Il lavoro umano nell'impresa: la subordinazione di tipo economico-funzionale

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.2/2009

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CASSAZIONE, 1 agosto 2008, n. 21031,  Sez. Lav. – Pres. De Luca – Rel. Bandini - Pm Sepe - conf. - E. 2000 Srl (Avv. Bosio) – c. INPS (Avv.ti Coretti, Cossu, Correra). Corte d’Appello Genova, 6 dicembre 2004

 

Lavoro subordinato - Lavoro autonomo - Criteri distintivi - Prestazioni saltuarie - Identificazione dell'autonomia del rapporto - Esclusione - Ricorrenza del vincolo della subordinazione – Configurabilità

 La sussistenza del vincolo della subordinazione e quindi la non configurabilità come lavoro autonomo avviene anche per prestazioni saltuarie se le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa sono contraddistinte dalla messa a disposizione da parte dei lavoratori delle proprie energie lavorative, dall’obbligo di sottostare alle disposizioni impartite loro dal superiore gerarchico e, quindi, dal loro inserimento nell’organizzazione aziendale.(1)

II

CASSAZIONE, 7 agosto 2008, n. 21380,  Sez. Lav. - Presidente Senese - Relatore Roselli - Pm Salvi - diff. – Ricorrente M.C. (avv. Marchese) – Controricorrente C. Srl (Avv. Agosta) Corte d’Appello Roma, 25 settembre 2004

Lavoro subordinato - Lavoro autonomo - Differenza tra elementi costitutivi del rapporto – Mancanza di organizzazione imprenditoriale e rischio economico del lavoratore.

 

            Per escludere la subordinazione nel rapporto di lavoro prestato con continuità e coordinamento con altro soggetto è necessario che il giudice di merito accerti il rischio economico a carico del lavoratore e così a esempio che resti a suo carico l'acquisto o l'uso dei materiali necessari a lavorare o che il rapporto con i terzi utenti venga da lui instaurato e gestito. Quanto all'assenza dell'obbligo di giustificare le assenze, quale indice della mancanza di subordinazione, è necessario l'accertamento negativo in concreto delle conseguenze disciplinari. (2)

 

III

CASSAZIONE, 21 gennaio 2009, n. 1536,  Sez. Lav. - Presidente Mercurio - Relatore Napoletano - Pm Lo Voi - diff. – Ricorrente M.R. (avv. Izzo) – Controricorrente Comune di Casperia (Avv. Pietro), Corte d’Appello Roma, 18 luglio 2005

 

Lavoro subordinato  - Autonomia o subordinazione  - distinzione  elementi costitutivi del rapporto – subordinazione attenuata – mansioni semplici e ripetitive – subordinazione a prescindere dal potere direttivo.

 

Se l’attuazione del potere direttivo e disciplinare, tale da non escludere pregiudizialmente la sussistenza della subordinazione e da consentire il ricorso ai summenzionati criteri sussidiari, è stata di solito riscontrata nella giurisprudenza di legittimità in relazione a prestazioni lavorative dotate di maggiore elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo (quali, ad esempio, quelle del giornalista) va rilevato, tuttavia, che un analogo strumento discretivo può validamente adottarsi, all’opposto, con riferimento a mansioni estremamente elementari e ripetitive, le quali, proprio per la loro natura, non richiedono in linea di massima l’esercizio di quel potere gerarchico che si estrinseca nelle direttive di volta in volta preordinate ad adattare la prestazione alle mutevoli esigenze di tempo e luogo dell’organizzazione imprenditoriale e nei controlli sulle modalità esecutive della prestazione lavorativa. (3)

I

(Omissis)

            Svolgimento del processo

Il Tribunale di Genova, con sentenza non definitiva in data 29.11.2000, resa nel giudizio vertente tra la Eurotrasporti 2000 srl e M.G.F. nei confronti dell'Inps, affermò, con riferimento alle omissioni contributive accertate con verbale ispettivo del 29.10.1993, che fra la predetta Società e i lavoratori A.M., B.M., F.D. e V.G. erano intercorsi tanti brevi rapporti di lavoro subordinato per quante erano state le giornate nelle quali gli stessi avevano prestato la loro attività; con successiva sentenza il Tribunale provvide alla quantificazione delle somme dovute.

            La Corte d'Appello di Genova, con sentenza del 5.11 - 6.12.2004, respinse l'appello proposto dalla Eurotrasporti 2000 srl e da M.G.F., ritenendo, per quanto qui ancora rileva, la natura subordinata dei rapporti di lavoro suddetti.

            Avverso tale sentenza della Corte territoriale la Eurotrasporti 2000 srl, in liquidazione, e M.G.F. hanno proposto ricorso per cassazione, fondato su tre motivi. L'Inps ha depositato procura partecipando alla discussione.

            Motivazione   

            Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all’art. 2094 c.c. e art. 115 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dolendosi che la Corte territoriale non abbia fornito adeguata motivazione, indicando i fatti da cui aveva tratto il convincimento dell'inserimento dei lavoratori nell'organizzazione aziendale e della sussistenza dei vincoli gerarchici e disciplinari indispensabili per ritenere la natura subordinata dei rapporti di lavoro de quibus.

            Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all'art. 2222 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dolendosi che la Corte territoriale non abbia valutato con motivazione congrua la configurabilità dei rapporti de quibus come contratti d'opera.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto in riferimento all'art. 2094 c.c. ed ai criteri generali e astratti in materia di lavoro subordinato, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dolendosi che la Corte territoriale abbia sottovalutato la sussistenza di una chiara volontà delle parti nella scelta della regolamentazione dei rapporti giuridici intercorsi. I tre motivi, siccome fra loro strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

            Osserva il Collegio che la Corte territoriale ha compiutamente descritto gli elementi fattuali caratterizzanti i rapporti di lavoro all'esame, siccome già accertati dal primo Giudice "in piena aderenza alla risultanze istruttorie":

- prestazioni di lavoro saltuarie e senza vincolo di restare a disposizione del datore di lavoro tra l'una e l'altra;

- possibilità dei lavoratori, quando chiamati, di rifiutare la prestazione, e, al contempo, richiesta avanzata talora degli stessi lavoratori della eventuale necessità della loro opera;

- attività lavorativa consistita nello scaricare i camion e nel coadiuvare il magazziniere secondo le disposizioni da quest'ultimo impartite, nonchè, per l' A., anche nello smistamento delle bolle o nella guida di furgoni, e, per il F., anche nella pulizia del piazzale;

- presentazione dei lavoratori presso il magazzino, all'ora stabilita dal responsabile del magazzino stesso;

- obbligo di osservare le disposizioni impartite dal responsabile del magazzino;

- utilizzo dei mezzi aziendali per l'effettuazione delle disposizioni impartite;

- applicazione della ritenuta d'acconto sui compensi corrisposti.

