REVIREMENT DELLA CASSAZIONE SUL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE: LA REINTEGRAZIONE “RITROVATA” ANCHE PER CONDOTTE NON TIPIZZATE DAL CCNL MA PREVISTE DA CLAUSOLE GENERALI O ELASTICHE

Articolo di Michelangelo Salvagni.

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n. 9-10/2022.

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Nota a Corte di Cassazione, sentenza 11 aprile 2022, n. 11665 – Pres. Raimondi, Est. Garri – R. G. (avv. Luponio) c. Italpol Group S.p.A. (Avv. Quagliaro) (disponibile su https://www.lpo.it/banca-dati/)

 

Lavoro subordinato – Licenziamento disciplinare – Contratto collettivo – Condotte punite dal CCNL con sanzione conservativa – Clausole generali del contratto collettivo – Estensione ad ipotesi non tipizzate – Applicabilità reintegrazione nel posto di lavoro

 

di Michelangelo Salvagni*

 

In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5 della Legge n. 300 del 20 maggio 1970, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. In tal caso, il giudice effettua un’operazione di interpretazione e sussunzione che non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti della attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo. (Massima a cura dell’A.)

 

Sommario:

Considerazioni preliminari. Il caso concreto. Nove precedenti di Cassazione che confermano una nuova stagione giurisprudenziale: breve rassegna delle fattispecie disciplinari. Il precedente orientamento del 2019: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL. L’ordinanza interlocutoria n. 14777 del 27 maggio 2021: un ripensamento dell’orientamento del maggio 2019. Il revirement della Cassazione: i principi espressi dalla sentenza n. 11665 del 11 aprile 2022. Osservazioni conclusive.

 

Abstract

La sentenza di Cassazione n. 11665 del 11 aprile 2022 è stata emessa a seguito dell’ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione n. 14777/2021 (c.d. ordinanza Ponterio), che aveva rimesso la disamina della questione nomofilattica alla IV sezione. La decisione in commento rappresenta un revirement di notevole interesse in quanto inaugura una nuova stagione del diritto vivente sulla fattispecie dei licenziamenti disciplinari, con riferimento all’applicazione della reintegrazione anche per condotte non tipizzate dal CCNL, ma previste da clausole generali o elastiche. Il nuovo orientamento si può ritenere consolidato proprio in ragione dei successivi otto arresti di legittimità che hanno aderito ai principi del provvedimento in analisi. Allo stato, pertanto, si può considerare ormai superata la precedente impostazione giurisprudenziale in tema di licenziamenti disciplinari, ossia quella delle cc.dd. sentenze di cassazione di maggio 2019, secondo cui al giudice non era consentito ricondurre il comportamento oggetto di addebito disciplinare ad una sanzione conservativa se questa non fosse espressamente tipizzate come tale dalle parti sociali o dai codici disciplinari.

 

Supreme Court ruling No. 11665 of April 11, 2022, was issued following the Supreme Court's interlocutory order No. 14777/2021 (the so-called Ponterio order), which had referred the examination of the nomofilactic issue to the IV section. The decision in comment represents a revirement of considerable interest as it inaugurates a new season of living law on the case of disciplinary dismissals, with reference to the application of reinstatement also for conduct not typified by the CCNL, but provided for by general or elastic clauses. The new orientation can be considered consolidated precisely because of the subsequent eight arrests of legitimacy that have adhered to the principles of the measure under analysis. At present, therefore, the previous jurisprudential approach on the subject of disciplinary dismissals, i.e., that of the so-called cassation judgments of May 2019, according to which the judge was not allowed to refer the behavior subject to disciplinary charges to a conservative sanction if it was not expressly typified as such by the social partners or disciplinary codes, can now be considered outdated.

 

1. Considerazioni preliminari.

 

La recente sentenza di Cassazione n. 11665 del 11 aprile 2022, risolve la querelle sull’interpretazione dell’art 18, comma 4, con riferimento al contrasto giurisprudenziale formatosi sulla tematica della reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL. Secondo il prevalente orientamento sviluppatosi in materia sino alla sentenza in commento, al giudice non era consentito ricondurre il comportamento oggetto di addebito disciplinare ad una sanzione conservativa se questa non fosse espressamente stabilita come tale dalle parti sociali o dai codici disciplinari.

Il provvedimento in annotazione rappresenta un revirement di notevole interesse in quanto inaugura una nuova stagione interpretativa sulla fattispecie dei licenziamenti disciplinari, con riferimento all’applicazione della reintegrazione anche per condotte non tipizzate dal CCNL ma previste da clausole generali o elastiche. Affermazione questa corroborata, perlomeno al momento in cui si scrive, da altri otto arresti della Suprema Corte (oltre a quello in commento) in appena 3 mesi e che confermano il consolidamento di un nuovo orientamento. Sul punto, si vedano infatti: Cass. 21 aprile 2022, n. 12745; Cass. 21 aprile 2022, n. 12789; Cass. 26 aprile 2022, rispettivamente nn. 13063, 13064 e 13065; Cass. 2 maggio 2022, n. 13774; Cass. 28 giugno 2022, n. 20682; Cass. 28 giugno 2022, n. 20780[1]. Indirizzo questo che, come si vedrà nei successivi paragrafi nell’analisi delle sentenze citate, ha ad oggetto licenziamenti disciplinari caratterizzati da norme collettive ove le sanzioni conservative sono indicate con clausole generali o esemplificative e, quindi, senza una previsione tassativa delle condotte non espulsive.

