L.T. S.R.L.: CONFERMATA ANCHE IN APPELLO L’INEFFICACIA DEL LICENZIAMENTO ORALE CON CONDANNA ALLA CORRESPONSIONE DI TUTTE LE RETRIBUZIONI NON VERSATE AL LAVORATORE.

Errata corrige 12 DIC 2023

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

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La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 12.12.2023, ha respinto l’appello di L.T. e confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Velletri, che aveva dichiarato la sussistenza di un licenziamento orale di un lavoratore e, dunque, la conseguente inefficacia dello stesso, con condanna della società alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal recesso orale alle dimissioni per giusta causa rassegnate dal lavoratore.

In particolare, si trattava di un lavoratore che era stato allontanato oralmente da un legale rappresentante dell’Azienda, senza più ricevere la retribuzione mensile, né le competenze di fine rapporto, finché aveva rassegnato, dopo circa 8 mesi, le proprie dimissioni. Il lavoratore ha quindi chiesto al Giudice il riconoscimento delle retribuzioni maturate dal licenziamento orale alle dimissioni e delle competenze di fine rapporto. Il datore, al contrario, si è difeso

sostenendo che il lavoratore si fosse allontanato volontariamente dal luogo di lavoro e non era stato licenziato, anche perché la persona che avrebbe intimato il recesso non ricopriva alcun ruolo in Azienda. Il primo Giudice ha ritenuto provato il recesso orale del lavoratore attraverso la prova per presunzioni e ha condannato l’Azienda alla corresponsione delle somme dovute.

La società ha impugnato la suddetta decisione ritenendo che l’onere della prova sul licenziamento orale gravasse sul lavoratore e solo dopo lo svolgimento delle prove richieste dalle parti il giudice avrebbe potuto far ricorso alle presunzioni. La Corte d’Appello, con la sentenza in esame, ha confermato la pronuncia di primo grado, ritenendo provata, in base al materiale probatorio acquisito in giudizio e alle dichiarazioni testimoniali, nonché applicando il ragionamento presuntivo, la sussistenza del licenziamento orale intimato al lavoratore.

In particolare, il Collegio adito ha preso posizione sulla materia della ripartizione dell’onere della prova in tema di licenziamento orale del lavoratore, richiamando la giurisprudenza sul punto (sent. n. 13195/2019) che ha affermato che “chi impugna un licenziamento deducendo che esso si è realizzato senza il rispetto della forma prescritta ha l’onere di provare, oltre la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il fatto costitutivo della sua domanda rappresentato dalla manifestazione di detta volontà datoriale, anche se realizzata con comportamenti concludenti”. Inoltre, la Corte ha affermato che “sia la ricostruzione della volontà di licenziare, sia eventuali difficoltà nel fornire la prova gravante sul lavoratore, trovano adeguato contrappeso in un utilizzo appropriato anche delle presunzioni affidato al prudente apprezzamento del giudice”.

L’accertata cessazione del rapporto di lavoro, dunque, può solo costituire circostanza fattuale in relazione alla quale, unitamente ad altri elementi, il giudice del merito può radicare il convincimento, adeguatamente motivato, che il lavoratore abbia assolto l’onere probatorio sul medesimo gravante circa l’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa datoriale. Qualora sia il datore di lavoro a sostenere che il rapporto si è estinto per dimissioni del lavoratore, grava sul datore medesimo la prova delle dimissioni.

Il Giudice, nella ricerca delle prove sul licenziamento orale o sulle dimissioni del lavoratore, dovrà, secondo il Collegio, provvedere d’ufficio a tutti gli atti istruttori sollecitati dal materiale probatorio di causa “indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti”, in quanto l’indagine del giudice del merito deve essere particolarmente rigorosa nell’apprezzamento del materiale probatorio laddove si intenda dimostrare che il lavoratore abbia rinunciato al posto di lavoro quale bene giuridico primario. Il Giudice deve quindi indagare la rilevanza ai fini sostanziali o probatori nel caso concreto anche degli eventuali episodi consistenti nell’offerta delle prestazioni da parte del lavoratore e nel rifiuto o mancata accettazione delle stesse da parte del datore di lavoro.

Nel caso di specie, secondo i Giudici, costituisce comportamento concludente quale presunzione del recesso orale del lavoratore la circostanza che l’Azienda non abbia risposto alla diffida del lavoratore con cui il medesimo metteva a disposizione le proprie energie lavorative. Inoltre, secondo l’organo giudicante, la mancanza di qualsivoglia tempestiva iniziativa come, ad esempio, l’invio di una contestazione disciplinare per l’assenza ingiustificata del dipendente, rivela come la parte datoriale non avesse nulla da addebitare al dipendente, non essendo dunque possibile che quest’ultimo si fosse assentato volontariamente.

Sulla base di tali premesse, applicando il ragionamento presuntivo sulla base di tutti i documenti acquisiti, nonché in seguito all’escussione dei testi, la Corte ha dunque ritenuto provato il recesso orale e lo ha dichiarato inefficace, confermando la condanna della società a corrispondere al lavoratore tutte le retribuzioni non corrisposte dalla lettera di messa in mora e fino alle successive dimissioni per giusta causa.