Genericità della causale nel lavoro temporaneo e nella somministrazione

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.1/2012

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Corte d’Appello Torino, 2 maggio 2011, Sez. lav. – Pres. Mariani, Est. Grillo Pasquarelli – M. P. (avv. Scavone) c. Poste Italiane Spa (avv.Fronticelli).

 

Lavoro temporaneo tramite agenzia – Difetto di indicazione dei motivi – Eccessiva genericità – Violazione art. 3, comma 3, lett. a, legge n. 196/1997 – Applicazione dell’art. 10, comma 1, legge n. 196/1997 – Riconoscimento della sussistenza del rapporto di lavoro in capo all’azienda utilizzatrice.

Il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato si trasforma in contratto a tempo indeterminato alle dipendenze dell’azienda utilizzatrice non solo nei casi contemplati dall’art. 10, commi 2 e 3, legge n. 196/1997, in mancanza di forma scritta o di protrazione del rapporto oltre il termine di dieci giorni dalla naturale scadenza, ma anche nelle ipotesi contemplate dal comma 1 del medesimo art. 10, e quindi anche nel caso di violazione dell’art. 1, commi 2-5, ipotesi tra le quali rientra la generica indicazione dei motivi sottesi alla stipula del contratto di fornitura e del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, essendo detti contratti, intrinsecamente collegati, ontologicamente causali.

 

II

Corte di Cassazione n. 14715, 5 luglio 2011, Sez. lav. – Pres. Lamorgese, Est. Mancino - PM Gaeta – Parz. Diff.  – P.R.A. (avv.ti Caruso e Siracusa) c. Poste Italiane Spa (avv. Trifirò).

 

Lavoro temporaneo tramite agenzia – Difetto di indicazione dei motivi – Eccessiva genericità – Lettura unitaria della fattispecie a natura complessa – Collegamento negoziale dei diversi contratti ed interdipendenza funzionale degli stessi – Autonoma rilevanza del collegamento negoziale – Consapevolezza dell’utilizzatore del nesso teleologico tra i diversi atti negoziali - Necessità di indicazione specifica della causa negoziale -   Onere della prova a carico dell’utilizzatore -  Violazione art. 1, comma 2, lett. a,  legge n. 196/1997 – Violazione dell’art. 10, comma 1, legge n. 196/1997 – Violazione legge n. 1369/60 - Instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore.

 

Il rapporto interinale quale fattispecie complessa voluta dal legislatore per attenuare il precedente impianto di divieto di intermediazione deve essere interpretato secondo una lettura unitaria dei rapporti tra i soggetti della complessa fattispecie, in considerazione del collegamento negoziale che non può non sussistere tra la causale del rapporto di fornitura ed il rapporto di lavoro temporaneo intercorso tra l’utilizzatore ed il prestatore di lavoro. Al fine della legittimità del rapporto, unitariamente considerato, occorre verificare la persistenza di tale causa giustificatrice che deve passare attraverso la prova, incombente sull’impresa utilizzatrice, della sussunzione del rapporto di lavoro temporaneo nei casi previsti dalla contrattazione collettiva.

 

III

 

Corte di Cassazione n. 15610, 15 luglio 2011, Sez. lav. – Pres. Foglia, Est. Berrino –   PM Attilio – Conf. - R. E. (avv.ti Afeltra e Zezza) c. Poste Italiane Spa (avv. Trifirò).

 

Lavoro somministrato - Lavoro somministrato a tempo determinato – Difetto di indicazione dei motivi – Eccessiva genericità – Necessità di verifica della effettiva esistenza delle esigenze -  Onere della prova a carico dell’utilizzatore -  Violazione art. 20, quarto comma, D.Lgs. n. 276/03 – Violazione art. 27, D.Lgs. n. 276/03 – Costituzione di un  rapporto di lavoro alle dipendenze dell’azienda utilizzatrice.

 

L’art. 20, quarto comma, D.Lgs. n. 276/03 introduce una causale ampia, non legata a specifiche situazioni tipizzate dal legislatore o dal contratto collettivo che deve esser interpretata nel senso che la medesima deve consentire la puntuale verifica della effettiva esistenza delle esigenze alle quali si ricollega l’assunzione del singolo dipendente allo scopo di escludere il rischio di ricorso abusivo a forme sistematiche di sostituzione del personale, atte a mascherare situazioni niente affatto rispondenti a quelle contemplate dalla norma di cui all’art. 20, comma 4, D.Lgs. 276/2003, o se non addirittura il rischio del superamento del limite rappresentato dalla necessità che non siano perseguite finalità elusive di norme inderogabili di legge o di contratto collettivo, atte ad integrare l’ipotesi sanzionata della somministrazione fraudolenta.

