La tutela del diritto alla salute del cittadino straniero entrato irregolarmente nel territorio nazionale

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.2/2002

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SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE del 17 luglio 2001, n° 252. 

(1-3) La tutela del diritto alla salute del cittadino straniero entrato irregolarmente nel territorio nazionale.

SOMMARIO: 1. Quadro normativo generale. – 2. La tesi del Tribunale di Genova e dell’Avvocatura dello Stato. – 3.  I principi della sentenza della Corte costituzionale n° 252/2001, in materia di tutela del diritto costituzionale alla salute del cittadino straniero irregolarmente presente nel territorio nazionale.

 

Premessa.

La sentenza emessa dalla Corte Costituzionale il 17 luglio 2001, n° 252, che si pubblica, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione della legittimità costituzionale dell’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n° 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata con riferimento agli articoli 2 e 32 della Costituzione, è un’ulteriore specificazione ed approfondimento del tema riguardante l’esigenza del “bilanciamento d’interessi costituzionalmente protetti”.

Per una completa trattazione del caso di specie, che si riferisce alla tutela della salute del cittadino straniero entrato irregolarmente nel territorio nazionale, è opportuno analizzare, preliminarmente, il quadro normativo di riferimento in materia d’immigrazione e, in seconda istanza, lo svolgimento dei fatti e le posizioni assunte dalle parti chiamate ad affrontare una questione così delicata come quella dei diritti fondamentali posti a tutela dell’individuo, che devono essere garantiti a prescindere dallo “status” giuridico di cittadino.

- Quadro normativo generale.