Sulla base di questi accertamenti fattuali il Giudice a quo ha ritenuto che:

- le mansioni in concreto svolte si connotavano per il carattere meramente esecutivo, con modesto contenuto professionale, cosicchè pareva "davvero difficile potere qualificare come obbligazione di risultato la prestazione dovuta";

- ai lavoratori era richiesto nulla di più che"porre a disposizioni del datore le loro energie lavorative, e sottostare al potere di supremazia gerarchica da questi esercitato attraverso i suoi preposti nell'ambito dell'organizzazione aziendale";

- la saltuarietà della prestazione non era elemento idoneo di per sè a qualificare come autonoma la prestazione resa, poichè, giusta l'insegnamento di richiamata giurisprudenza di legittimità, il vincolo della subordinazione non ha tra i suoi tratti caratteristici indefettibili la permanenza nel tempo dell'obbligo del lavoratore di tenersi a disposizione del datore di lavoro;

- l'effettuazione della ritenuta d'acconto sui compensi non costituiva elemento idoneo a fare ritenere che la volontà negoziale delle parti si fosse formata nel senso della autonomia del rapporto, trattandosi di un comportamento datoriale unilaterale che non provava l'esistenza di un accordo in tal senso.

            Secondo il consolidato e condiviso orientamento interpretativo di questa Corte, ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento;

l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, mentre altri elementi, come l'osservanza di un orario, l'assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione, possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante; l'esistenza del suddetto vincolo va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale (cfr., ex plurimis, Cass., n. 4036/2000; 20669/2004; 7966/2006).

                        Alla luce delle ricordate argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, deve convenirsi che la Corte territoriale ha puntualmente osservato i criteri dettati per l'individuazione della natura del rapporto, riscontrando la sussistenza del vincolo della subordinazione sulla base delle descritte modalità dell'attività lavorativa, contraddistinta dalla messa a disposizione da parte dei lavoratori delle proprie energie lavorative, dall'obbligo di sottostare alle disposizioni impartite loro dal superiore gerarchico e, quindi, dal loro inserimento nell'organizzazione aziendale. La considerazione svolta sulla natura esecutiva delle mansioni espletate riflette soltanto la ritenuta difficoltà nei poter individuare in relazione alle stesse un'obbligazione di risultato, ma non costituisce il punto decisivo della soluzione accolta, che, come detto, consiste invece nell'essere stato concretamente individuata la sussistenza della subordinazione.

            Al contempo la Corte territoriale ha congruamente motivato (richiamando condivisa giurisprudenza di questa Corte: cfr., Cass., n. 7304/1999) in ordine alla inidoneità del carattere saltuario delle prestazioni a consentire di per sè la loro qualificazione nel senso dell'autonomia e, del pari congruamente, in ordine all'inidoneità dell'effettuazione della ritenuta d'acconto sui compensi a far ritenere che la volontà delle parti si fosse formata nel senso della autonomia del rapporto.

            Trattasi dunque di motivazione coerente con le risultanze processuali, immune da vizi logici e da errori giuridici e che pertanto, come tale, si sottrae alle censure svolte.

            Queste ultime, in realtà, evidenziando quelle peculiarità fattuali dei rapporti de quibus che, a giudizio della ricorrente, avrebbero potuto portare ad una diversa soluzione della controversia, si risolvono nella prospettazione di una interpretazione delle risultanze processuali difforme da quella adottata, senza tuttavia indicare emergenze probatorie decisive, tali cioè che, se considerate dal giudice del merito, sarebbero state idonee di per sè a condurre, in termini di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa soluzione della controversia (cfr, ex plurimis, Cass., n. 7000/1993; 1203/2000; 13981/2004).

            Deve poi rilevarsi che, avendo ritenuto la Corte territoriale, in base alla valutazione complessiva delle emergenze processuali e con motivazione adeguata e giuridicamente corretta, la natura subordinata dei rapporti, ciò ha comportato l'implicita - ma inequivoca - ripulsa delle argomentazioni della parte volte alla qualificazione dei rapporti stessi in termini di autonomia, cosicchè il secondo e il terzo mezzo risultano privi di pregio una volta riscontrata l'infondatezza del primo (dovendo altresì osservarsi che il terzo mezzo presenta anche profili di inammissibilità laddove, affermando che le ricevute in atti "si presentano tutte sottoscritte dai dipendenti", omette di riportarne puntualmente il contenuto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione).

            Dispositivo

            In definitiva il ricorso, pur affermando il contrario, finisce, nella sostanza, per richiedere a questa Corte, che non ne ha il potere, un riesame del merito e, pertanto, deve essere rigettato. (omissis)

 II

            (Omissis)

            Svolgimento

            Con sentenza del 25 settembre 2004 la Corte d'appello di Roma, informa della decisione emessa dal Tribunale, rigettava la domanda proposta da M.C. contro la s.r.l. Centro romano assistenza Sanitaria (Cras) onde ottenere l'accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, il pagamento di differenze retributive e la dichiarazione di illegittimità del licenziamento con la conseguente condanna risarcitoria.

            La Corte osservava essere risultato dall'istruzione probatoria come il M. lavorasse quale autista di ambulanza secondo turni settimanali diurni o notturni, con compenso variabile in relazione alle ore di lavoro svolte. Indice dell'assenza di subordinazione era la libertà di non presentarsi al lavoro ossia l'assenza di un obbligo di giustificare le essenze.

            Contro questa sentenza ricorre per cassazione il M. mentre la s.r.l. Cras resiste con controricorso.

            Il ricorrente ha presentato memoria.

            Motivazione

            Col terzo motivo, logicamente precedente, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2094 cod. civ., per non avere la Corte d'appello considerato la totale assenza del rischio economico a carico del lavoratore, guidatore di ambulanze appartenenti alla datrice di lavoro ed inserito nella organizzazione produttiva della medesima ed inoltre nel avere escluso l'obbligo di giustificare le assenze, senza alcuna concreta verifica.

            Il motivo è fondato.