 

2. Il caso concreto.

 

Preliminarmente, per una migliore comprensione dei principi espressi dalla Cassazione, appare opportuno esaminare la fattispecie oggetto della sentenza in commento, essendo, per così dire, il primo colpo assestato al precedente orientamento di legittimità al quale si sono poi conformate le successive decisioni sopra indicate.

La tematica tratta il licenziamento disciplinare di un lavoratore, comandante delle guardie giurate, al quale erano state formulati i seguenti addebiti: non aver denunciato un’aggressione subita da una guardia giurata durante il servizio; aver omesso, per cinque mesi, di segnalare alla Questura i turni di servizio del personale, come imposto da precise direttive. Sul punto, il CCNL Vigilanza applicato in azienda prevedeva una generica casistica delle condotte oggetto di addebito nella esecuzione della prestazione, come l’averla eseguita senza la necessaria diligenza o con negligenza grave o per aver omesso parzialmente di effettuare il servizio assegnato. Nell’ambito del procedimento Fornero, i giudici, dopo aver escluso la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo, avevano riconosciuto la tutela risarcitoria nella fase sommaria e, poi, la reintegrazione in quella di opposizione. La Corte d’Appello poi, pur accertando l’irrilevanza disciplinare delle contestazioni, aveva annullato il recesso, riconoscendo tuttavia al dipendente solo l’indennità risarcitoria. A giustificazione della mancata applicazione della reintegra, i giudici di appello avevano osservato che la medesima non era configurabile a causa della non riconducibilità delle condotte addebitate al lavoratore all’ipotesi punita dal CCNL con sanzione conservativa. La clausola contrattuale era infatti formulata in modo non specifico, con la generica indicazione della omessa denuncia di un fatto di servizio e di omessa trasmissione di alcuni documenti all'Autorità locale. Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione per violazione di norme contrattuali, affermando che la condotta contestatagli era riconducibile alla sanzione conservativa, anche in ragione del fatto che l’illecito era di scarso rilievo disciplinare. In merito, la Suprema Corte ha cassato la sentenza in quanto la Corte territoriale si era “sottratta al doveroso compito di verificare se le condotte contestate al lavoratore potessero o meno configurare quella lieve irregolarità nell'adempimento, l'esecuzione del lavoro senza la necessaria diligenza, l’esecuzione del lavoro senza la necessaria negligenza, una sua esecuzione con negligenza grave o ancora, una omissione parziale di esecuzione della prestazione, che il contratto collettivo puniva, invece, con sanzioni conservative.

 

Nove precedenti di Cassazione che confermano una nuova stagione giurisprudenziale: breve rassegna delle fattispecie disciplinari.

 

Ricostruita così la vicenda disciplinare oggetto della sentenza in commento, appare opportuno verificare se le successive pronunce si siano conformate o meno ai principi espressi da Cass. 11 aprile 2022, n. 11665, anche per definire i contorni del nuovo orientamento. Come si vedrà, le ulteriori decisioni hanno aderito al nuovo indirizzo secondo cui, in caso di indicazione generica o esemplificativa delle sanzioni conservative da parte delle parti sociali, è consentita al giudice la sussunzione della condotta oggetto di infrazione disciplinare ad una previsione contrattuale avente natura non espulsiva anche se non tassativamente tipizzata.

Successivamente alla sentenza oggetto di annotazione, si è espressa Cass. 21 aprile 2022, n. 12745, che riguardava il caso di un lavoratore che, in un’unica occasione, aveva somministrato un errato quantitativo di cibo ai pesci di allevamento senza, tuttavia, provocare alcun danno, nonché nell’aver reagito in maniera eccessiva alla contestazione disciplinare. La Suprema Corte ha confermato la reintegrazione in quanto le condotte del lavoratore erano riconducibili a quelle di tipo conservativo descritte dal contratto collettivo in termini di «insubordinazione» e di «negligenza nell'esecuzione della prestazione lavorativa».

In termini analoghi, anche le statuizioni di Cass. 21 aprile 2022, n. 12789, avente ad oggetto il caso di un dipendente a cui era stato contestato di aver riscontrato per alcuni anni un notevole numero di irregolarità su titoli di viaggio al fine di procurarsi un vantaggio corrispondente alle provvigioni. I giudici di legittimità hanno confermato la decisione di merito in cui era stata riconosciuta la reintegrazione attenuata, in quanto gli addebiti mossi al prestatore non erano riferibili ad una condotta dolosa e fraudolenta costituente reato con finalità di lucro. Era configurabile infatti solo un comportamento imprudente e negligente che la contrattazione collettiva riconduceva ad una sanzione conservativa per «negligenza/inosservanza di leggi/regolamenti/obblighi di servizio con pregiudizio agli interessi dell'azienda o vantaggio per sé o per terzi».

