Il licenziamento del dirigente non apicale e applicazione della tutela reale

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.3/2007

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CASSAZIONE, SEZ. LAV., 22 dicembre 2006, n. 27464,  Pres. Senese -  Rel. D’Agostino – Consorzio Agrario Regione della Lucania e Taranto S.C.A.R.L.  (avv. G. Vesci) c/  Lettere Ermanno  (avv. G. Semeraro).

Licenziamento individuale - Distinzione tra la figura di dirigente apicale e pseudo dirigente – Ambito di operatività – Ampi poteri di iniziativa e discrezionalità tali da imprimere un indirizzo al governo complessivo dell’azienda – Mancanza – Limitazione di responsabilità - Applicabilità della legge n° 604 del 1966 e dell’art. 18 della legge n°  300 del 1970 – Reintegrazione nel posto di lavoro.

La qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell'imprenditore, sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale, ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell' osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello (c.d. dirigente apicale);  da questa figura si differenzia quella dell'impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell'imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità (c.d pseudo-dirigente) (1) (Massima non ufficiale)

I

Omissis – Svolgimento del processo - Con ricorso del 9.10.2001 al Tribunale di Taranto Lettere Ermanno esponeva di aver lavorato alle dipendenze del Consorzio Agrario Provinciale di Taranto fino al 31.12.2000, data dalla quale, a seguito della cessione dell'azienda consortile, era passato alle dipendenze del Consorzio Agrario Regionale della Lucania e Taranto soc. coop a r.l. con qualifica di "dirigente addetto", alle dirette dipendenze dei vice direttori, ma di fatto addetto alla sede di Taranto e posto alle dipendenze di tale Giuseppe Lezzi, che rivestiva la qualifica di quadro.

Riferiva il ricorrente che il Consorzio Regionale in data 17.5.2001 gli aveva contestato la non veridicità e il carattere diffamatorio delle affermazioni contenute in una nota del 24.4.2001 da lui inviata al commissario liquidatore del Consorzio Provinciale di Taranto, che gli aveva sollecitato la trasmissione di dati contabili relativi a quel consorzio; in particolare gli veniva contestato la non veridicità delle affermazioni relative alle modalità di pagamento di un acconto di lire 800 milioni da parte del Consorzio Regionale e della impossibilità di redigere l'inventario di magazzino del Consorzio Provinciale per la mancanza della necessaria documentazione.

Lamentava che il Consorzio Regionale, assumendo che con la sua condotta aveva arrecato grave danno al datore di lavoro, lo aveva licenziato in tronco con lettera del 30.05.2001.

Tanto premesso chiedeva al giudice adito di dichiarare l’illegittimità del licenziamento, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e condanna del Consorzio al risarcimento dei danni sia perché egli non rivestiva la qualifica di dirigente apicale, per cui il suo licenziamento doveva avvenire nel rispetto delle norme della legge n. 604 del 1966 e della legge n. 300 del 1970, sia perché in concreto non ricorrevano nè giusta né giustificato motivo soggettivo di licenziamento  .

Nella resistenza del consorzio Regionale, il Tribunale, con sentenza depositata il 28.04.2003, accoglieva il ricorso.

L'appello proposto dal Consorzio veniva respinto dalla Corte di Appello di Lecce- Sezione distaccata di Taranto, con la sentenza qui impugnata.

La Corte territoriale osservava in primo luogo che le risultanze istruttorie, inducevano a ritenere che il sig. Lettere non aveva mai svolto funzioni di dirigente apicale, in grado di incidere con autonome decisioni sull'attività dell'azienda o su un ramo particolare di questa, ma aveva sempre svolto compiti limitati in relazione ai quali era stato sottoposto alla direttiva di altro dipendente che non ricopriva neppure la qualifica di dirigente. Non rilevava in senso contrario il fatto che il dipendente  fosse addetto al settore assicurativo (gestione polizze assicurative e riscossione dei premi), trattandosi di attività il cui compimento non veniva ad incidere su aspetti rilevanti della gestione del consorzio e che poteva essere affidata a qualsiasi impiegato esperto nel settore. In definitiva l'appellato, non avendo svolto in concreto funzioni di tipo dirigenziale di vertice, era soggetto alla disciplina vincolistica quanto alle modalità di estinzione del rapporto.