Per comprendere a pieno la decisione della Corte costituzionale è necessario esaminare, prima di tutto, la disciplina che regola l’immigrazione e la condizione dello straniero. L’Italia solo recentemente si è trasformata da paese d’emigrazione in Paese d’immigrazione e ciò ha necessariamente condizionato la legislazione in materia. Una delle naturali conseguenze di “questo nuovo approccio è di considerare lo straniero immigrato come soggetto d’obblighi e diritti più complessivi e non come semplice fornitore di manodopera o, peggio, come un soggetto potenzialmente pericoloso per la sicurezza pubblica”.[1] Problema centrale però dell’odierna trattazione è che, generalmente, la maggior parte dei diritti previsti dalle leggi ordinarie sono riconosciuti solo agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia; conseguentemente, il sistema giuridico sembra presentare quasi una iato indissolubile tra cittadini regolari ed irregolari, con un conseguente livello di tutela diversificato secondo lo “status” riconosciuto ad ognuno di noi.  In realtà, a prescindere dai recenti interventi legislativi, la condizione dello straniero è presa in considerazione e tutelata dalla stessa Costituzione Italiana; come ad esempio dall’articolo 10, comma 2, il quale recita “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. La Costituzione parla “di stranieri e non d’immigrati o di extracomunitari e contiene, in alcune sue norme, una serie d’indicazioni inerenti alla loro posizione giuridica che sono insufficienti a risolvere i non pochi dubbi e problemi che si presentano in proposito”.[2]  Il cittadino extracomunitario, in quanto individuo, trova altra specifica protezione nell’articolo 2 della Costituzione secondo cui “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…..” , nonché in tutte le altre disposizioni costituzionali che riconoscono ad ognuno i diritti inviolabili e fondamentali. Altresì, secondo parte della dottrina, il principio di uguaglianza riconosciuto dall’articolo 3 della Costituzione, anche se riferito ai soli cittadini, deve ritenersi esteso anche agli stranieri allorché si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo.[3] Per quanto concerne la tutela del diritto della salute e della possibilità di usufruire della necessaria assistenza sanitaria, il riferimento giuridico non può che essere l’articolo 32 della Costituzione; infatti, “la Repubblica italiana tutela la salute pubblica come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. E’ opportuno, prima di commentare nello specifico tale importante sentenza della Consulta, introdurre un breve quadro dell’evoluzione normativa in materia d’immigrazione, con particolare riguardo alla tutela sanitaria dello straniero. Tale protezione trova una sua prima specificazione ed attuazione con la legge 23 dicembre 1978, n° 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale. L’articolo 6 della citata normativa, stabilisce che lo Stato debba provvedere all’assistenza dei cittadini stranieri e degli apolidi specificando che tale compito deve essere svolto, nei limiti ed alle condizioni previsti da impegni internazionali, servendosi dei presidi sanitari esistenti. Altro riferimento normativo è l’articolo 5 della Legge 29 febbraio 1980 che stabilisce “….. a tutti i cittadini presenti nel territorio della Repubblica l’assistenza sanitaria è erogata in condizioni di uniformità ed uguaglianza, …..nelle forme di assistenza medico generica, assistenza farmaceutica ed assistenza ospedaliera”. Per quanto riguarda poi, le autorizzazioni amministrative che permettono al cittadino straniero di soggiornare regolarmente in Italia, si rileva che lo stesso potrà ottenerle solo se ricorrono alcuni specifici motivi come, ad esempio, quelli di studio, di lavoro, di ricongiungimento familiare e di esigenze terapeutiche e di cura presso strutture sanitarie. Con il D.Lgs. del 25 luglio 1998, n° 286, in attuazione della delega conferita al Governo mediante l’articolo 47, comma 1, della legge n° 40 del 6 marzo 1998, è stato emanato il Testo Unico in materia di immigrazione degli extracomunitari. L’obiettivo principale di tale normativa è quello di coordinare i precedenti interventi legislativi con una disciplina puntuale ed unitaria; altresì, il citato Testo Unico avrebbe dovuto ispirarsi, secondo quanto si legge nella relazione di accompagnamento al disegno di legge governativo, ad “un atteggiamento positivo realistico, aperto verso l’immigrazione, alieno alle velleità di chiusure e da complessi di timore e di rifiuto”. La dottrina però ha visto elementi di contrasto nella "c.d." legge Turco-Napolitano rispetto agli scopi che con la stessa si volevano perseguire. Il Testo Unico, infatti, “risulta in linea con la logica binaria che nell’ultimo decennio ha ispirato le politiche europee in tema d’immigrazione: politiche d’integrazione per gli stranieri regolari e di estremo rigore in tema d’ingresso ed allontanamento degli irregolari”.[4]  Lo stesso autore rileva altresì che “le scelte del legislatore sono state condizionate dalla tradizionale filosofia dell’ordine pubblico e, per alcuni profili, la condizione giuridica dello straniero ha subìto un grave arretramento sul piano dei diritti fondamentali e delle garanzie della persona”.  In realta’, come sostiene un certo indirizzo di dottrina, lo scopo dell’attuale legislazione è di riconoscere all’immigrato una serie di diritti che lo pongano, in relazione ai diritti in materia civile, sullo stesso piano del cittadino italiano; infatti, secondo tali autori, “una volta che è stata assunta come strutturale la presenza dei cittadini stranieri nella società italiana, si ritiene pericoloso per il suo buon funzionamento l’esistenza, al suo interno, di persone che, non avendo diritti, non se ne sentano pienamente partecipi: il contratto sociale deve valere anche per loro”.[5]