A pochi giorni di distanza si è pronunciata Cass., 26 aprile 2022, n. 13063, relativa al caso di un dipendente licenziato per mancata comunicazione del domicilio durante il periodo di assenza per malattia. In tal caso, è stata confermata l’interpretazione della Corte d'Appello che aveva condannato il datore di lavoro alla reintegrazione giudicando tale comportamento meno grave di quello della «assenza alla visita domiciliare», disciplinato invece dalla contrattazione collettiva con sanzione conservativa.

Pronuncia seguita, sempre in pari data, da Cass., 26 aprile 2022, n. 13604, ove i giudici di legittimità hanno ritenuto corretta l'applicazione la reintegrazione con riferimento all’addebito di proferire frasi scortesi nei confronti di un altro collega a seguito di un diverbio avvenuto di fronte alla clientela. Secondo i giudici di legittimità, trattandosi di un episodio di intemperanza, la condotta contestata è da ricondurre alla fattispecie delle «mancanze lievi», punita dal contratto collettivo con sanzione conservativa, non presentando l’infrazione quel carattere di gravità che comporta al licenziamento disciplinare.

Reintegrazione confermata anche da Cass., 26 aprile 2022, n. 13605, vertente sul caso di una prestatrice che si trovava in villeggiatura quando, invece, gli era stato concesso un permesso ex lege n. 104/92 per assistere la madre disabile. Il Collegio ha confermato la decisione della Corte d’Appello in quanto l’addebito era da intendersi come contestazione di assenza ingiustificata di un giorno, punibile dalla contrattazione collettiva con sanzione conservativa, e non come comportamento fraudolento preordinato all’abuso della fruizione del permesso.

Si segnala poi Cass., 2 maggio 2022, n. 13774, che ha ritenuto infondato il ricorso proposto dal datore di lavoro contro la sentenza della Corte territoriale che aveva reintegrato il lavoratore previa riconduzione dell'addebito alla sanzione conservativa relativa all’ipotesi del lavoratore che «esegua con negligenza il lavoro affidatogli», clausola espressa con norma elastica. L’infrazione contestata alla lavoratrice ineriva un’espressione volgare rivolta ad un cliente che, infastidito da tale comportamento, non portava a termine un acquisto di modesto valore. A parere dei giudici di merito, l’episodio isolato, neppure offensivo del cliente, né notato da altri clienti e, peraltro, privo di precedenti disciplinari, non poteva interrompere il vincolo fiduciario. Interpretazione confermata dai giudici di legittimità secondo cui la Corte territoriale ha fatto corretto uso della sussunzione della violazione all’interno dell’art. 18, comma 4, proprio perché, alla stregua del fatto accertato, la fattispecie, non essendo connotata dal carattere della gravità, non era riconducibile alla sanzione collettiva, di tipo espulsivo, di «usare modi cortesi con il pubblico».

Sulla stessa falsariga dei principi appena indicati, si segnala anche Cass. 28 giugno 2022, n. 20682, relativa ad un licenziamento disciplinare di un dipendente che si era rifiutato, con modi scortesi, di aiutare un cliente a prendere una cesta d’acqua situata su uno scaffale alto. Cliente che si era poi lamentato con il responsabile del punto vendita. Anche in questo caso, la Suprema Corte ha condiviso le statuizioni dei giudici di merito che, sia nella prima fase che in quella di reclamo, disponevano la reintegrazione del lavoratore sulla base di un’interpretazione della norma contrattuale che descriveva in maniera aperta o elastica la condotta ascrivibile alla sanzione conservativa. Il caso poteva infatti ricondursi ad una negligenza del dipendente consistita da un mancato adempimento degli obblighi di assistenza alla clientela e di usare modi cortesi con il pubblico ma non connotato dal requisito della gravità e, pertanto, punibile con la multa.

In pari data, si è espressa poi anche Cass. 28 giugno 2022, n. 20780[2], con riferimento al licenziamento disciplinare di un prestatore che si era attivato con i propri collaboratori prima che fosse notificato un atto di pignoramento, dando disposizione di non avviare la procedura esecutiva presso terzi. Secondo il datore di lavoro, pur essendo possibile per il dipendente attivarsi con contatti ed incontri personali con il debitore, ciò non era però conforme al codice etico aziendale, configurandosi una violazione dei principi di trasparenza, onestà e trasparenza. La Corte d’Appello, pur ritenendo che l’infrazione non integrasse gli elementi della giusta causa, aveva escluso la tutela reintegratoria in quanto il CCNL non prevedeva espressamente, per il tipo di addebito contestato, una sanzione conservativa. I giudici di legittimità, anche in questa vicenda, hanno evidenziato che il testo della disposizione pattizia si caratterizza per una mera elencazione di provvedimenti disciplinari applicabili, senza alcuna previa indicazione delle condotte, con un rinvio a clausole generali quali la gravità o recidività della mancanza o il grado della colpa. Pertanto, la sentenza è stata cassata con rinvio in quanto la Corte territoriale ha errato laddove ha ritenuto che il fatto, pur non essendo tanto grave da impedire la prosecuzione del rapporto, non potesse essere sussunto in una sanzione conservativa. In tal modo, i giudici di merito si sono sottratti al doveroso compito di verificare se le condotte contestate al lavoratore potessero o meno configurare, in relazione alle clausole del CCNL, un comportamento punibile con sanzione conservativa.