            Nella sentenza impugnata la Corte d'appello ha escluso la subordinazione del rapporto di lavoro in questione svalutando l'inserimento del lavoratore in turni di servizio, ed al contrario valorizzando l'astratta mancanza dell'obbligo di giustificai e le assenze nonché la variabilità del compenso in relazione alle ore di lavoro effettive.

Così tacendo la Corte ha dato risalto ad elementi non decisivi, trascurando per contro ogni accertamento di elementi determinanti.

            E' infatti costante e risalente giurisprudenza della Corte che l'autonomia del rapporto di lavoro, anche nella forma attenuata della cosiddetta parasubordinazione, vada esclusa quando il prestatore di lavoro non disponga di un'organizzazione imprenditoriale sia pure in termini minimi e non sopporti pertanto alcun rischio economico. In altre parole la continuità e coordinazione dell'attività lavorativa con quella del commitente, propria della para subordinazione (art. 409 cod. proc. civ.), non può risolversi nella mera esecuzione di lavoro, priva di un minimo di autoorganizzazione e di rischio (Cass. 15 dicembre 1979 n. 6543, 13 gennaio 1981 n. 303, 26 maggio 1983 n. 3650, 18 dicembre 1996 n. 11339, 27 marzo 2000 n. 3674).

            Nel caso di specie questo elemento è stato trascurato dal collegio di merito, che, dovendo qualificare il rapporto di lavoro di un autista al servizio di un'impresa, ha omesso di verificare la proprietà dell'autovettura o delle autovetture adoperate nonché il soggetto onerato delle spese di gestione (carburante, pezzi di ricambio, lubrificanti).

            Il collegio ha altresì omesso di accertare se l'autista prendesse contatto diretto coi clienti e intascasse i compensi pagati da loro.

            Il detto, necessario accertamento avrebbe consentito di valutare meglio elementi di per sè non decisivi, quale l'inserimento di turni di servizio, compatibile bensì con la parasubordinazione ma connaturato con la subordinazione.

Quanto all'assenza dell'obbligo di giustificare le assenze oppure del potere disciplinare altrui, assai spesso invocati dalla parte interessata a negare la subordinazione, essi possono assumere valore indiziario solo se verificati in concreto, ossia quando la parte interessata provi assenze e non esecuzione della prestazione lavorativa concretamente rimaste prive di effetti (Cass. 2 giugno 1999 n. 5411, 9 ottobre 2000, n. 13452).

            Non indicativa, infine, è la variabilità del compenso, che tuttavia di solito indica la subordinazione se corrisposto a scadenze fisse.

            L'obliterazione di tutti questi criteri induce alla cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla stessa Corte d'appello di Roma che, in diversa composizione, giudicherà uniformandosi al seguente principio di diritto:

"Per escludere la subordinazione del rapporto di lavoro prestato con continuità e coordinamento con altro soggetto è necessario che il giudice di merito accerti il rischio economico a carico del lavoratore e così ad esempio che resti a suo carico l'acquisto o l'uso dei materiali necessari a lavorare o che il rapporto con i terzi utenti venga da lui instaurato e gestito. Quanto all'assenza dell'obbligo di giustificare assenze, quale indice della mancanza di subordinazione, è necessario l'accertamento negativo in concreto delle conseguenze disciplinari".

            Gli altri motivi di ricorso rimangono assorbiti.

            Il giudice di merito provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

            Dispositivo

            La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso (omissis).

 III

(Omissis)

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma con sentenza 2474/05 in accoglimento dell'impugnazione avanzata dal Comune di Casperia avverso la sentenza del Tribunale di Rieti, respingeva la domanda proposta da Montiroli Rosalia avente ad oggetto l'accertamento della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato in riferimento alle prestazioni rese dalla Montiroli in esecuzione di un contratto di appalto stipulato con il predetto Comune per lo svolgimento di attività relative alla sorveglianza, custodia e pulizia delle scuole elementari.

I  giudici  di  appello ponevano a base della decisione il rilievo fondante che le prove articolate, essendo dirette a dimostrare l'inserimento nell'organizzazione  della  scuola, erano  del tutto irrilevanti al fine di attestare la  soggezione della  lavoratrice  al  potere direttivo,  organizzativo  e  disciplinare  del Comune. Avverso tale sentenza la Montiroli ricorreva per cassazione sulla base di due censure. Parte intimata resisteva all'impugnazione e depositava anche memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo parte ricorrente deduce omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia. Denuncia in proposito, dopo aver richiamato la normativa di cui al DPR 239/74 ('"rectius" 420/74) ed alla L. 444/1968 ed i principi in materia elaborati dalla giurisprudenza amministrativa nonché la regola iuris secondo la quale ai fini della configurabilità della subordinazione il potere di controllo va valutato in relazione alla natura delle mansioni svolte dal lavoratore, che la Corte territoriale "non ha operato alcuna censura in merito alle statuizioni del Tribunale ricognitive dell'effettivo oggetto delle prestazioni lavorative e delle modalità di espletamento" e non ha specificato minimamente quali delle dichiarazioni rese dai testimoni osterebbero all'accertamento della subordinazione e per quali motivi l'inserimento delle prestazioni nell'organizzazione scolastica sarebbero irrilevanti. I giudici di appello - assume - avrebbero dovuto specificare testimonianza per testimonianza", perché le ha ritenute inattendibili ai fini probatori, e non hanno "minimamente censurato in punto di fatto le statuizioni del Tribunale". Con il secondo motivo la Montiroli allega violazione e falsa applicazione degli artt. 7 L. 444/68, 1, 2 e 7 DPR 239/74 in relazione all'art. 2697 c.c., all'art. 4141 c.p.c., agli artt. 1362 e seg. 1366, 1175 e 1375 c.c. ed agli artt. 115 e 116 c.p.c..

Afferma in proposito che: 1. il contratto di appalto non prevede lo svolgimento delle mansioni di apertura e chiusura del portone e pertanto le stesse rientrano in quelle del personale ausiliario ex art. 7 del DPR 239/74; 2. quanto all'inserimento nell'organizzazione scolastica, l'art. 7 della L. 444/68 prevede che il personale di custodia è a carico del Comune; è significativa la pacifica accettazione da parte del Comune delle prestazioni rese; 1'onere di allegazione e di prova deve essere parametrato alla stregua del particolare carattere dell'attività ausiliaria ex DPR denunciato è sufficiente provare il carattere ripetitivo e semplice degli incombenti, la loro estraneità al contratto di appalto e la corrispondenza dei compiti all'ausiliario, prova questa fornita.