 

 

I – III. La questione della genericità della causale nei rapporti di lavoro temporaneo e di somministrazione: discipline a confronto nella interpretazione della Cassazione.

 

SOMMARIO: 1. - Considerazioni preliminari. – 2. - La necessaria specificazione delle causali nei contratti di fornitura e di prestazioni di lavoro nell’interpretazione della Corte di Appello di Torino – 3. - La visione unitaria della fattispecie negoziale complessa del lavoro temporaneo nella interpretazione della Cassazione: la specifica indicazione della causale del contratto quale presupposto di legittimità del rapporto.- 4.- Il nesso teleologico tra i diversi atti negoziali: l’interdipendenza funzionale del collegamento negoziale che realizza la fattispecie unitaria. – 5. -  Sulle conseguenze sanzionatorie. La novazione soggettiva e oggettiva del contratto di lavoro temporaneo che comportano l’instaurazione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore. – 6. -  La puntuale verifica della esistenza delle esigenze richieste per la somministrazione e l’onere della prova incombente sulla società utilizzatrice.

 

 

– Considerazioni preliminari - Le sentenze in commento, in particolare le due dei giudici di legittimità, assumono particolare importanza in quanto consentono di effettuare un primo bilancio in merito all’interpretazione della Corte di Cassazione sulle due differenti fattispecie del lavoro temporaneo e della somministrazione di lavoro.

Due tipologie contrattuali che, in un certo senso, secondo l’impostazione del legislatore del 2003, dovrebbero essere l’evoluzione una dell’altra. Infatti, è stata mantenuta anche nella disciplina stabilita dal D.Lgs. n. 276/03 la precedente costruzione giuridica di una fattispecie negoziale complessa che si realizza con due diversi rapporti contrattuali: il primo di tipo commerciale, tra utilizzatore e agenzia di fornitura di lavoro, il secondo tra questa ultima ed il prestatore di lavoro.

L’indagine dei giudici, al fine di accertare l’elusione o no della legge, si incentra particolarmente sull’elemento causale dei singoli negozi (quello commerciale e quello per la somministrazione di lavoro) i quali, sin dalla stipulazione, devono giustificare le ragioni poste alla base del rapporto stesso.   

Le sentenze esaminano quindi il collegamento funzionale tra i due contratti che, sebbene distinti tra loro, sono tuttavia eziologicamanente ed intrinsecamente connessi, tanto da rappresentare un unicum che completa la fattispecie giuridica.     

I giudici, in tale prospettazione unitaria, affrontano anche la questione della genericità delle ragioni indicate nei contratti di lavoro, con distinte argomentazioni che, tuttavia, nonostante la diversità delle due fattispecie (interinale e somministrazione), prendono le mosse dal medesimo ragionamento decisorio enunciato dalle sentenze di merito sulle quali sono stati chiamati a pronunciarsi. 

La materia trattata da tutte e tre le sentenze in esame risulta sostanzialmente comune, in quanto la vicenda centrale è quella della necessaria specificazione delle ragioni nei contratti di lavoro la cui mancanza e/o genericità può determinare la trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.

La giurisprudenza di merito in precedenza è già intervenuta su tale problematica con determinazioni in un certo senso speculari a quelle utilizzati dalla giurisprudenza per la fattispecie dei contratti a termine.[1]  

Nella presente nota si approfondiranno quindi i due temi principali oggetto delle decisioni in commento: il primo, se la genericità delle causali infici o no la legittimità del rapporto stesso, come già accade negli orientamenti consolidati della giurisprudenza per i contratti a tempo determinato; il secondo, quale sia il tipo di violazione che si realizza per tale mancanza e se la medesima consenta o no la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’utilizzatore.     

Occorre segnalare che le due fattispecie giuridiche (lavoro temporaneo e lavoro somministrato a tempo determinato) sono disciplinate da norme che prima facie - se ci si limita alla semplice lettura degli articoli che per ogni singola fattispecie stabiliscono i requisiti che devono essere indicati nei contratti di lavoro[2] - non sembrano prevedere, quale specifica violazione di legge, quella di una puntuale specificazione dei motivi posti alla base del lavoro temporaneo o del lavoro somministrato a termine.

Una tale costruzione giuridica che, appunto, ritiene che le clausole contrattuali poste alla base dell’assunzione debbano essere puntualizzate, come è infatti accaduto anche per i contratti a tempo determinato, risulta il frutto di un’elaborazione giurisprudenziale.[3]

La peculiarità del ragionamento prospettato dalla giurisprudenza in esame risiede proprio nel non essersi soffermata ad una lettura superficiale della singola norma, ma nell’aver valutato interamente la complessa fattispecie sia del lavoro temporaneo che di quello di somministrazione a tempo determinato, tenendo conto di quale fosse la ratio legis ispiratrice delle norme stesse.