Di diverso avviso, invece, è un altro orientamento di dottrina secondo cui il governo sarebbe andato al di là del potere conferitogli dal Parlamento per il riordino della materia dell’immigrazione in un Testo Unico, in quanto, dopo l’emanazione dello stesso, sono stati promulgati altri due decreti legislativi, il D.Lgs. 19 ottobre 1998,       n° 380 e il D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 113, in realtà non previsti dalla delega legislativa.[6]   Comunque, a prescindere da ogni valutazione critica sulle disposizioni normative sopra citate, l’articolo 2, comma 1, del Testo Unico, ha introdotto un importante principio di civiltà giuridica; tale norma stabilisce che “allo straniero presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”. Il legislatore ha completato l’opera di armonizzazione di tale materia con il D.P.R. n° 394 del 1999 (Regolamento recante norme di attuazione delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, D.Lgs. 25 luglio 1998, n° 286), che ha raccolto tutte le disposizioni riguardanti l’ingresso, il soggiorno ed il rapporto di lavoro dei cittadini extracomunitari. Tale disciplina si applica a tutti i cittadini non appartenenti all’Unione Europea ed agli apolidi. Pertanto, qualora cittadini non comunitari vogliano entrare e soggiornare nel nostro paese, dovranno richiedere ed ottenere un determinato permesso di soggiorno che è la condizione indispensabile per l’ingresso non clandestino in Italia. Comunque, non essendo inerente a tale trattazione l’approfondimento delle varie tipologie dei permessi di soggiorno e dei visti d’ingresso, l’analisi riguarderà esclusivamente l’area della tutela della salute del cittadino extracomunitario. La questione centrale sottoposta alla Corte Costituzionale risiede proprio nell’individuazione della tutela e dei diritti di cui siano titolari i cittadini stranieri entrati clandestinamente sul territorio nazionale; pertanto, le singole disposizioni riguardanti la tutela della salute dell’immigrato irregolare saranno trattate specificatamente nella seguente analisi della sentenza della Corte Costituzionale n° 252 del 2001.

 

- La tesi del Tribunale di Genova e dell’Avvocatura dello Stato.

La sentenza in commento riguarda la questione di legittimità, sollevata dal Tribunale di Genova, con Ordinanza del 4 marzo 2001, inerente all’articolo 19, comma 2, del decreto

legislativo 25 luglio 1998, n° 286 (Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero che, entrato clandestinamente in Italia, vi permanga al solo scopo di terminare un trattamento terapeutico essenziale.[7]

Si rileva, preliminarmente, che il principio espresso dal Tribunale di Genova non è una pronuncia isolata ma trova il proprio sostegno anche in altre ordinanze introduttive di giudizi di costituzionalità che riconoscono al patrimonio giuridico della persona un certo numero di diritti inviolabili anche a coloro che siano privi dello “status” di cittadini italiani.[8]

Al giudice “a quo” è stato sottoposto il caso di un cittadino del Senegal che impugna il decreto prefettizio di espulsione emesso nei suoi confronti per essere entrato in Italia clandestinamente. Il ricorrente, per ottenere l’annullamento del provvedimento amministrativo, fonda le proprie motivazioni sulla proprie obiettive condizioni di salute che lo hanno indotto a cercare assistenza sanitaria fuori del suo paese di origine, non in grado di offrirgli le cure necessarie. L’ingresso clandestino sul territorio nazionale sarebbe stato determinato dalla necessità di sostituire la protesi applicatagli dopo l’amputazione del piede sinistro.

Il giudice ordinario, in riferimento all’assistenza sanitaria a favore dei cittadini extracomunitari presenti in Italia anche senza permesso di soggiorno, rileva che l’articolo 35, comma 3, del D.Lgs. n° 286 del 1998,[9] “conterrebbe un elenco esemplificativo e non tassativo delle cure ospedaliere ed ambulatoriali urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio, ma riguarderebbe la fattispecie in cui lo straniero venga ad ammalarsi nel territorio dello stato, dal momento che i commi 1 e 2 della stessa disposizione prevedono il caso diverso dello straniero che chiede il permesso di soggiorno allo scopo di venire a curarsi in Italia”.

Secondo il giudice rimettente quindi, l’intervento sanitario del cittadino senegalese può sicuramente definirsi essenziale, “dovendosi recuperare la deambulazione come strettamente attinente ai postulati della dignità umana” ed essendovi una legittima aspettativa a terminare la terapia in atto.  Il Tribunale di Genova sostiene che la norma impugnata, non vietando l’espulsione dei soggetti che si trovino nelle sopracitate condizioni, violerebbe l’articolo 2 della Costituzione, che riconosce “i diritti inviolabili dell’uomo quale valore fondante della democrazia pluralista, e l’articolo 32 della Costituzione, che qualifica la salute come diritto fondamentale dell’individuo e non solo del cittadino”.