 

Il precedente orientamento del 2019: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL.

 

Prima di entrare nel merito dei principi di diritto espressi dalla sentenza in annotazione (richiamati anche dalle altre pronunce successive), occorre segnalare che l’ambito dell’odierna analisi riguarda i licenziamenti disciplinari rientranti nell’ambito applicativo della legge c.d. Fornero. Il tema d’indagine inerisce la tutela reintegratoria che, successivamente a tale riforma, è applicabile solo in due ipotesi: in caso di «insussistenza del fatto contestato», oppure, quando il fatto posto a base del provvedimento espulsivo rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari.

Il precedente orientamento di cassazione, inauguratosi a seguito delle cosiddette sentenze del maggio 2019[3], e confermato anche dalla successiva giurisprudenza di legittimità[4], riteneva che il giudice di merito non potesse far ricorso all’interpretazione estensiva o all’analogia al fine di ricondurre, nell’alveo delle sanzioni conservative, una condotta non tipizzata dal contratto collettivo. La questione è stata oggetto di contrasto, in dottrina[5] e in giurisprudenza, anche in ragione del fatto che l’indirizzo di legittimità del 2019 appariva decisamente restrittivo[6]. L’interpretazione della Suprema Corte prendeva le mosse da alcune fattispecie disciplinari ove il lavoratore era stato sanzionato con il licenziamento per condotte che, tuttavia, non rientravano in ipotesi tipizzate dalla contrattazione collettiva. Secondo i giudici di legittimità, la reintegrazione nel posto di lavoro doveva applicarsi soltanto nel caso in cui il fatto fosse espressamente contemplato dal contratto collettivo, da considerarsi quale fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro. In caso contrario, il prestatore licenziato poteva ottenere solo la tutela risarcitoria e ciò in ragione della natura privatistica della contrattazione collettiva soggetta ad un divieto di interpretazione analogica o estensiva delle previsioni ivi contenute[7]. Tale assunto muoveva dal presupposto per cui la ratio legis sottesa all’art. 18 St. lav., comma 4, come riformato dalla legge c.d. Fornero, prevede la tutela reale solo quale ipotesi eccezionale rispetto a quella indennitaria. La Suprema Corte, infatti, si era pronunciata numerose volte rilevando che, nel nuovo regime, la tutela ordinaria era quella indennitaria, mentre quella reintegratoria aveva natura “residuale”, se non addirittura “eccezionale[8]. L’effetto di tale orientamento è stato quello di restringere le maglie della tutela reintegratoria in ipotesi di licenziamento disciplinare, ove le tipizzazioni individuate dalla contrattazione collettiva assurgevano ad unico parametro per l’applicazione della tutela reale. Tale assunto, tuttavia, prestava il fianco ad alcuni dubbi interpretativi sollevati, dapprima, dalla dottrina (di cui si dirà meglio oltre) e, poi, dalla giurisprudenza di legittimità (in particolare, l’ordinanza c.d. Ponterio del maggio 2021 che si approfondirà nel successivo paragrafo). Ed infatti, tra le varie critiche mosse alla summenzionata tesi restrittiva, una delle maggiori perplessità rilevata dagli interpreti riguardava proprio il fatto che le indicazioni contenute nei contratti collettivi che descrivono le sanzioni conservative non sono mai esaustive o tassative, risultando invece spesso del tutto generiche. Chi scrive aveva già sostenuto sul punto, in un precedente commento alle tre sentenze della cassazione maggio 2019, con rilievo critico, che la rigida predeterminazione delle condotte punibili con sanzione conservativa si scontra con la variegata realtà fattuale e il mutevole dispiegarsi delle fattispecie concrete[9]. È un dato incontrovertibile che la contrattazione collettiva non possa tenere in considerazione i diversi eventi che, inevitabilmente, incidono sulla organizzazione del lavoro. Una puntuale descrizione di tutti i comportamenti punibili con sanzione conservativa appare infatti un’ipotesi irrealizzabile. Nelle condotte disciplinari tipizzate dalla contrattazione collettiva “l’abito su misura” non esiste. Un’impostazione ermeneutica che non tenga conto di tale evidenza fattuale rischia un’approssimazione per difetto ed un eccessivo formalismo interpretativo. Favorendo così una sorta di meccanismo di codificazione automatica delle fattispecie disciplinari che non sempre, invece, trovano adeguata coincidenza o riscontro nella contrattazione collettiva. Configurandosi, peraltro, anche un ulteriore pericolo: il datore di lavoro, attenendosi rigidamente alle solo previsioni tipizzate di tipo conservativo, come disciplinate dalla contrattazione collettiva, o addirittura dal codice disciplinare di propria emanazione, potrebbe “costruire” a tavolino un addebito che, seppur non grave, non trovando specifica collocazione tra le sanzioni conservative, non comporterebbe l’applicazione della tutela reale.