Le censure, che in quanto logicamente collegate vanno trattate congiuntamente, sono fondate nei limiti che seguono.

Questa Suprema Corte in una fattispecie simile — riguardante rapporto di lavoro con ente pubblico, basato su contratto cui le parti avevano dato il "nomen juris" di appalto— con sentenza n. 8569/04, pienamente condivisa dal Collegio, "premesso che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo, ha, in effetti, ripetutamente affermato che l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore di lavoro al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale  con prestazione delle  sole  energie lavorative corrispondenti all'attività di impresa (ex  multis  Cass.  3  aprile  2000  n.  4036; Cass. 9 gennaio 2001 n. 224; Cass., 29 novembre 2002 n. 16697; Cass. 1A marzo 2001 n. 2970)", ha rilevato che "in numerose altre pronunzie si è opportunamente   sottolineato,   peraltro,   che l'esistenza   del   vincolo   va   concretamente apprezzata   con   riguardo   alla   specificità dell'incarico conferito; e, proprio in relazione alle difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali ora indicati, si è precisato che in tale ipotesi è  legittimo  ricorrere  a  criteri  distintivi sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma di retribuzione,  la continuità delle prestazioni e via di seguito (v. per tutte, Cass. 27 marzo 2000 n. 3674; Cass. n. 4036/2000 cit.}".

«Ora — ha sottolineato questa Corte nella sentenza in parola—"se l'attenuazione del potere direttivo e disciplinare, tale da non escludere pregiudizialmente la sussistenza della subordinazione e da consentire il ricorso ai menzionati criteri sussidiari, è stata di solito riscontrata nella giurisprudenza di legittimità in relazione a prestazioni lavorative dotate di maggiore elevatezza e di contenuto intellettuale e  creativo  (quali,  ad  esempio,  quelle  del giornalista) va  rilevato,  tuttavia,  che  un analogo  strumento  discretivo  può  validamente adottarsi,   all’opposto,   con   riferimento   a mansioni estremamente elementari e ripetitive, le quali, proprio per la loro natura, non richiedono in linea di massima 1'esercizio di quel potere gerarchico che si estrinseca - secondo quanto asserito  in  numerosissime  pronunce  di  questa Corte - nelle direttive volta a volta preordinate ad adattare la prestazione alle mutevoli esigenze di  tempo  e  di  luogo  dell'organizzazione imprenditoriale e nei controlli sulle modalità esecutive della prestazione lavorativa. Si vuol dire con ciò che, ove la prestazione lavorativa sia assolutamente semplice e routinaria e con tali caratteristiche si protragga per tutta la durata  del  rapporto,  l'esercizio  del  potere direttivo del datore di lavoro, nei termini testé precisati,  potrebbe  non  avere  occasione  di manifestarsi (come del resto è stato affermato da Cass., n. 3674 del 2000, cit., secondo cui l'esistenza del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro è sicuro indice di subordinazione, mentre la relativa assenza non è sicuro indice di autonomia ). Conclusione, questa, che tanto più appare valida laddove nel momento genetico del rapporto di lavoro siano state dalle parti puntualmente predeterminate le modalità di una prestazione destinata a ripetersi nel tempo, essendo evidente che in casi del genere - a fronte, cioè, di mansioni elementari e, per così dire, rigide - il potere direttivo del datore di lavoro potrà anche non assumere una concreta rilevanza esterna (laddove il potere disciplinare in tanto potrà avere modo di estrinsecarsi in quanto il prestatore sia incorso in una inosservanza dei propri doveri, che non può essere astrattamente presupposta). Del resto, che la subordinazione possa ritenersi sussistente anche in assenza del vincolo di soggezione al potere direttivo del datore di lavoro (inteso, ancora una volta, nei termini sopra indicati), ed in presenza, viceversa, dell'assunzione per contratto, da parte del prestatore, dell'obbligo di porre a disposizione del datore le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuità secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro ed in funzione dei programmi cui è destinata la prestazione per il perseguimento dei fini propri dell'impresa, è stato già affermato da questa Corte, sia pure con riferimento all'evolversi dei sistemi di organizzazione del lavoro in direzione di una sempre più diffusa esteriorizzazione di interi  settori  del  ciclo  produttivo  o  di professionalità specifiche (in particolare Cass. 6 luglio 2001 n. 9167 e 26 febbraio 2002 n. 2842): tanto a riprova della possibilità – ed anzi   della   necessità   -   con   riferimento all'estrema variabilità che la subordinazione può assumere nei diversi contesti, di prescindere dal potere direttivo dell'imprenditore nei casi in cui esso non possa validamente assumere il ruolo discretivo che normalmente gli è proprio".

Di qui il principio di diritto- — espresso nella sentenza in parola - cui questo Collegio intende dare continuità giuridica, secondo il quale nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione ed al fine della distinzione tra rapporto dì lavoro  autonomo  e  subordinato,  il  criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, per la qualificazione del rapporto di lavoro occorre far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro.

Nella specie, come nel caso esaminato nella citata sentenza 8569/04, nonostante l'oggetto del rapporto di lavoro fosse costituito da una prestazione di carattere estremamente elementare, ripetitiva e puntualmente predeterminata nelle sue modalità esecutive e sebbene, per altro verso, non fosse risultato che la Montiroli, per quello che consta, si fosse resa mai inadempiente ai suoi doveri nello svolgimento delle mansioni di sorveglianza, custodia e pulizia delle scuole elementari e si versasse, quindi, in una di quelle ipotesi in cui 1'appartenenza di un rapporto all’area dell'autonomia ovvero della subordinazione non poteva ragionevolmente essere apprezzata con esclusivo riferimento all'esercizio del potere direttivo e disciplinare da parte del datore di lavoro, la Corte di Appello ha nondimeno preteso di attribuire ad esso un ruolo decisivo ai fini della qualificazione del rapporto predetto, laddove in tale situazione avrebbe dovuto far ricorso ai criteri distintivi sussidiar! elaborati dalla giuri sprudenza, tenendo conto ai fini di cui trattasi, anche del contratto, qualificato dalle parti "di appalto" ed erroneamente, invece, del tutto ignorato nel suo contenuto e nelle specifiche previsioni.

La sentenza impugnata per tali ragioni va, pertanto, cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Perugia , che dovrà attenersi al principio di diritto sopra richiamato e, alla stregua di esso, esaminare nuovamente e compiutamente il merito della controversia anche in ordine alle questioni ed ai punti - pur prospettati in ricorso — non trattati dal giudice d'appello perché assorbiti dalla decisione adottata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Perugia. (omissis).