Di diverso avviso è invece la tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo cui, la norma disciplinata dall’articolo 32 della Costituzione, sarebbe solo di tipo programmatico e non immediatamente precettiva. Tale norma, in realtà, delimiterebbe solo i “confini esterni” del diritto alla salute attraverso “precetti di ordine negativo” senza però individuarne il contenuto positivo. Pertanto, secondo l’Avvocatura è compito del legislatore operare un “adeguato bilanciamento di due interessi costituzionalmente protetti”, il diritto alla salute dello straniero e la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica connesse al fenomeno dell’immigrazione clandestina. Conseguentemente, a giudizio della difesa dello Stato, sarebbe rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario la scelta dell’individuazione delle situazioni soggettive da tutelare; scelta però, che non può prescindere dalla valutazione obiettiva delle esigenze di carattere finanziario, economico e sociale. Al riguardo, si rileva che una precedente sentenza della Corte Costituzionale, la n° 309 del 1999, chiamata a pronunciarsi in materia di assistenza sanitaria ai cittadini italiani all’estero, ha affermato che la tutela del diritto della salute se da una parte subisce, giustamente, i condizionamenti che il legislatore incontra nella distribuzione delle risorse finanziarie, dall’altra, tuttavia, tale esigenza di finanza pubblica, non può, nella valutazione del bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti, comprimere completamente "il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”.[10]

Secondo il parere dell’Avvocatura dello Stato, mentre per lo straniero regolarmente soggiornante il problema non sorge, per lo straniero entrato clandestinamente in Italia, il legislatore ha previsto solo un livello minimo di cure mediche che gli consentono di accedere a quelle “cure essenziali ed urgenti” indispensabili alla salvaguardia della vita umana. Tale previsione legislativa, che è conforme con i criteri di ragionevolezza che devono sempre ispirare gli obiettivi dello Stato, non estende completamente al cittadino extracomunitario irregolare l’assistenza sanitaria che non abbia proprio quel carattere dell’urgenza e dell’essenzialità.

La posizione dell’Avvocatura si conclude con l’affermazione che, comunque, l’esecuzione del provvedimento di espulsione non pregiudicherebbe la possibilità per lo straniero clandestino di ritornare nel territorio italiano, per concludere le cure necessarie, previa autorizzazione da parte del Ministero dell’Interno.

Le tesi dell’Avvocatura però, sembra non tener conto di una costante giurisprudenza amministrativa che afferma la necessità di un’obiettiva indagine, soprattutto sui motivi che hanno indotto il cittadino extracomunitario a violare le norme in materia d’immigrazione, anche in un’ottica di comparazione e bilanciamento degli interessi pubblici con quelli dello straniero.[11]

 

- I principi della sentenza della Corte Costituzionale n° 252/2001, in materia di tutela del diritto costituzionale alla salute del cittadino straniero irregolarmente presente nel territorio nazionale.

La Corte Costituzionale investita di tale questione di legittimità ha ritenuto che la stessa non sia fondata.

Preliminarmente, la Consulta ha stabilito che è necessario considerare le esigenze di bilanciamento del diritto alla salute del cittadino extracomunitario, entrato irregolarmente in Italia, con altri interessi costituzionalmente protetti. Al riguardo si può affermare, come sostiene una certa dottrina, che generalmente l’orientamento della Corte Costituzionale muove attraverso due direttrici fondamentali: “riconoscere all’immigrato le spettanze fondamentali della persona umana, ma, nel contempo, concretizzare il suddetto riconoscimento attraverso la valorizzazione della peculiarità della condizione in cui l’immigrato medesimo versa, che non lo rendono tout court assimilabile al cittadino”.[12]  Invece, secondo i giudici della sentenza in commento, il nostro sistema giuridico deve comunque garantire un “nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto”.[13]