 

5. L’ordinanza interlocutoria n. 14777 del 27 maggio 2021: un ripensamento dell’orientamento del maggio 2019.

 

Successivamente, a due anni di distanza, sempre a maggio, la stessa Suprema Corte, sesta sezione, con ordinanza interlocutoria n. 14777, depositata il 27 maggio 2021[10], poneva in discussione il precedente orientamento di legittimità del 2019, evidenziandone l’erroneità dei presupposti logici e normativi, mediante ampi richiami a principi eurounitari e della Corte costituzionale. Tale provvedimento prospettava quindi una diversa riflessione in ordine sia alle disposizioni dell’art. 18, commi 4 e 5, St. Lav., sia al ruolo centrale della tutela reintegratoria, così come valorizzata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 59 del 2021[11]. In virtù di tali presupposti, l’ordinanza de qua incentrava il proprio ragionamento sulle “notevoli implicazioni” connesse alla “alternativa fra una più incisiva tutela reintegratoria o una meramente indennitaria”. Affermando inoltre che risultava irragionevole ricondurre la scelta tra una delle due forme di tutela a “fattori contingenti” impropri o privi di attinenza con il disvalore del licenziamento. Il precedente approccio interpretativo, infatti, non era condivisibile in quanto collegava la reintegrazione “a criteri casuali, non idonei a costituire valido filtro della proporzionalità della sanzione rispetto all’addebito contestato”. Ciò in aperta violazione del principio dell’adeguatezza dei rimedi avendo riguardo al criterio di ragionevolezza nell’applicazione dell’art. 18, comma 4, per un adeguato contemperamento degli interessi delle parti contrapposte, così come affermato dalla Corte costituzionale[12].

Sul punto, occorre evidenziare che già alcuni commentatori avevano ritenuto irragionevole l’interpretazione fornita dalle sentenze di maggio 2019 alla fattispecie de qua, poiché provocava un disequilibrio normativo nella selezione della tutela adeguata minando alla radice “il nucleo duro della tutela della dignità della persona ingiustamente licenziata[13]. Dovendo tener presente, come osservato dalla dottrina, che la reintegrazione nel posto di lavoro rappresenta “quel rilievo baricentrico, nell’ambito dello sfilacciato sistema delle tutele contro il licenziamento illegittimo[14]. Di diverso avviso, invece, altro orientamento dottrinale che, partendo dal presupposto che il legislatore del 2012 aveva voluto una tutela reale residuale, criticava l’ordinanza interlocutoria n. 14777 del 2021 sull’assunto che le norme collettive debbano essere interpretate “in termini di stretta tipicità”, e ciò a prescindere “da ogni distinzione tra giudizio di sussunzione e giudizio di proporzionalità[15]. Tuttavia, secondo le statuizioni dell’ordinanza c.d. Ponterio, il fatto che alcune condotte non siano state tipizzate dai contratti collettivi come suscettibili di sanzioni conservative “non può costituire un indice significativo e plausibile della volontà delle parti sociali di escludere tali condotte dal novero di quelle meritevoli delle sanzioni disciplinari più blande, più conservative”. Sul punto, tale provvedimento aveva messo in luce come il precedente indirizzo giurisprudenziale del 2019 favorisse “un’irragionevole disparità di trattamento”, determinando, in concreto, un’arbitraria e sproporzionata tutela tra comportamenti non gravi, e tipizzati dal contratto collettivo con sanzioni conservative e, altri, caratterizzati magari da pari se non addirittura minore rilievo disciplinare, ma senza alcuno specifico riconoscimento nelle clausole collettive. L’appunto critico si fondava sulla circostanza che i contratti collettivi non prevedono in astratto tutte le fattispecie disciplinarmente rilevanti. Spesso, le condotte vengano codificate mediante formule generali o aperte oppure con norme di chiusura. Pertanto, l’esegesi restrittiva del 2019, sempre a parere dell’ordinanza c.d. Ponterio, provocava un grave vulnus rinvenibile nella seguente erronea interpretazione della fattispecie: solo se il fatto contestato sia espressamente individuato come punibile con provvedimento conservativo, il licenziamento è sanzionato con la tutela reale; negli altri casi, invece, la tutela è solo risarcitoria. In conclusione, sempre secondo le statuizioni critiche del provvedimento interlocutorio del 2021, al giudice non è richiesto di compiere una autonoma valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto, ma solo di interpretare il contratto collettivo, applicandolo alla fattispecie concreta. Operazione ermeneutica effettuata tramite un’attività di sussunzione di un comportamento oggetto di addebito delineato nel contratto collettivo mediante clausole generali. In conclusione, secondo l’orientamento di legittimità del 2021 il compito del magistrato è stabilire, ad esempio, “se una determinata condotta sia sussumibile nella nozione giuridica di negligenza lieve e non decidere se per la condotta di negligenza lieve sia proporzionata la sanzione conservativa o quella espulsiva”. Sussunzione questa che non comporta un giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, realizzandosi in realtà solo un’interpretazione della norma contrattuale; non consentire tale possibilità solo perché la norma collettiva è formulata in modo generico, sarebbe lesivo del principio di ragionevolezza.

