav., pp. 525 ss., con nota di Giuseppe Cordedda, Novazione soggettiva e novazione oggettiva del rapporto di lavoro temporaneo nei casi previsti dall’art. 10 L. 24/6/97 n. 196.

([2]) In merito si veda: F. Bianchi, D’Urso, C. Chiari, Il lavoro interinale e contratto per prestazione di lavoro interinale, in Arg. dir. lav., 1998, p. 98; G. Nicolini, Il lavoro temporaneo, Padova, 1998.

([3]) Cfr. Corte di Cassazione 27 febbraio 2003, n, 3020, in Giust. civ., 2003, e in Riv. crit. dir. lav., 2003, p. 311.

([4]) Corte d’Appello di Milano, 20 dicembre 2007 – Rel. Ruiz –, non pubblicata, a quanto consta.

([5]) In tal senso, Trib. Roma – Est. Buonassisi – 27 dicembre 2007, a quanto consta non pubblicata.

([6]) Trib. Bologna 3 maggio 2005, in Lav. giur., 2006, 1, p. 75, con nota di A. Manin.

([7]) In merito, tra le tante, cfr. Tribunale di Milano, 9 agosto 2004, in Riv. crit. dir. lav., 2004, p. 892; per una rassegna della giurisprudenza sulla legge n. 196/97, si veda anche L. Giansanti, Lavoro temporaneo tra vecchia e nuova disciplina, in Note informative, 35, 2006, pp. 81 ss.

([8]) Cass. 1° febbraio 2008, n. 2448, in Mass. giur. lav., 2009, 10, pp. 1 ss.

([9]) Pubblicata in Mass. giur. lav., 2006, p. 345.

([10]) A. Vallebona, Lavoro temporaneo illegittimo e durata del conseguente contratto di lavoro con l’utilizzatore, in Mass. giur. lav., 2009, 10, pp. 6 ss.

([11]) Cass. 4 febbraio 1988, n. 1144, in Foro it., 1988, I, 1561, e Cass. 19 maggio 1990, n. 4551, in Mass. giur. lav., 1990.

([12]) A. Vallebona, op. cit., p. 6.

([13]) A. Vallebona, op. cit., p. 6.

([14]) In tal senso, A. Vallebona, op. cit., p. 7.

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