La Consulta rileva che tale “nucleo irriducibile di tutela della salute quale diritto fondamentale della persona” deve essere riconosciuto anche ai cittadini stranieri a prescindere dal loro “status” giuridico. Il diritto “de quo” non è legato all’autorizzazione amministrativa riconosciuta al cittadino extracomunitario dalle leggi ordinarie ma è connesso esclusivamente al rispetto ed alla tutela dell’individuo in quanto tale.

Al riguardo, vi è un consolidato indirizzo di dottrina che riconosce agli stranieri la titolarità di ognuna di quelle situazioni giuridiche che la Costituzione riferisce genericamente “a tutti”, poiché, in tal caso, la legge non contiene un’individuazione specifica dei soggetti interessati.[14] A sostegno di tale principio vi è anche un costante orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui è necessario tutelare comunque le spettanze fondamentali degli stranieri.[15]

Pertanto, “le situazioni di vantaggio non esplicitamente riferite ai cittadini andrebbero, in questa prospettiva, attribuite anche agli stranieri e agli apolidi, in nome della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo garantiti ex art. 2 della Costituzione”.[16] L’orientamento comunque dominante in dottrina, che si rinviene peraltro anche in alcune pronunce della Corte Costituzionale, tende ad “attenuare il significato ed il valore della distinzione tra cittadini e stranieri, superando in alcuni casi anche la lettera della costituzione (dove parla espressamente di cittadini), soprattutto allorché vengano in considerazione i diritti fondamentali oppure i diritti inviolabili e più ancora i diritti umani”.[17] L’affermazione che i diritti fondamentali della Costituzione siano riconosciuti indifferentemente sia ai

cittadini che agli stranieri non trova però d’accordo soprattutto i costituzionalisti, divisi in differenti scuole di pensiero. In tal senso, una certa dottrina ha brevemente ricostruito le maggiori tesi che si contrappongono, prediligendo però, tra tutte, la tesi di Pace.[18]

 Tale posizione valorizza l’articolo 10 della Costituzione “che riconosce agli stranieri i diritti che sono loro attribuiti dalle leggi nazionali e dagli accordi internazionali (che ormai assicurano la quasi totalità dei diritti fondamentali) ma con possibilità, per il legislatore, di ammettere gli stranieri non solo all’esercizio dei diritti di libertà che la costituzione riconosce ai soli cittadini, ma anche la titolarità dei diritti politici”.[19]

La Corte Costituzionale trova il sostegno giuridico per il riconoscimento dei diritti fondamentali agli stranieri proprio nell’articolo 2 del Testo Unico n° 286 del 1998, che stabilisce: “allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”.

Altresì, per i giudici costituzionali, altro riferimento normativo di non marginale importanza è l’articolo 35, comma 3, del sopracitato testo normativo, secondo cui “sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva” in base ad un’elencazione che non può ritenersi esaustiva degli interventi sanitari da assicurare al cittadino straniero clandestino.

La Consulta sostiene inoltre che la tutela fondamentale della salute della persona, la quale deve essere riconosciuta ad ogni individuo presente su territorio nazionale, trova ulteriore conferma sempre nell’articolo 35, comma 5, del Testo Unico sull’immigrazione dove si assicura allo straniero “l’accesso alle strutture sanitarie……. senza che ciò comporti alcuna segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui il referto sia obbligatorio, a parità di condizioni con il cittadino italiano” . 

La Corte rileva altresì che anche le disposizioni stabilite dall’articolo 43, commi 2 e seguenti, del D.P.R. 31 agosto 1999, n° 394, non ammettono che, a causa della posizione d’irregolarità del cittadino straniero, possano derivare allo stesso situazioni di ostacolo all’erogazione di prestazione sanitarie. Per tale motivo è assegnato al clandestino un codice identificativo sanitario ai soli fini amministrativi.

