GSE CONDANNATA AL RISARCIMENTO DEL DANNO PER DEMANSIONAMENTO RITORSIVO CONSEGUENTE ALLA RICHIESTA MANSIONI SUPERIORI.

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Una lavoratrice dipendente della società GSE- Gestore dei Servizi Energetici, e difesa dallo Studio Legale Salvagni, instaurava un giudizio presso il Tribunale di Roma per far accertare, per un verso, il diritto all’inquadramento superiore con riferimento alle mansioni espletate in qualità di Buyer durante il rapporto lavoro; per un altro, per far dichiarare l’illegittima condotta aziendale che, a seguito della lettera di messa in mora per rivendicare il superiore inquadramento, l’aveva lasciata praticamente inattiva, sottraendole tutte le funzioni proprie del Buyer e assegnandola, solo residualmente, a lavorazioni semplici che la occupavano al massimo per 20 minuti.

In particolare, l’istruttoria ha confermato che la lavoratrice, successivamente alle proprie rivendicazioni, era stata privata delle attività inerenti alle procedure di gara dalla medesima prima gestite in qualità di Buyer e che, quindi, era stata lasciata in uno stato di pressoché totale inattività. Le rare mansioni che le venivano assegnate contemplavano solo alcuni ordinativi, circa 2 al mese, ove si limitava all’inserimento di dati, attività che la impegnavano non più di 20 minuti. Sul punto, il Tribunale di Roma ha accertato il dato oggettivo, non contestato dalla società, che il numero di pratiche assegnate alla lavoratrice (nel periodo oggetto di causa) era di appena 24 ordini su un totale di 1285 lavorati dalla sua Unità.

A parere del Tribunale, “il dato della evidente sproporzione delle pratiche evase, unito alla contiguità temporale fra l’inizio del denunciato demansionamento e le legittime rivendicazioni di superiore inquadramento ... costituisce ... indizio grave a sostegno della tesi di un demansionamento di matrice ritorsiva”.

Il giudice, peraltro, ha ritenuto provato non solo l’impoverimento della capacità professionale, ma anche la lesione all’immagine professionale e alla dignità della lavoratrice, specie per la conoscenza fra i colleghi di settore della condizione lavorativa di inattività in cui versava.

Il Tribunale capitolino, pertanto, ha condannato la società al risarcimento del danno professionale pari al 100% della retribuzione mensile per tutto il periodo di demansionamento subito.