In ordine agli addebiti posti a fondamento del licenziamento, la Corte osservava:

a) che l'appellato nella lettera del 24.4.2001 non aveva posto in dubbio la corresponsione da parte del Consorzio Regionale della somma di lire 800 milioni al momento dell’acquisto dell’azienda del Consorzio Provinciale, limitandosi a rilevare che detta somma non era registrabile in bilancio in mancanza di un documento ufficiale che ne attestasse il pagamento; che il ritardo nella predisposizione del bilancio 31.12.2000 del Consorzio di Taranto in liquidazione, giustificato dal dipendente con la mancanza di necessari dati contabili, non poteva aver determinato alcun grave danno Consorzio Agrario Regionale e che comunque un danno siffatto non era stato in alcun modo provato dall’appellante; c) che i predetti fatti, mentre non giustificano un licenziamento in tronco, non integravano neppure una ipotesi di grave inadempimento configurabile quale giustificato motivo soggettivo di recesso.

Per la cassazione di tale sentenza il Consorzio Agrario Regionale della Lucania e Taranto ha proposto ricorso sostenuto da quattro motivi e illustrato con memoria.

L'intimato resiste con controricorso.

Omissis (….) -  MOTIVI DELLA DECISIONE  - …La giurisprudenza di questa Corte è fermamente orientata nel senso che la qualifica di dirigente spetti soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell' imprenditore, sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale, ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell' osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello (c.d. dirigente apicale); da questa figura si differenzia quella dell'impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell'imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità (c.d pseudo-dirigente).

L’accertamento in concreto della sussistenza delle condizioni -necessarie per l’inquadramento del funzionario nell’una e nell’altra categoria costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità  soltanto per vizi di motivazione. Il  licenziamento “ad nutum”, a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o da un giustificato motivo, è applicabile solo al dirigente apicale, mentre il licenziamento della pseudo-dirigente è soggetto alle norme ordinarie (cfr. tra le tante Cass. n. 100058 del 2005, Cass. 15351 del 2004, Cass.

8064 del 2004, Cass. 13191 del 2003).

La Corte territoriale si è correttamente attenuta a  questi principi ed ha riconosciuto al Lettere la qualifica di pseudo-dirigente, con esclusione della qualifica di dirigente apicale,  dando piena ragione della propria decisione con motivazione ampia e coerente,  escludendo che il licenziato abbia mai assunto nel Consorzio Regionale posizioni di vertice e corrispondenti responsabilità dopo un attento esame delle risultanze istruttorie sia testimoniali che documentali.

Queste valutazioni della Corte sono congruamente motivate e non presentano vizi logici o contraddizioni di sorta  (……) (1).

(1) Il licenziamento del dirigente non apicale e l’applicazione della tutela reale.

- La qualificazione della figura del dirigente apicale e dello pseudo dirigente - Il legislatore del 1942 aveva considerato il dirigente quale “alter ego” dell’imprenditore: colui che con ampio potere decisionale e gestorio è preposto alla conduzione dell’intera azienda o di un ramo autonomo di essa. Il dirigente quindi, in virtù della sola appartenenza a tale posizione verticistica, dei vantaggi e dei benefici economici connessi alla stessa, per un lungo periodo di tempi è stato ritenuto escluso dall’applicazione di alcune tutele di cui gode ogni lavoratore subordinato tra cui, nel caso che interessa, quelle relative alla giustificazione necessaria del licenziamento e della applicabilità delle norme stabilite dalla legge n° 604 del 1966 e dell’art. 18 della legge n° 300 del 1970.

A supporto di tale orientamento si è sempre espressa anche la Corte Costituzionale che ha ritenuto legittima l’applicazione ai dirigenti del recesso ad nutum, proprio in virtù del particolare vincolo di fiducia che lega il medesimo al datore di lavoro (in tal senso Corte Cost. 8 giugno 1994 n. 225 in Foro It., 1994, 2022). 

Ai fini dell’individuazione dei poteri e delle mansioni che caratterizzano il ruolo dirigenziale occorre evidenziare che la contrattazione collettiva fornisce un utile ausilio per comprendere quali possano essere le attribuzioni che contraddistinguono tale qualifica; in merito, si veda ad esempio il CCNL  dei dirigenti industriali che all’art. 1, voce “Qualifica e suo riconoscimento – Applicabilità del contratto” prevede che “sono dirigenti i prestatori di lavoro per i quali sussistono le condizioni di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c. e che ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi di impresa”.