Tali norme di legge evidenziano, secondo i giudici costituzionali, come il legislatore abbia voluto assicurare agli stranieri irregolari “il nucleo irriducibile del diritto alla salute garantito dall’articolo 32 della Costituzione e, così come risulta dalle sopracitate norme esaminate, a tali individui sono garantite non solo le prestazioni sanitarie connotate dall’urgenza e dalla necessità (art. 35, comma 3, D.Lgs. n° 286/98), ma tutte le cure necessarie, siano esse ospedaliere o ambulatoriali, comunque essenziali, anche continuative, per malattia ed infortunio. Secondo la dottrina la circostanza che l’art. 32 della Costituzione riconosca la titolarità del diritto alla salute non solo ai cittadini, bensì ad ogni individuo, implica così un’estensione della relativa protezione costituzionale a favore di tutte le persone umane, a prescindere dalla loro appartenenza razziale o dalla loro afferenza politica o nazionale.[20]

In conclusione, la Corte Costituzionale respinge la questione di legittimità, sollevata dal Tribunale di Genova, poiché a suo giudizio non è necessario inserire nell’articolo 19 del decreto legislativo n° 286 del 1998, uno specifico divieto d’espulsione per lo straniero che si trovi nella necessità di usufruire di una terapia essenziale per la sua salute. Infatti, lo straniero irregolarmente entrato nel nostro paese “ha diritto di usufruire di tutte le prestazioni che risultino indifferibili ed urgenti, secondo i criteri indicati dall’articolo 35 comma 3 citato, trattandosi di un diritto fondamentale della persona che deve essere garantito, così come disposto, in linea generale, dall’articolo 2 dello stesso D.Lgs.        n° 286/1998”.

La Consulta demanda l’accertamento dello stato di salute del soggetto interessato all’apprezzamento di un medico che dovrà valutarne le condizioni obiettive; in tal caso, qualora risultino fondate le ragioni addotte dal ricorrente in ordine alla tutela del suo diritto costituzionale alla salute, non si potrà provvedere all’espulsione dello stesso perché, altrimenti, si lederebbe in maniera irreparabile tale diritto fondamentale.

La giurisprudenza costituzionale ha, in questa decisione, nuovamente assunto un ruolo decisivo “nella ricerca di possibili equilibri fra tre masse di scontro: la tutela per tutti dei diritti fondamentali, le prerogative dei cittadini, la salvaguardia delle specificità che accompagnano la condizione dello straniero”.[21]

Tale sentenza risulta così avere un valore di riferimento importantissimo nell’attuale periodo, dove recenti disegni di legge e proposte di riforma della legge sull’immigrazione sembrano voler predisporre un irrigidimento del livello di tutela dei diritti degli stranieri. La Consulta, invece, trova proprio nella Costituzione, e non in leggi ordinarie, suscettibili di normali modifiche legislative, il fondamento di alcuni diritti primari ed inviolabili che devono essere assicurati ad ogni persona a prescindere della cittadinanza di appartenenza. Un monito, questo della Corte Costituzionale, che valorizza lo stato di diritto e manifesta, presumibilmente, che il grado di civiltà giuridica di una nazione si basa proprio sul rispetto dei suoi principi fondamentali ed universali; perché riconoscere ad ogni individuo i diritti essenziali ed irrinunciabili per ogni essere umano è sicuramente espressione di un alto grado di civiltà giuridica. Tale monito, tra l’altro, s’inserisce in un momento in cui, negli ultimi anni, l’Italia sta conoscendo fenomeni d’intolleranza verso gli immigrati extracomunitari, spesso ritenuti responsabili dei problemi di delinquenza e disoccupazione.[22] Quasi che gli italiani si siano dimenticati di essere stati un popolo di emigranti con gli stessi problemi e paure che vivono oggi gli immigrati extracomunitari sul nostro territorio. Il principio per cui non va temuto “l’altro da sé”, magari perché ritenuto portatore dei mali del mondo o capro espiatorio di comodo, ma rispettato in quanto uomo, può essere riassunto in una delle massime più significative del pensiero illuminista, tratta dallo scritto di Voltaire sulla tolleranza che, anche se rivolta contro le ingiustizie del fanatismo clericale di quel periodo, rimane sempre il presupposto indispensabile che connota le società civili di ogni tempo: “il diritto dell’intolleranza è assurdo e barbaro: è il diritto delle tigri; anzi è ben più orrido, perché le tigri non si fanno a pezzi che per mangiare, e noi ci siamo sterminati per interi paragrafi”.[23]  In conclusione, si può affermare che i citati principi espressi dalla Corte Costituzionale avranno un’effettiva attuazione nel nostro sistema giuridico, soprattutto se, oltre a ripensare il nostro concetto di nazionalità, ormai forse anacronistico in quanto cittadini d’Europa, riconosceremo questi fondamentali diritti ad ogni individuo per un dovere che, prima d’essere giuridico, è essenzialmente morale.