 

Il lavoro umano nell’impresa: la subordinazione di tipo economico funzionale nell’esegesi giurisprudenziale.

1.- Il lavoro umano nell’impresa - A volte accade di rileggere tesi dottrinali di autorevoli autori e ci si accorge di quanto attuali possano essere teorie che risalgono a molti anni addietro, quando il diritto del lavoro era ancora in uno stato per così dire embrionale. Ed allora, nello sforzo interpretativo di ricostruire i concetti fondamentali del diritto del lavoro, si rilevano in tutta la loro forza ed originalità alcune definizioni di Ludovico Barassi che per lavoro intendeva quella “prestazione fondamentale cioè fisionomica in un rapporto obbligatorio di origine contrattuale, che appare come lo spiegamento che l’uomo fa di energie destinate all’utilità di un’altra persona” e riteneva che “lo spiegamento delle energie umane è l’elemento principale della prestazione” definito anche come il “lavoro umano” nel senso di “attività umana atta a soddisfare un bisogno altrui che la rende necessaria” (Ludovico Barassi, Il Diritto del Lavoro, pag. 3, Giuffrè, 1957). Risiede proprio in questa “natura del lavoro umano” l’importanza di tutto il diritto del lavoro teso, appunto, alla tutela dell’individuo stesso ove il prestatore di lavoro subordinato è “chi mette le proprie energie lavorative a disposizione di altri che con la propria organizzazione saprà far convergere quelle energie al raggiungimento degli scopi che con essa si propone di raggiungere” (Ludovico Barassi, op. cit.  pag.  269).

Perdere di vista tale concetto significherebbe snaturare l’essenza stessa del diritto del lavoro il cui scopo principale è tutelare la parte debole del rapporto contrattuale. Tale premessa risulta necessaria in quanto spesso, nell’esegesi dottrinale e giurisprudenziale, si sottovaluta quale sia il nodo centrale da sciogliere per la qualificazione di un rapporto di lavoro. In realtà, il centro dell’indagine del giurista, quasi in una concezione copernicana, dovrebbe avere come punto di riferimento quali siano gli effetti e l’utilità che produce il “lavoro umano” nell’ambito di un rapporto contrattuale. Il vero cuore del problema risiede appunto nella qualificazione del rapporto tra i soggetti di tale prestazione ovvero tra chi si limita a fornire la propria manodopera e chi “riunisce nelle sue mani i fattori capitale, tecnica e lavoro e vi aggiunge l’opera sua di imprenditore, organizzandoli e coordinandoli variamente in vista dello scopo  che intende raggiungere, assumendone il rischio” (Ludovico Barassi, op. cit., pag. 271) e, quindi chi,  organizzando materialmente il lavoro, ne trae i maggiori benefici.

Solo partendo da tale presupposto si può attribuire a tale “spiegamento di energie” la giusta qualificazione giuridica, soprattutto quando il progresso, la tecnica e le modalità di espletamento della prestazione lavorativa, richiesta dai moderni processi produttivi, portano spesso all’elusione delle norme fondamentali poste a tutela del prestatore di lavoro subordinato. Ciò anche in considerazione di due rilevanti circostanze: per un verso, che in un rapporto di lavoro vi è un’evidente disparità di forze economiche tra le parti che spesso comporta, soprattutto in periodi di crisi economica, la necessità per quella più debole di accettare condizioni meno favorevoli e, dall’altro, che il modello legale del lavoro subordinato, con i suoi oneri e tutele, rappresenta sicuramente una forma contrattuale antieconomica per le imprese.

Su questo tipo di concezione della natura del lavoro umano, che non solo è giuridica ma sicuramente sociologica e, in un certo senso, anche filosofica (nel senso del riconoscimento e della tutela di diritti fondamentali dell’individuo), sembra ormai orientarsi  la recente giurisprudenza, la quale ha tracciato una linea di demarcazione abbastanza netta in tema di qualificazione del rapporto di lavoro subordinato, superando gli schemi delle teorie classiche sulla eterodirezione le quali, elaborate in tempi in cui era diversa la produzione ed i modelli organizzativi del lavoro, non appaiono più adatte per una corretta interpretazione sull’accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro.

- L’evoluzione giurisprudenziale sulla qualificazione del rapporto di lavoro: la teoria della doppia alienità – Negli ultimi anni i giudici di legittimità, nelle controversie relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, hanno riconosciuto notevole importanza a quegli elementi concreti, come elaborati dalla dottrina e giurisprudenza, quali l’inserimento economico funzionale del lavoratore nell’impresa e gli altri indici sintomatici, che meglio possono definire la reale natura di una prestazione lavorativa. Appare pertanto opportuno, ancora prima di entrare nello stretto merito delle decisioni oggetto della presente nota, ricostruire quale sia stata l’evoluzione della elaborazione giurisprudenziale in materia di qualificazione del rapporto di lavoro. E’ ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui l’elemento costitutivo della subordinazione deve essere rinvenuto in due concetti fondamentali: “nell’inserimento nella struttura produttiva” e nella "doppia alienità" del prestatore rispetto ai mezzi della prestazione ed al risultato della prestazione. Tale assunto è stato delineato dapprima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 30 del 5 febbraio 1996 e ribadito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 21646 del 9.10.2006. Ed infatti, la Corte di Cassazione affrontando un caso ove la Corte d'Appello di Bari aveva respinto la domanda di un lavoratore che svolgeva il proprio lavoro in piena autonomia, non aveva un orario fisso e privo di una scrivania propria in ufficio, ha ritenuto che "nessuno di tali elementi appare decisivo, né lo sono nel loro complesso", al fine di qualificare come non subordinato il rapporto, in quanto sia l'autonomia tecnica nello svolgimento della prestazione che la flessibilità di orario che, infine, la mancata predisposizione di una apposita postazione di lavoro possono "spiegarsi agevolmente con il contenuto tecnico professionale della prestazione stessa”. La Suprema Corte ha quindi cassato con rinvio la sentenza di merito, al fine di meglio valutare gli elementi essenziali della subordinazione e cioè "l'inserimento o meno all'interno della struttura organizzata dell'impresa” e se il lavoratore "fosse in possesso o meno di una propria autonoma struttura organizzativa" o  "se assicurasse o meno un risultato importante per l'azienda”. Orbene, detti principi altro non sono che la nozione di subordinazione conforme al dettato costituzionale così come enunciati dalla Consulta secondo cui per appurare e riconoscere la pienezza di garanzie prevista dal lavoro subordinato è importante accertare  “il tipo di interessi cui l'attività è funzionalizzata e il corrispondente assetto di situazioni giuridiche in cui è inserita” ove per riconoscere e definire la subordinazione devono concorrere due condizioni ovvero “l'alienità (nel senso di destinazione esclusiva ad altri) del risultato per il cui conseguimento la prestazione di lavoro è utilizzata, e l'alienità dell'organizzazione produttiva in cui la prestazione si inserisce”. Secondo i giudici costituzionali la subordinazione, quando è integrata da questi due requisiti, “non è semplicemente un modo di essere della prestazione dedotta in contratto, ma è una qualificazione della prestazione derivante dal tipo di regolamento di interessi prescelto dalle parti con la stipulazione di un contratto di lavoro, comportante l'incorporazione della prestazione di lavoro in una organizzazione produttiva sulla quale il lavoratore non ha alcun potere di controllo, essendo costituita per uno scopo in ordine al quale egli non ha alcun interesse (individuale) giuridicamente tutelato" (Corte Costituzionale sentenza n. 30 del 5 febbraio 1996).