Negli ultimi anni, tuttavia, il dirigente è stato oggetto di un’attenta elaborazione giurisprudenziale e dottrinale che, a differenza del legislatore, ha avuto la sensibilità di comprendere l’evoluzione di tale funzione di pari passo con i cambiamenti e le modernizzazioni avvenute sia nel nostro sistema societario che in quello dell’organizzazione del personale. La caratterizzazione della figura del dirigente, nell’esegesi degli interpreti, è stata influenzata dal dato fattuale che le aziende oggi occupano centinaia o migliaia di dirigenti: non tutti, ovviamente, possono essere considerati “alter ego” dell’imprenditore.

E’ stata così delineata la fattispecie del dirigente minore o intermedio, presente proprio nelle aziende di grandi dimensioni che, anche se subordinato ad altri dirigenti, riveste però un’ampia autonomia decisionale (sulla dirigenza medio e bassa si veda Cass. 11 febbraio 1998 n. 1434, Lav. Giur., 1998,  2, 673, 2001). Al riguardo, si è espressa la Corte di Cassazione affermando che “nelle imprese specie di rilevanti dimensioni, caratterizzate da una pluralità di dirigenti di diverso livello, per l’individuazione degli elementi qualificanti la figura del dirigente non è più possibile far riferimento soltanto all’aspetto della supremazia gerarchica e dei poteri direttivi ad essa connessi, ma è necessario tenere presente anche la qualità, l’autonomia e la discrezionalità delle mansioni affidate …..” (in  tal senso Cass. 7 ottobre 1999 n. 11218, Lav. Giur., 1999, 10, 913, con nota di E. Barraco, Il licenziamento dei dirigenti, nonché dello stesso tenore Cass. 23 agosto 1996, n. 7761, Lav. Giur., 1997, 252).

La giurisprudenza e la dottrina, nella contrapposizione con la dirigenza di vertice, hanno poi anche descritto la posizione dello pseudo dirigente o dirigente convenzionale stabilendo che tale “ipotesi si verifica quando il datore di lavoro inquadra in via di favore come dirigente un dipendente che svolga mansioni non qualificabili come dirigenziali, al fine di consentirgli un miglior trattamento relativo ai diversi aspetti del rapporto, in primo luogo quello retributivo. Lo pseudo dirigente ha dunque solo il nome e il trattamento, ma non la posizione dirigenziale..” (E. Barraco, Il licenziamento dei dirigenti,  op.cit.).

Ancor prima di entrare nel merito della sentenza oggetto della presente nota, pare opportuno evidenziare che già qualche mese prima di tale decisione la Suprema Corte si era espressa nuovamente sulla nozione del dirigente così affermando: “secondo l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità sulla definizione della categoria di “dirigente” – siffatta categoria, notevolmente ampliatasi nella realtà aziendale e nella contrattazione collettiva di riferimento ha subito una corrispondente dilatazione pure nella sua definizione  giudiziaria con la distinzione tra “dirigente apicale” (id. est, dirigente avente un potere  decisionale e rappresentativo idoneo ad influenzare l’andamento o la vita dell’azienda tanto nel suo interno quanto nei rapporti con i terzi,  così da farne un vero e proprio alter ego dell’imprenditore) e dirigente “convenzionale” (id est, dirigente in grado di offrire  prestazioni lavorative di elevata competenza e responsabilità, anche con preposizione gerarchica ad una “direzione” o ad un ramo o ad un servizio dell’azienda tale però da non influenzare in modo significativo decisivo l’intero andamento aziendale)” (Cass.10 marzo 2006, n. 5318).

Sul punto è intervenuta da ultimo la sentenza in esame che, con espressioni di esemplare chiarezza,  consente di dirimere ogni dubbio interpretativo ai fini della distinzione tra coloro i quali possono definirsi effettivamente dirigenti e quelli che,invece, lo sono solo “sulla carta”, superando così anche le varie “gradazioni” attribuite a tale ruolo come sopra evidenziate (come ad esempio il dirigente minore e/o l’intermedio). I giudici di legittimità hanno difatti affermato che “la giurisprudenza di questa Corte è fermamente orientata nel senso che la qualifica di dirigente spetti soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell’imprenditore, sia preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale, ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentano, sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’azienda assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello (c.d. dirigente apicale); da questa figura si differenzia quella dell’impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo del servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell’imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità (c.d pseudo dirigente) ……il licenziamento “ad  nutum”, a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa  o da un giustificato motivo, è applicabile solo al dirigente apicale, mentre il licenziamento dello pseudo-dirigente è soggetto alle norme ordinarie (cfr. tra le tante, Cass. n. 10058 del 2005, Cass n. 15351 del 2004, Cass n. 8064 del 2004, Cass n. 13191 del 2003)”.  

