Errata corrige 25 FEB 2023
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
La Corte di appello di Roma con sentenza del 5.02.2023 ha respinto l’appello incidentale proposto dalla Telecom, confermando l’illegittimità del provvedimento di trasferimento presso la sede di Via Assisi in Roma e della relativa assegnazione alle mansioni di site specialist, poiché disposti dall’azienda in violazione dell’art. 2103 c.c..
I giudici d’appello, inoltre, hanno accertato l’illegittimità del demansionamento subito dal lavoratore per essere stato, dapprima, per circa cinque anni, lasciato inattivo e senza assegnazione di alcuna mansione e, successivamente al maggio 2017, assegnato alle mansioni di portierato (cd. site specialist).
In particolare, la Corte respinge - come già fatto dal giudice di primo grado - la tesi sostenuta dall’azienda in ordine all’applicabilità dell’art. 25 CCNL Telecomunicazioni e riconosce espressamente la natura di trasferimento del provvedimento datoriale che, nonostante fosse stato disposto all’interno del medesimo comune, aveva tuttavia interessato due diverse unità produttive, entrambe dotate della necessaria autonomia.
Ciò premesso, la Corte ha confermato altresì il demansionamento subito dal lavoratore, inquadrato nel 5° livello del CCNL delle Telecomunicazioni, dapprima, presso il settore SOC di Technology ove era stato lasciato nella pressoché totale inattività lavorativa e, successivamente, a seguito del suddetto trasferimento, era stato invece adibito a mansioni nettamente inferiori, in quanto riferibili al 2° livello del CCNL di settore.
Infatti, afferma il Collegio, la funzione di portierato (site specialist), al contrario di quanto sostenuto da Telecom, implica lo svolgimento di semplici attività d’ordine, prive di margini di autonomia e conformate da un sistema estremamente dettagliato di direttive, non richiedenti particolari capacità di valutazione ed elaborazione né autonomia, attività proprie pertanto del 2° livello CCNL Telecomunicazioni.
Il Collegio, infine, accogliendo l’appello proposto dal lavoratore, ha condannato la società a risarcire al lavoratore il danno professionale subito dal medesimo nella misura del 70% della retribuzione mensile per ciascun mese di inattività e adibizione a mansioni inferiori (liquidato nella misura del 20% in primo grado), nonché al risarcimento del danno all’immagine, non riconosciuto in prima istanza dal Tribunale, pari a € 25.000.