Sul punto si evidenzia che anche le sentenze oggetto di nota confermano tale orientamento, dimostrando il superamento di una concezione tradizionale della subordinazione che spesso non sembra essere più al passo con i tempi, anche in considerazione dell’attuale processo produttivo e dei mutamenti  avvenuti nell’organizzazione del lavoro. Il problema principale nelle controversie di lavoro ove si chiede il riconoscimento della natura subordinata di un rapporto di lavoro risiede, infatti, nell’accertamento dell’eterodirezione che spesso una giurisprudenza a volte troppo rigida ha interpretato in modo formalista, non attribuendo il giusto peso a quegli altri elementi come sopra evidenziati che, invece, connotano una prestazione che non può essere altro che di tipo subordinato.

In questa scia interpretativa si inserisce un altro recente orientamento della Cassazione che, con sentenza del 6 settembre 2007, n. 18692 (in questa Rivista, 3, 2008, pagg. 635 e segg., con nota di Maria Dolores Ferrara,  La Corte di Cassazione e la qualificazione del rapporto di lavoro: doppia alienità, lavoro tipologicamente subordinato, e valorizzazione dei legami personali, preceduta da Cass. 16 gennaio 2007, n. 820, in q. Riv. 4, 2007. p. 654, con nota di Allamprese, Subordinazione e doppia alienità: la Cassazione batte un colpo), ha affermato principi di notevole importanza in materia di qualificazione del rapporto di lavoro. In tale ultima sentenza i giudici di legittimità, pur affermando che una attività lavorativa può essere svolta secondo le modalità della subordinazione o del lavoro autonomo, hanno riconosciuto un dato incontrovertibile e fondamentale che caratterizza l’attuale mondo del lavoro ovvero quello della supremazia del dato sostanziale su quello formale, avendo a riferimento le “modalità esigite dal processo tecnologico applicato alla produzione del bene o servizio richiesto”, che prevalgono sulla volontà delle parti e, in particolare, su quella del lavoratore che rappresenta sempre la parte debole del rapporto. Sulla base di tale presupposto la Cassazione nella citata sentenza del settembre 2007 ha ritenuto che “l’esecuzione del lavoro all’interno della struttura della impresa con materiali ed attrezzature proprie della stessa costituisce un forte indizio, che concorre a dar luogo al giudizio di sintesi sulla subordinazione (Cass. 2 settembre 2000 n. 11502; Cass. 25 maggio 2004 n. 10043; vedi articolo 1, comma 3, Legge 18 dicembre 1973 n. 877 e Cass. 22 aprile 2002 n. 5840; per l’affermazione del metodo tipologico nella valutazione della onerosità e della subordinazione nei casi border line vedi Cass. 9 febbraio 1024; Cass. 20 marzo 2001, n. 3975). 

A quanto osservato si aggiunga che in tale pronuncia la Suprema Corte ha enunciato un altro principio importante in materia di qualificazione del rapporto di lavoro, affermando appunto che con la riforma del mercato del lavoro attuata con il D.Lgs. n. 276/2003 il Legislatore ha sostanzialmente previsto “rigorosi requisiti formali per le tipologie contrattuali, anche connotate dall’autonomia, diverse dal rapporto di lavoro subordinato..” e che quindi nel nostro ordinamento non sussiste più una  “libertà indiscriminata ed incontrollabile di sussunzione della prestazione lavorativa in un modello contrattuale informale. Sembra opportuno ribadire che nel campo del diritto del lavoro (che comprende, ex art. 36 Cost., qualsiasi tipologia lavorativa) in ragione della disuguaglianza di fatto delle parti del contratto, dell’immanenza della persona del lavoratore e del contenuto del rapporto e, infine, dell’incidenza che la disciplina di quest’ultimo ha rispetto interessi sociali e collettivi, le norme imperative non assolvono solo al ruolo di condizioni di efficacia giuridica della volontà negoziale, ma, insieme alle norme collettive, regolano direttamente il rapporto, in misura prevalente rispetto all’autonomima individuale, cosicchè il rapporto di lavoro, che pur trae vita dal contratto, è invece regolato soprattutto da fonti eteronome, indipendentemente dalla comune volontà dei contraenti ed anche contro di essa. E la violazione del modello di contratto e di rapporto imposto all’autonomia individuale dà luogo, di regola, alla conformazione reale del rapporto concreto al modello prescritto (Corte Cost. 21 gennaio 1992, n. 210; Cass. 2 giugno 1999 n.. 5411)” .

- L’inserimento economico funzionale del prestatore nell’impresa e la mancanza di rischio economico quali indizi di subordinazione – I richiamati orientamenti della recente giurisprudenza dimostrano, inequivocabilmente, un’apertura esegetica innovativa, attribuendo il giusto riconoscimento alla tutela del “lavoro umano” che trova la propria fonte di protezione in principi di rango costituzionale.

Le teorie dell’eterodirezione in senso classico, se rigorosamente applicate, senza una valutazione complessiva delle modalità dell’espletamento della prestazione, rischiano di rappresentare un criterio non adeguato rispetto al concreto atteggiarsi del rapporto intercorso tra le parti. Ed infatti, spesso il prestatore, inserito funzionalmente nell’impresa, svolge mansioni semplici e ripetitive e, soprattutto, ben individuate e determinate all’inizio della prestazione lavorativa e, generalmente, senza supportare alcun rischio economico.