Solo in base ad un confronto tra i compiti realmente attribuiti al lavoratore e le diverse declaratorie contrattuali che ne definiscono le funzioni, è possibile comprendere la ratio posta alla base delle distinzioni operate dagli indirizzi giurisprudenziali e dottrinali tra la qualifica di dirigente e quella dello pseudo dirigente; sulla base di tali differenziazioni, come è avvenuto nel caso di specie,  si fonda la possibilità per il dirigente non apicale di poter usufruire delle garanzie previste dalla legge n° 604 del 1966 e dall’art. 18 della legge n°  300 del 1970.  

L’indagine, quindi, riguarda le mansioni fatte concretamente svolgere al dirigente, dovendosi evidenziare che il summenzionato principio è applicabile, per analogia, anche quando il prestatore sia adibito a mansioni inferiori riferibili ad un semplice impiegato d’ordine o, addirittura, lasciato completamente inattivo. Ove si verificasse una fattispecie del genere, si prescinde da una convenzione o da inquadramento di favore ma ci si trova, di fatto, innanzi ad un lavoratore che non possiede nulla delle connotazioni che qualificano la figura dirigenziale; in tal caso, non è neanche utilizzabile la definizione di dirigenti minore o intermedio in quanto, nell’accezione sopra individuata, quest’ultimo dovrebbe avere dei poteri direttivi, forse minori, ma che presuppongono quantomeno “un’autonomia ed una discrezionalità nelle mansioni affidate” e, soprattutto, la possibilità di incidere “sugli obiettivi aziendali complessivi dell’imprenditore elemento che,caratterizzando l’attività del dirigente,appare utile a demarcare la linea di confine tra questa figura e quella di quadro” (Cass. 7 ottobre 1999 n. 11218, Lav. Giur., 1999, 10, 914, op.cit.).       

 

2- Sulla applicabilità della l. 604/66 e dell’art. 18 l. 300/70 ai dirigenti non apicali – Fatta questa breve premessa sulla differenziazione dei ruoli dirigenziali, occorre comprendere quale sia, in caso di licenziamento, la tutela applicabile al dirigente apicale e quale, invece, al cosiddetto pseudo dirigente. La diversità tra tali due funzioni è stata ben definita nella sentenza in commento dove i giudici di legittimità, al fine di stabilire quale tutela fosse applicabile a seguito del recesso, hanno ritenuto determinante l’elemento fattuale delle mansioni effettivamente assegnate al prestatore di lavoro.  

Con particolare riferimento all’applicabilità della disciplina vincolistica del licenziamento (legge n°  604/66 e legge n° 300/70) al dirigente non “apicale”, si evidenzia che la Corte di Cassazione con la sentenza in commento ha confermato un proprio precedente orientamento (si veda Cass. n. 15351/2004, Cass. n. 21673/2005, Cass. n. 10058/05) qualificando in maniera precisa e puntuale la figura del dirigente.

La questione portata all’attenzione della Corte di Cassazione n° 27464 del 2006 è quindi rilevante ai fini della definizione della fattispecie sotto il duplice profilo degli oneri  probatori e delle tutele.

E’ evidente che l’onere della prova del giustificato motivo oggettivo, ex art. 3 e 5 l. 604/66, è ben diverso dall’accertamento della “giustificatezza” del recesso del dirigente apicale e che le tutele (e le sanzioni) per il licenziamento illegittimo ex art. 18 l. 300/70 sono ben più incisive di quelle di tipo solo indennitario, come  previste dai vari CCNL di settore dei dirigenti.

Già sulla base dei criteri distintivi posti dalla Suprema Corte è facile desumere che ogni qual volta che il dirigente sia in realtà privo di qualsivoglia potere decisionale e rappresentativo e non influenzi in modo significativo decisivo l’intero andamento aziendale, non possa ritenersi tale e quindi, in caso di licenziamento ingiustificato, il medesimo avrà diritto a tutte quelle tutele previste per i lavoratori subordinati tra cui, se applicabile, la reintegrazione nel posto di lavoro.