 

6. Il revirement della Cassazione: i principi espressi dalla sentenza n. 11665 del 11 aprile 2022.

 

La sentenza in annotazione, stante la rimessione per contrasto di giurisprudenza sul punto alla sesta sezione filtro, ha aderito alla tesi prospettata dalla citata ordinanza c.d. Ponterio. Al riguardo, la Suprema Corte ha affermato, condividendo così quanto osservato dal provvedimento interlocutorio del 2021, che quella della classificazione e catalogazione delle condotte punite con sanzioni conservative non è un dato assoluto e omogeneo. Hanno osservato i giudici della sentenza n. 11665 del 11 aprile 2022 (con orientamento confermato nei successivi otto arresti sopra elencati) che ci sono contratti che contengono solo clausole generali e, più spesso, utilizzano formule esemplificative ove sono delineate condotte differenti. Quindi, la tipizzazione operata dalla disciplina collettiva non può essere di per sé decisiva e utilizzabile come elemento dirimente per tracciare i contorni dei limiti delle diverse tutele da applicare qualora si accerti l’illegittimità del recesso. In sostanza, richiamando le stesse parole della Cassazione, il nodo della questione è rinvenibile nel fatto (invero notorio e per nulla straordinario nella sua constatazione secondo la cosiddetta esperienza comune) che “quella della classificazione e catalogazione delle condotte è evenienza legata a fattori non prevedibili tanto che il dato oggettivo e razionalizzante che emerge è quello della previsione di clausole generali che ovviano all’impossibilità o comunque estrema difficoltà di procedere ad una catalogazione dettagliata ed esaustiva”. Tale statuizione, appare sicuramente più in linea con la realtà fattuale e con le finalità dell’art. 18, comma 4, di ricondurre la reintegrazione a comportamenti che il contratto collettivo punisce con sanzione conservativa. Ciò comporta, quale conseguenza, che il giudice possa porre in essere quel giudizio di sussunzione per riportare nella fattispecie generale il caso contestato anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta. Soluzione questa che trova la propria ragion d’essere nella rilevante circostanza per cui la contrattazione collettiva non può prevedere ex ante tutte le condotte meritevoli di sanzione conservativa. Infatti, le parti sociali stabiliscono norme generali aperte o esemplificative proprio per consentire un’interpretazione del comportamento nella nozione generale indicata dalla disposizione collettiva. Si tratta di un giudizio “che afferisce alla ricostruzione della portata precettiva di una norma”. Altrimenti, si verificherebbe il paradosso, come affermato correttamente dalla sentenza in commento, di non consentire la tutela reintegratoria per condotte non così gravi o di lieve entità solo perché non espressamente tipizzate.

La Suprema Corte, pertanto, alla luce delle considerazioni sopra evidenziate ha enunciato il seguente principio di diritto: in tema di licenziamento disciplinare, la norma collettiva formulata attraverso una clausola generale o elastica non preclude al giudice di effettuare un’interpretazione integrativa del precetto tesa ad accertare se una determinata condotta sia o meno riconducibile ad una nozione di negligenza lieve codificata nella stessa fonte collettiva come sanzionabile con una misura conservativa. In tal caso, il giudice effettua un’operazione di interpretazione e sussunzione che non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti della attuazione del principio di proporzionalità, come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.

 

Osservazioni conclusive.

 

A parere dei primi commentatori, la sentenza in analisi ha “ribaltato il precedente orientamento”  e deve essere ormai considerata (anche in ragione delle successive decisioni) “quale diritto vivente”, producendo una conseguenza incontrovertibile: il confine tra tutela reintegratoria e quella indennitaria “si è spostato decisamente a vantaggio della prima e a danno della seconda, poiché l’esperienza di qualsiasi operatore del settore consente di pronosticare che i casi in cui, d’ora in poi, ricorreranno gli estremi per applicare la reintegrazione saranno decisamente superiori[16].