Le sentenze oggetto di nota si caratterizzano per aver valorizzato tali elementi ai fini del riconoscimento della subordinazione; sul punto, si segnala la sentenza di Cassazione del gennaio 2009, oggetto di commento, la quale, oltre a dar rilievo a tali indici, ha richiamato anche il principio della cosiddetta “subordinazione attenuata” (di solito riferito alle prestazioni di elevato profilo intellettuale ed in particolar modo a quelle espletate dal giornalista), da applicarsi per analogia, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, anche alle prestazioni di tipo elementare, ove appunto l’esercizio del potere direttivo potrebbe non avere occasione di manifestarsi.   

Per comprendere quindi quale sia la vera natura di una prestazione lavorativa è necessario partire dalla distinzione eziologica tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Il nostro diritto positivo prevede due distinte figure di prestatore di lavoro: l’art. 2094 c.c. definisce il “prestatore di lavoro subordinato” e l’art. 2222 c.c. disciplina il lavoro autonomo. E’ altrettanto noto che il diritto del lavoro, in misura  largamente prevalente se non esclusiva, è predisposto per la sola  tutela del “lavoro subordinato”.

La eliminazione di ogni tutela per il prestatore di lavoro è dunque facilmente realizzata attraverso la cosiddetta “fuga dalla subordinazione” mediante rapporti pseudo-autonomi i quali, nella maggior parte dei casi, rivestono tale qualificazione solo dal punto di vista formale ma mai da quello sostanziale (come accade spesso con le collaborazioni occasionali, le collaborazioni coordinate e continuative e, da ultimo, con il contratto di lavoro a progetto). Tale elusione, tuttavia, non è agevole con il diritto positivo vigente: l’art.  2222 c.c. si riferisce al compimento di “un’opera o di un servizio”,  con la necessaria organizzazione di mezzi in capo al prestatore di tale opera, con l’assunzione  di un rischio economico e con l’assenza di direzione da parte del committente.

Di certo, non si vuole in questa sede arrivare a sostenere quello che potrebbe apparire, ad una prima analisi semplicistica e riduttiva, un paradosso giuridico per cui ciò che non è autonomo deve essere per forza subordinato. Per fornire una chiave di lettura che ben si adatta al caso di specie, riportando un passo della motivazione di una decisione del Tribunale di Roma (sentenza del 05 giugno 2007 n. 11027, est. Dott. Conte, a quanto consta non pubblicata ma molto interessante per i principi ivi espressi per quanto riguarda la differenza tra lavoro autonomo e subordinato), si potrebbe arrivare a sostenere che poiché nei moderni processi lavorativi la produzione può fare quasi sempre a meno della eterodirezione in senso stretto, allora anche Charlot (nel noto film “Tempi moderni) potrebbe essere ritenuto un lavoratore autonomo in quanto, anche se avvitava i bulloni nella catena di montaggio, tuttavia nessuno lo comandava e lo puniva (sempre secondo una concezione tradizionalistica della subordinazione). Al riguardo, è possibile affermare, parafrasando la motivazione di una delle sentenze in commento, che “l'esistenza del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro  è  di sicuro indice di subordinazione, mentre la relativa assenza non è sicuro indice di autonomia” (Cassazione n. 1536 del 21.01.2009, che a sua volta richiama sul punto Cass. n. 3674 del 2000).  

Ebbene, a riprova di quanto fin qui argomentato e della continua opera di chiarificazione e di correzione delle pronunce di merito, la Suprema Corte di Cassazione del 01 agosto 2008, n. 21031 è intervenuta su una decisione della Corte territoriale in cui erano state accertate le seguenti modalità di espletamento della prestazione: "prestazioni di lavoro saltuarie e senza vincolo di restare a disposizione del datore di lavoro tra l'una e l'altra; - possibilità dei lavoratori, quando chiamati, di rifiutare la prestazione, e, al contempo, richiesta avanzata talora degli stessi lavoratori della eventuale necessità della loro opera". Sul punto la Cassazione ha affermato, in conformità a quanto statuito dalla Corte di Appello, che "le mansioni in concreto svolte si connotavano per il carattere meramente esecutivo, con modesto contenuto professionale, cosicché pareva "davvero difficile potere qualificare come obbligazione di risultato la prestazione dovuta"; - ai lavoratori era richiesto nulla di più che "porre a disposizioni del datore le loro energie lavorative, e sottostare al potere di supremazia gerarchica da questi esercitato attraverso i suoi preposti nell'ambito dell'organizzazione aziendale".

E tale conferma dell'impugnata sentenza è stata motivata in quanto "l'elemento tipico è costituito dalla  subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, mentre altri elementi, come l'osservanza di un orario…la forma della retribuzione….. possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante" e “l’esistenza del suddetto vincolo va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione”.

Sul punto è poi intervenuta un’altra decisione della Suprema Corte che, con la sentenza 21380 del 7 agosto 2008, ha cassato la pronuncia della Corte di Appello di Roma per aver la stessa “escluso la subordinazione del rapporto di lavoro in questione svalutando l'inserimento del lavoratore ed al contrario valorizzando l'astratta mancanza dell'obbligo di giustificare le assenze nonché la variabilità del compenso. Così facendo la Corte ha dato risalto ad elementi non decisivi, trascurando per contro ogni accertamento di elementi determinanti. E' infatti costante e risalente giurisprudenza della Corte che l'autonomia del rapporto di lavoro, anche nella forma attenuata della cosiddetta parasubordinazione, vada esclusa quando il prestatore di lavoro non disponga di un'organizzazione imprenditoriale sia pure in termini minimi e non sopporti pertanto alcun rischio economico. In altre parole la continuità e coordinazione dell'attività (art. 409 c.p.c.) non può risolversi nella mera esecuzione di lavoro, priva di un minimo di autoorganizzazione e di rischio (Cass. 15 dicembre 1979 n. 6543, 13 gennaio 1981 n. 303, 26 maggio 1983 n. 3650, 18 dicembre 1996 n. 11339, 27 marzo 2000 n. 3674)". 

La Suprema Corte ha inoltre ritenuto che “non indicativa, infine, è la variabilità del compenso, che tuttavia di solito indica la subordinazione se corrisposto a scadenze fisse” e che, pertanto, ”per escludere la subordinazione del rapporto di lavoro prestato con continuità e coordinamento con altro soggetto è necessario che il giudice di merito accerti il rischio economico a carico del lavoratore e così ad esempio che resti a suo carico l’acquisto o l’uso dei materiali necessari a lavorare o che il rapporto con i terzi utenti venga da lui instaurato e gestito”.