In merito, si rileva che secondo quanto stabilito da una precedente sentenza di Cassazione, la licenziabilità ad nutum dei dirigenti ex art. 10, Legge n. 604 del 1966 è applicabile solo al dirigente in posizione apicale e quindi non ai dirigenti minori (si veda in merito Cass. 08 novembre 2005, n. 21673). Precisa poi la Suprema Corte che debba intendersi per dirigente in posizione verticistica, colui il quale, nell’ambito dell’azienda, abbia un ruolo caratterizzato dall’ampiezza del potere gestorio, tanto da poter essere definito un vero e proprio “alter ego” dell’imprenditore, in quanto preposto all’intera azienda o ad un ramo o servizio di particolare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi (in senso conforme ex multis: Cass. 9 aprile 2003, n. 5526, Mass. Giust. civ., 2003, Cass. 28 aprile 2003, n. 6606, Lav. Giur., 2003, 8, 741).

Secondo il prevalente indirizzo della giurisprudenza l'esclusione legale della categoria dei dirigenti dall'ambito di applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti, con la conseguente tutela solo contrattuale, è limitata quindi solo al dirigente “alter ego” dell’imprenditore (in tal senso si veda Pret. Napoli 10 giugno 1997, est. Vitiello, in D&L 1998, 109, con nota di Manna, Il controllo del giudice sull'attribuzione convenzionale della qualifica di dirigente”).

L’orientamento è confermato anche da un’altra sentenza della Suprema Corte che, esaminando principalmente la questione dell’inapplicabilità  del procedimento disciplinare di cui all’art. 7  L. 300 del 1970 anche ai dirigenti, affronta anche la distinzione tra quelli apicali e non (Cass. del 13 maggio 2005, n. 10058). Nella motivazione i giudici di legittimità affermano che  “…in caso, poi, di licenziamento per giusta causa del dirigente – e, quindi, di un provvedimento, di per sé,  sostanzialmente disciplinare – le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 604/1998, hanno negato la stessa configurabilità di un licenziamento disciplinare del dirigente (rilevando testualmente: “posto che il rapporto disciplinare sia estraneo al rapporto di lavoro di un determinato dirigente, non è possibile attribuire valenza “ontologicamente” disciplinare ad un recesso, ancorché motivato per giusta causa”), e, a fortiori, l’applicabilità  delle garanzie del contraddittorio, statuendo che tali garanzie non hanno applicazione nell’ipotesi del licenziamento di un dirigente d’azienda (ben vero quando la qualifica dirigenziale sia connotata dalla collocazione in posizione di vertice nell’azienda quale alter ego dell’imprenditore (c.d. “dirigente apicale”) in ragione della natura spiccatamente fiduciaria del rapporto di lavoro. Peraltro, questa Corte – intervenuta successivamente in argomento – ha rimarcato quanto già emergente dalla motivazione della cennata decisione che il principio della non applicabilità del rapporto di lavoro dei dirigenti  delle garanzie procedimentali  ex art. 7 della legge n. 300/70 si riferisce  solo al dirigente  di azienda che si trovi in posizione apicale nell’ambito dell’impresa e che nei suoi confronti non sia ipotizzabile una dipendenza gerarchica e la sottoposizione al potere disciplinare dell’imprenditore; sicchè la procedura ex art. 7 trova, invece, applicazione nei confronti del personale della “media” e “bassa” dirigenza (c.d. “pseudo dirigenti” o “dirigenti meramente convenzionali”) ascrivibili alla categoria del personale direttivo..” (in senso conforme, tra le tante, Cass. sez. un. 29 maggio 2004, n. 6041, in Foro It., 1995, I, 1778; Cass. 11 febbraio 1998, n. 1434 in Foro It, 1998, I, 729).

La giurisprudenza è quindi concorde nel ritenere che l’esclusione della applicabilità della Legge n. 604 del 1966 e del conseguente sistema sanzionatorio riguarda esclusivamente i dirigenti c.d. “apicali”. Sul punto un ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione così afferma: “…la regola della licenziabilità ad nutum dei dirigenti, desumibile dall’art. 10 della legge n. 604 del 1966, è applicabile solo  al dirigente in posizione verticistica, che, nell’ambito  dell’azienda, abbia un ruolo caratterizzato dall’ampiezza del potere gestorio, tanto da poter essere definito un vero e proprio alter ego dell’imprenditore, in quanto preposto all’intera azienda o ad un ramo o servizio di particolare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporto con i terzi (Cass. n. 8486/2003)” (in tal senso: Cass. 9 agosto 2004, n. 15351, Lav. Giur., 2005, 6, 556; in senso analogo si veda anche Cass. 27 aprile 2004, n. 8064, in Mass. Giust. civ., 2004, 4, in cui, peraltro, si esclude la qualifica di dirigente quando il medesimo sia subordinato ad altro dirigente, nonché Cass. 9 aprile 2003 n. 5526, in Guida lav., 2003, 20, 24,  dove viene affermato il principio che sia a carico del datore di lavoro l’onere della prova che si versi effettivamente nella fattispecie prevista dall’art. 10 della L. 604 del 1966 e che quindi il dirigente è effettivamente apicale).