Tale affermazione appare condivisibile in quanto, in ragione di questo nuovo indirizzo giurisprudenziale, saranno più frequenti i casi per applicare la reintegrazione piuttosto che la tutela indennitaria. Ciò determinerà un’ulteriore compressione della tutela economica che appare diventare ormai eccezione. Sarà necessario infatti domandarsi, anche alla luce dei principi espressi dalle recenti sentenze della Corte costituzionale (che con le sentenze n.125/2022 e n. 59/2021[17] ha certamente esteso le ipotesi in cui può essere disposta la reintegrazione), quali siano le fattispecie che possono dare ingresso al solo risarcimento[18]. Una parte della dottrina, tuttavia, non ha mancato di commentare in senso critico il nuovo orientamento. E’ stato sostenuto che, proprio a seguito dell’odierno revirement, appare decisivo “ricostruire la meccanica della sanzione della reintegrazione a fronte di un licenziamento disciplinare illegittimo[19]; in altri termini, allo stato risulta determinante comprendere quando un recesso si debba sanzionare con la reintegrazione o, invece, con l’indennità risarcitoria. Ai fini della soluzione a tale interrogativo, è stato criticato il nuovo indirizzo laddove la Suprema Corte ha affermato che rientra nel compito del giudice riempire di contenuto la clausola generale “utilizzando standard comuni ai valori dell’ordinamento ed esistenti nella realtà sociale, in modo tale da poterne definire i contorni di maggiore o minore gravità[20]. L’appunto mosso a tale principio si basa sul presupposto per cui l’art. 18, comma 4, “non demanda al giudice il compito di ricercare i valori dell’ordinamento”, ma pone un problema di interpretazione del contratto collettivo o dei codici disciplinari “esclusivamente mediante un’operazione logica e giuridica rigorosa, tecnicamente disciplinata (art. 1362 c.c.) argomentata e, quindi, almeno tendenzialmente prevedibile[21]. Altro autore, sempre sul punto, ha altresì osservato che quando le norme contrattuali fanno riferimento ad un concetto ampio di condotte e, quindi, in assenza di una definizione tipizzata delle sanzioni conservative, “le norme di apertura o chiusura prevista dalla contrattazione collettiva non sono clausole generali ma semplicemente previsioni generiche[22].

A ben vedere, il nuovo assetto giurisprudenziale sul licenziamento disciplinare pone nuovi e molteplici interrogativi che la dottrina non ha mancato di evidenziare e che, probabilmente, non troveranno una soluzione definitiva a breve. Emerge, tuttavia, un dato fondamentale: il precedente orientamento del 2019, così come smentito nei principi fondanti dall’odierno revirement, appariva estremamente rigido e formalista. Peccava, infatti, di “un’irragionevole disparità di trattamento” nella valorizzazione delle sole condotte tipizzate punite con sanzione conservativa, escludendo, quasi meccanicamente, la reintegra per infrazioni non gravi, ma per il solo il fatto di non essere espressamente individuate dalla contrattazione collettiva. Non si trattava, infatti, di porre in essere un giudizio di proporzionalità, bensì di effettuare una riconduzione/sussunzione della fattispecie contrattuale a quella concreta, ossia a quel “fatto” che non è sempre uguale e che, difficilmente, può essere sempre codificato in termini specifici. È vero che il giudice deve conformarsi al diritto, ma è anche vero che l’ordinamento si ispira a valori esistenti nella realtà sociale che indirizzano non solo la legge, ma anche chi deve interpretarli. Appare necessario, pertanto, consentire al giudice di effettuare un’operazione ermenueutica ed argomentativa coerente a quei principi di valore costituzionale che la Suprema Corte ha ben evidenziato nel nuovo orientamento, al fine di eliminare un’illogica disparità di trattamento nelle tutele e restituire al magistrato l’effettivo esercizio della funzione giurisdizionale.

* Avvocato del Foro di Roma.

[1] Tutte pubblicate in www.italgiure.it.

[2] Pubblicata, in Il Giuslavorista, con nota di L. Di Paola, Tutela reintegratoria: ancora sulle condotte punibili con sanzione conservativa, 9 settembre 2022.

[3] La definizione è di A. Maresca, Licenziamento disciplinare e sussistenza del fatto contestato nella giurisprudenza di Cassazione, in Dir. rel. ind., 2019, 946. In particolare, occorre segnalare che i primi arresti di legittimità che hanno inaugurato l’indirizzo giurisprudenziale c.d. “restrittivo” della reintegrazione sono: Cass. 9.5.2019, n. 12365, nonché nello stesso senso: Cass. 23.5.2019, n. 14063 e Cass. 28.5.2019, n. 14500, pubblicate tutte in Lavoro e prev. oggi, 2019, n. 11-12, 694, con nota di  M. Salvagni.

[4] Cfr. Cass. 7.5.2020, n. 8621, in Giur. it., 2021, n. 1, 130, con nota di F. Olivelli, Il divieto di estensione analogica delle sanzioni conservative sindacalmente tipizzate.

[5] In merito, si vedano: quali sostenitori della c.d. tesi “restrittiva”, ossia la reintegrazione solo per condotte espressamente tipizzate dalla contrattazione collettiva: P. Tosi, E. Puccetti, La tipizzazione collettiva degli illeciti disciplinari tra tutela reale e tutela obbligatoria, in Riv. it. dir. lav., 2019, II, 660 e ss. Con riferimento, invece, a coloro i quali hanno sostenuto che la tutela reale possa essere applicata anche in presenza di condotte non disciplinate in modo specifico dalle parti sociali ma anche attraverso clausole generali o elastiche, V. speziale, Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento tra «clausole generali», principi costituzionali e giurisprudenza della Cassazione, in Dir. rel. ind., 2018, 127 e ss. Sempre con riguardo all’orientamento del 2019 sulla reintegra solo per condotte tipizzate, si segnalano anche i seguenti autori: A. Maresca, Licenziamento disciplinare, contrattazione collettiva e sistema dei rimedi nell’art. 18, c. 4: i chiarimenti della Cassazione, in Arg. dir. lav., 2019, 1287 e ss.; R. del Punta, Ancora sul regime del licenziamento disciplinare ingiustificato: le nuove messe a punto della Cassazione, in Riv. it. dir. lav., 2019, II, 494 e ss.; F. Pascucci, Norma disciplinare aperta e giudizio di proporzionalità, in Riv. giur. lav., 2019, II, 266 e ss.