In tale percorso interpretativo si inserisce infine la recente sentenza del 21 gennaio 2009 n. 1536 con cui la Suprema Corte ha posto l’attenzione sulle situazioni in cui il vincolo di subordinazione appare attenuato in quanto il lavoratore non viene assoggettato a specifiche disposizioni, onde è legittimo accertare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in base a criteri distintivi sussidiari quali la mancanza in capo al prestatore di una pur minima organizzazione imprenditoriale ovvero l’incidenza del rischio economico, l’osservanza di un orario, la forma della retribuzione, la continuità della prestazione. Afferma sul punto la Corte di Cassazione che “se l’attuazione del potere direttivo e disciplinare, tale da non escludere pregiudizialmente la sussistenza della subordinazione e da consentire il ricorso ai summenzionati criteri sussidiari, è stata di solito riscontrata nella giurisprudenza di legittimità in relazione a prestazioni lavorative dotate di maggiore elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo (quali, ad esempio, quelle del giornalista) va rilevato, tuttavia, che un analogo strumento discretivo può validamente adottarsi, all’opposto, con riferimento a mansioni estremamente elementari e ripetitive, le quali, proprio per la loro natura, non richiedono in linea di massima l’esercizio di quel potere gerarchico che si estrinseca nelle direttive di volta in volta preordinate ad adattare la prestazione alle mutevoli esigenze di tempo e luogo dell’organizzazione imprenditoriale e nei controlli sulle modalità esecutive della prestazione lavorativa” .

Quanto fin ora argomentato è perfettamente in linea con l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia Europea la quale con sentenza del 17 luglio 2008, avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte nel procedimento C-94/07, ha ritenuto che “secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di «lavoratore» ai sensi dell’art. 39 CE ha portata comunitaria e non deve essere interpretata in modo restrittivo. Deve essere considerato «lavoratore» ogni persona che svolga attività reale ed effettive, ad esclusione di attività talmente ridotte da porsi come puramente marginali ed accessorie. La caratteristica del rapporto di lavoro è data, secondo tale giurisprudenza, dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima prestazioni in contropartita delle quali riceve una retribuzione” (controversia Raccanelli c/ Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften e V).

- Considerazioni conclusive - L’accertamento preliminare della sussistenza o meno di una reale autonomia ex art. 2222 c.c., potrebbe così rappresentare la “cartina di tornasole” per la qualificazione del rapporto di lavoro. Il ragionamento potrebbe apparire un sillogismo, un ragionamento a contrario che però ben si adatta alle decisioni in commento ed all’esegesi giurisprudenziale più recente. In altri termini, se il rapporto tra le parti non ha le caratteristiche dell’autonomia, come sopra delineate, il medesimo dovrebbe necessariamente considerarsi subordinato. Tale concezione  non è  una postulazione di tipo semplicistico né può considerarsi una presunzione assoluta ma, quantomeno, potrebbe trovare la propria fonte ispirativa (come d’altronde è accaduto già per altri istituti giuridici) nelle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c.. Questo assunto trova conferma nella rilevante circostanza per cui a seguito delle modifiche apportate dal legislatore con il D.Lgs. 276/03, la cui ratio era appunto quella di eliminare i cosiddetti fenomeni di fuga dalla subordinazione (come giustamente osservato dalla summenzionata sentenza della Suprema Corte di Cassazione del settembre 2007), ormai vi sono rigorosi requisiti formali per le prestazioni connotate anche dall’autonomia (si veda per tutte il lavoro a progetto) e, quindi, se un rapporto non li possiede, o comunque non è provvisto di quelle caratteristiche essenziali che connotano un rapporto autonomo ex art. 2222 c.c. (prima tra tutti il rischio aziendale), il medesimo non può che essere di tipo subordinato.  

Il giurista, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali oggetto di commento, per comprendere quali siano i caratteri essenziali che distinguono il lavoro subordinato da quello autonomo, dovrà soffermarsi quindi su un elemento che appare ormai sempre più determinante ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, collegato agli indici sintomatici della subordinazione sopra richiamati, ovvero porre in essere una vera e propria indagine sulla sussistenza o meno del rischio aziendale: se tale requisito non è presente, ciò determina un chiaro indizio della mancanza di ogni reale autonomia del prestatore. Per completare il ragionamento fin qui argomentato, si richiama quanto affermato  da Ludovico Barassi in merito al concetto di rischio aziendale definito come “scopo o elemento supremo finale (nel senso logico): scopo che è risultato, ma che non solo giustifica a sua volta  il potere direttivo del datore, il rapporto (insomma) di subordinazione, ma inoltre concorre, con questo ultimo, a plasmare il rapporto di lavoro…Subordinazione e esonero dal rischio in un certo senso sono elementi che si integrano e si giustificano a vicenda… Così il rischio, nell’impresa, è dell’imprenditore: se vi è profitto e guadagno è suo; se ci sono delle perdite toccano a lui. E tutto ciò perché egli è il centro dell’impresa. Al prestatore di lavoro, il rischio è estraneo  ….. E quando il Giudice indaga  se in concreto chi dà l’opera propria è dipendente da altri o è lavoratore autonomo deve determinare l’incidenza del rischio e della responsabilità e del conseguente potere organizzativo e direttivo, che dal rischio è inseparabile…”  (Ludovico Barassi, op. cit.,  pag., 340, Giuffrè, 1957).

Per concludere la vexata questio sulla qualificazione del rapporto di lavoro, appare opportuno ed appropriato citare un passo estratto dal commento di Giorgio Mannaccio alla citata sentenza della Corte di Cassazione n. 21031 del 01 agosto 2008 (Il Lavoro nella giurisprudenza, Lavoro precario e subordinazione, pag. 1145, n. 11, 2008), il quale, facendo riferimento alla locuzione “letto di Procuste”, tratta dalla mitologia greca, afferma quanto segue: “noi costringiamo (siamo costretti dai dati normativi a costringere) la prestazione lavorativa reale in una sorta di letto di Procuste: o restringiamo la nozione di subordinazione ed amputiamo il fatto reale di alcuni elementi significativi o allarghiamo la nozione di subordinazione e stiracchiamo il fatto reale oltre le caratteristiche significative che esso mostra”.

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