La dottrina poi, commentando la summenzionata decisione e ricostruendo l’evoluzione della giurisprudenza ha osservato: “…si è assistito ad una progressiva espansione della categoria dirigenziale con l’inclusione di lavoratori non solo estranei alla posizione “tradizionale” di alter ego dell’imprenditore, ma anche di lavoratori subordinati gerarchicamente (e dunque solo formalmente “coordinati”) ad altri dirigenti i quali, nelle realtà produttive di dimensioni medio – grandi, possono essere addirittura a loro volta sottordinati ad altri dirigenti, i quali soltanto “rispondono” agli organi apicali aziendali (direttore generale e/o amministratori)…”(cfr. C. Pozzoli “Media e bassa dirigenza: quella tutela in caso di licenziamento”, Lav. Giur., 2005, 6, 556).  

Alla luce di quanto fin qui argomentato, appare ormai consolidato il principio giurisprudenziale che  limita solo ai dirigenti apicali l'esclusione dall'ambito dell'applicazione della disciplina limitativa dei licenziamenti. In conformità a tale principio, la dottrina ha osservato che quando un contratto collettivo distingua tra varie figure dirigenziali, come ad esempio il CCNL del personale direttivo delle aziende di credito, in cui si opera una distinzione tra dirigenti che compongono la direzione dell'intera azienda ovvero di pari grado ed altri dirigenti,  in caso di licenziamento si applicano diverse tutele: per i primi il recesso resta regolato esclusivamente dal codice civile mentre per secondi, non apicali, si applicano le normali regole del licenziamento "giustificato" (in tal senso Cass. 12 novembre 1999, n. 12571, Pres. De Tommaso, est. Sciarelli, in D&L 2000, 209, con nota di  Ianniello, Ancora sul licenziamento dei dirigenti intermedi. Una svolta?; in Mass. Giur. lav. 2000, pag. 73, con nota di Gramiccia, Il licenziamento del dirigente di vertice e dello pseudo dirigente; in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 746, con nota di Venditti, Recesso ad nutum e licenziamento del dirigente minore).

Nel caso di specie è emerso che il lavoratore presso la società non era preposto ad alcun ramo di azienda e/o a capo di importanti funzioni e servizi e, quindi, non aveva alcuna sostanziale autonomia tale da influenzare le scelte e le attività aziendali. Tutt’altro: è risultato che il prestatore di lavoro non aveva mai svolto funzioni di dirigente apicale in grado di incidere con autonome decisioni sull’attività dell’azienda o su un ramo particolare di essa ma era stato adibito ad “attività il cui compimento non veniva ad incidere su aspetti rilevanti della gestione del consorzio e che poteva essere affidata a qualsiasi impiegato esperto nel settore” con compiti quindi “limitati in relazione ai quali era stato sottoposto alle direttive di altro dipendente che non ricopriva neppure la qualifica di  dirigente”; in base a quanto emerso in sede istruttoria è apparso evidente che le mansioni affidate al lavoratore non erano in alcun modo tali “…tali da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi..”.

Per concludere, in base a quanto fin qui esposto, si può affermare che l’attribuzione da parte del datore di lavoro della qualifica dirigenziale a un proprio dipendente perde di ogni reale connotazione nel momento in cui le mansioni effettivamente svolte dal prestatore (come è avvenuto  nel caso di specie) non corrispondano a quelle previste dal contratto collettivo  di riferimento o a quelle di originaria assegnazione, oppure, quando i caratteri distintivi propri della qualifica dirigenziale vengano in concreto a mancare: in tal caso, trattandosi in realtà di pseudo dirigente, nell’accezione sopra individuata, il rapporto di lavoro soggiace all’ordinaria disciplina legale limitativa dei licenziamenti.

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