[6] Sul punto, con rilievo critico ai principi espressi dalle sentenze di maggio 2019, si vedano: M. Salvagni, Licenziamento disciplinare e sanzione conservativa: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica, in Lavoro e prev. oggi, 2019, n. 11-12, 694; A. Piccinini, Licenziamenti disciplinari e contrattazione collettiva tra realtà e immaginazione, in Quest. giust., 2019.

[7] In tal senso, Cass. 9.5.2019, n. 12365.

[8] In tal senso, ex multis: Cass. n. 36729/2021; Cass. n. 30601/2021; Cass. n. 17492/2020; Cass. n. 16253/2020; Cass. n. 11540/2020; Cass. n. 7471/2020; Cass. n. 3076/2020; Cass. n. 31839/2019; Cass. n. 19578/2019; Cass. n. 12365/2019; Cass. n. 32002/2018; Cass. n. 31496/2018; Cass. n. 22691/2018; Cass. n. 19732/2018; Cass. n. 167702/2018; Cass. n. 14192/2018; Cass. n. 10435/2018; Cass., Sez. Un., n. 30985/2017, pubblicate in www.italgiure.it.

[9] Sul punto, M. Salvagni, op. ult. cit., 694 e ss.

[10] In Lavoro e prev. oggi, 2021, n. 9-10, 671, con nota di M. Salvagni, Cassazione n. 14777 del 27 maggio 2021: La reintegra solo per condotte conservative tipizzate collettivamente è irragionevole e crea disparità di trattamento.

[11] Sul punto, si vedano in dottrina: C. Pisani, La riforma dei regimi sanzionatori del licenziamento per mano della Consulta, in Dir. rel. ind., 2021, 522, nonché V. Ferrante, Non c’è alternativa alla reintegra, in caso di manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo, in Dir. rel. ind., 2021, 509. Con riferimento alla giurisprudenza costituzionale antecedente alla sentenza C. cost. n. 59/21, si veda V. Speziale, La giurisprudenza della Corte costituzionale sul contratto a tutele crescenti, in Riv. giur. lav., 2020, I, 733 e ss.

[12] Sul punto l’ordinanza, a supporto di tale principio, cita espressamente quanto stabilito dalle sentenze C. cost. n. 150 del 2020, punto 13, nonché dalla n. 194 del 2018, punti 12.1. e 12.2, secondo cui nell’ambito della disciplina dei licenziamenti occorre una necessaria adeguatezza dei rimedi “nel contesto di un equilibrato componimento dei diversi interessi in gioco e della specialità dell'apparato di tutele previsto dal diritto del lavoro”.

[13] S. Giubboni, Una rinfrescante ordinanza interlocutoria della Corte di Cassazione sul confine tra tutela reintegratoria e indennitaria nel licenziamento disciplinare ex art. 18 dello Statuto, in Lav. dir. Eur., 2021, n. 3, 3.

[14] In tal senso, S. Giubboni, op. cit., 12.

[15] P. Tosi, E. Puccetti, L’interpretazione analogica della tipizzazione collettiva, l’abrogazione tacita di una riforma, in Lav. dir. Eur., 2021, n. 3, 7. Sempre in senso critico, si veda anche A. Di Rosa, L’insostenibile leggerezza del decidere – nota a margine dell’ordinanza n. 14777/21, in Lav. dir. Eur., 2021, n. 3, 9.

[16] P. Sordi, L’art. 18 dello Statuto dei lavoratori restaurato, in Giust. civ., 13 giugno 2022, 6.

[17] C. cost. n. 125/2022 e n. 59/2021, con le quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18, settimo comma, della Legge n. 300/1970, come novellato, nelle parti in cui prevedeva che, ai fini della reintegra del lavoratore licenziato per g.m.o., l’insussistenza del fatto posto alla base del recesso dovesse essere “manifesta” e che il giudice potesse, ma non dovesse, disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

[18] In tal senso, P. Sordi, op. cit., 9.

[19] M. Marazza, La nuova meccanica della sanzione della reintegrazione (l’art. 18, comma 4, Legge 300 del 1970 dopo Cass. n. 11665/22), in Giust. civ., 5 luglio 2022, 3.

[20] M. Marazza, op. cit., 9.

[21] M. Marazza, op. cit., 9.

[22] P. Tosi, E. Puccetti, La sussunzione del fatto contestato oltre la fattispecie legale e senza la fattispecie contrattuale, in Arg. dir. lav., 2022, 4, 765, che sul punto evidenziano come “l’interpretazione prospettata dalla Suprema Corte deve comunque ritenersi incompatibile con la ratio della riforma nel suo triplice intento di i) parametrare la tutela (reale e/o risarcitoria) in relazione alla gravità del vizio inficiante il licenziamento, ii) attribuire alla tutela risarcitoria forte una valenza di carattere generale, iii) garantire la certezza del diritto”.