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[1] Mario Giovanni Garofalo e Monica McBritton, “Immigrazione e lavoro: note al T.U. 25 luglio 1998,      n.  286”, Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, 2000, parte I, pagg. 483-514.

[2] In tal senso Stefano Sicardi, “L’immigrato e la Costituzione. Note sulla dottrina e giurisprudenza costituzionale”, Giurisprudenza Italiana, 1996, Fasc.10, parte IV, pagg. 314-324.

[3] Cfr. R. D’Alessio, “Commento all’articolo 10, commi 2 e 4 Costituzione”, V. Crisafulli, L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990, pag. 63 e seg.

[4] Angelo Caputo, “Espulsione e detenzione amministrativa degli stranieri”, Questione Giustizia, 1999, fasc. 3, pagg. 424-437.

[5] Mario Giovanni Garofalo e Monica McBritton, op. cit. pag. 511.

[6] M. Civinini, A. Proto Pisani, G. Scarselli, “La tutela dei diritti dei cittadini extracomunitari”, Foro It., I, 3346.

[7] L’articolo 19, comma 2, del Dlgs. n.286/98, stabilisce che “non è consentita l’espulsione, salvo nei casi previsti dall’articolo 13, comma 1, nei confronti: a) stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire l’affidatario o il genitore espulsi; b) degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell’articolo 9; c) degli stranieri conviventi con parenti entro il 4° grado o con il coniuge, di nazionalità italiana; d) delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.

[8] In tal senso cfr. P. Spina, “Nota ad Ordinanza del Tribunale di Milano del 10.11.2000”, Foro It., I, pag. 350, che richiama alcune sentenze della Corte Costituzionale sul riconoscimento di diritti fondamentali agli stranieri privi dello “status” di cittadini; in particolare l’autore cita le seguenti sentenze: Corte Costituzionale 27 luglio 2000, n. 376; Corte Costituzionale 22 giugno 2000, n. 227; Corte Costituzionale 16 giugno 2000, n. 198;

[9] L’articolo 35, comma 3, del D.Lgs. n. 286/98 prevede una serie di intreventi sanitari a favore dei cittadini stranieri presenti in Italia non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale e non in regola con le norme relative all’ingresso e il soggiorno stabilendo che agli stessi sono assicurate “nei presidi accreditati, le cure ambulatoriali ed urgenti o comunque essenziali, ancorchè continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguadia della salute individuale e collettiva…”.

[10] In tal senso Gina Turato, “I cittadini italiani in soggiorno temporaneo all’estero e protezione del diritto alla salute”, Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, 1999, I, 778.

[11] In tal senso cfr. P. La Spina, “Nota a sent. Cons. Stato, sez. IV, 10 febbraio 2001”, n. 714, Foro It., II, 439-443, che, a sostegno del sopra citato bilanciamento d’interessi, cita tra le tante: Cons. Stato sez. IV, ord. 22 ottobre 1996, n. 1434, Foro It., Rep. 1997; Tar Campania, sez. IV, 2 agosto 1996, n. 472, Foro It.,  Rep. 1997; Tar, 1996, I, 3859, nonché Pret. Varese, 20 giugno 1998, Foro It., Rep., 1998, sentenze tutte che si muovono in un’ottica di bilanciamento d’interessi; altresì sulla specifica valutazione delle ragioni di ordine pubblico che consigliano l’espulsione cfr. cons. Stato, sez.IV, 20 maggio 1999, n. 870, Cons. Stato, 1999, I, 805.

[12] P. Spina, “Nota a sent. Cons. Stato”, sez. IV, 10 febbraio 2001, n. 714, op. cit.,  pag. 352

[13] In tal senso cfr. tra le tante sent. Corte Cost. n° 509/2000; n° 309/1999; n° 267/1998; n° 304/1994; n° 218/1994, secondo cui “il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è garantito ad ogni persona come diritto costituzionalmente condizionato all’attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti”.

[14] Cfr. P. Barile, “Il soggetto privato nella Costituzione Italiana”, Padova, 1953, 51;  P. Balladore Pallieri, Diritto Costituzionale , 9a ed., Milano, 1970, 396.

[15] Cfr. Corte Cost.,  26 giugno 1997, n. 203, Foro It. 1997, I, 2370;

[16] Stefano Sicardi, op. cit., pagg. 315-316,  secondo cui “lo straniero e l’apolide sarebbero titolari di tali situazioni giuridiche soggettive senza che occorra una legge ordinaria per attribuirgliele, salvo quanto riguarda i diritti politici, la libertà d’ingresso e di soggiorno e il diritto al lavoro, che peraltro potrebbero essere estesi allo straniero da apposite leggi ordinarie

[17] Roberto Romboli, “Immigrazione, libertà personale e riserva di giurisdizione: la Corte Costituzionale afferma importanti principi, ma lo fa sottovoce”, Nota ad ordinanza di Milano del 27 gennaio 2001, Foro It., 2001, I,  pag. 2707,  il quale afferma che i diritti fondamentali, proprio perché riferiti alla persona in quanto essere umano, prescinderebbero da qualsiasi “status”, compreso quello di cittadinanza, e condurrebbero alla sostanziale perdita di significato della contrapposizione tra cittadini e stranieri.

[18] In tal senso Gaetano D’Auria, “Aspetti giuridici dell’immigrazione extracomunitaria”, Riv. Giur. del Lavoro e della Prev. Soc., 1997, pagg. 157-158.

[19] A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, parte generale, II ed., Padova, Cedam, 1990, pp. 143 e seg.;

[20] Pasquale Lillo, “Il diritto alla salute degli immigrati: libertà fondamentale o diritto sociale”, Iustitia, 1997, fasc. 3, pag. 318.

[21] In tal senso Gaetano D’Auria, op. cit. pag. 158.

[22] Da ultimo confronta l’articolo di Renato Mannheimer, “Tra gli italiani aumenta la diffidenza verso gli stranieri”, Corriere della Sera del 25 gennaio 2002, che presenta una indagine sul fenomeno dell’immigrazione; l’autore afferma che, anche se da una parte gli atteggiamenti più diffusi verso gli immigrati sono la tolleranza ed il desiderio d’integrazione, rispetto a cinque anni fa l’apertura nei confronti degli immigrati ha subìto una contrazione, un atteggiamento sfavorevole che dipende dall’associazione tra extracomunitari e delinquenza e la convinzione che lo status di irregolare spinga, quasi inevitabilmente, verso comportamenti illegali. 

[23] Voltaire, “Traité sur la tolerance à l’occasion de la mort de Jean Calas (1763)”, traduzione e note a cura di Palmiro Togliatti, Editori Riuniti , 1966