 L’approfondimento da parte dei giudici della normativa d’insieme che, al fine di comprendere l’effettiva volontà del legislatore, ha valorizzato il collegamento funzionale tra le varie disposizioni, dimostra una particolare attenzione a quello che ormai può essere considerato uno dei princìpi cardine della legislazione del lavoro: l’instaurazione di rapporti contrattuali flessibili deve essere valutata con particolare rigore, per evitarne l’abuso a scapito della tipologia contrattuale principale, ovvero il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.       

 

2.- La necessaria specificazione delle causali nei contratti di fornitura e di prestazioni di lavoro nell’interpretazione della Corte di Appello di Torino –  La sentenza Corte di Appello del 25 maggio 2011 affronta la questione della specificità delle ragioni indicate nei contratti di fornitura e di prestazioni di lavoro temporaneo.

In tal senso, i giudici di secondo grado, come d’altronde avevano già fatto altre decisioni di merito, elevano a principio sistematico quello della necessaria e oggettiva puntualizzazione della causali contrattuali <<nell’ottica di prevenzione dal rischio di un abusivo ricorso allo strumento eccezionale del lavoro interinale>>.[4]

Secondo la Corte di Appello di Torino che si commenta, infatti, l’indicazione <> individuata nella causale di entrambi i contratti (sia di fornitura che di prestazioni), risulta del tutto generica a fronte di un contratto collettivo che prevede differenti ipotesi, peraltro alternative, di ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo.

Secondo il Collegio torinese il generico contenuto dei contratti stessi non consente di stabilire quale, tra le diverse ipotesi previste dal ccnl, sia quella che effettivamente giustifichi l’assunzione temporanea <>.

La sentenza della Corte di Appello di Torino conferma quindi l’orientamento giurisprudenziale della <> a cui deve collegata la <> sulla base di quanto stabilito dall’art. 3, terzo comma, lett. a) della legge 196/97, che impone di indicare nel contratto di  lavoro  <>.[5]  

I giudici torinesi concludono il proprio ragionamento affermando che l’indicazione dei motivi del ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo <<è necessariamente collegata alla possibilità  di controllarne il contenuto degli stessi, possibilità questa che a sua volta implica che il potere esercitato dall’impresa utilizzatrice non è incondizionato ma è sottoposto a presupposti che ne consentono l’esercizio e la cui sussistenza nel caso concreto deve poter essere sottoposta a controllo giudiziale ex post».

      Sulla base di tale iter argomentativo la Corte torinese conclude affermando che l’indicazione dei motivi deve essere sufficientemente determinata al fine di consentire un concreto accertamento degli stessi in sede giudiziale, qualificando così la <> quale <>.   

 

La visione unitaria della fattispecie negoziale complessa del lavoro temporaneo nella interpretazione della Cassazione: la specifica indicazione della causale del contratto quale presupposto di legittimità del rapporto - Occorre preliminarmente evidenziare che in realtà la Corte di Cassazione nel 2008 era già intervenuta sul lavoro temporaneo, con una sentenza non scevra di critiche da parte della stessa giurisprudenza di merito.[6]

In tale orientamento i giudici di legittimità avevano ritenuto che l’accertata genericità delle motivazioni indicate in entrambi i contratti (di fornitura e di prestazione di lavoro) non consentirebbe la conversione del rapporto a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice, potendosi applicare esclusivamente la sanzione di cui all’art. 10, comma 1, della legge n. 196/1997, in virtù del quale si determinerebbe solo una novazione soggettiva di quel rapporto di lavoro con l’impresa utilizzatrice.[7]

Nelle sentenze in commento la Corte di Appello di Torino e la Corte di Cassazione n. 14715 del 5 luglio 2011 affrontano nuovamente tali tematiche, con differenti interpretazioni.

La prima, quella del Collegio torinese, conferma l’orientamento giurisprudenziale  formatosi successivamente alla decisione di legittimità del 2008 (rappresentato sostanzialmente dalle Corti di Appello di Milano e Torino),  ove è stato affermato, contrariamente alla tesi della Suprema Corte, che nel rapporto di lavoro temporaneo i contratti di lavoro hanno natura “ontologicamente casuale”. In tali contratti, quindi, devono essere necessariamente specificate le ragioni che giustificano le prestazioni la cui mancanza o genericità deve essere considerata una violazione di legge che comporta la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore.  

La seconda invece, quella della Cassazione del luglio 2011, amplia le argomentazioni della sopra citata Corte di Appello di Torino, prospettando una diversa soluzione rispetto alla problematica delle violazioni della legge 196/97 a fronte della genericità delle ragioni indicate nei contratti di lavoro.[8]  

   La Corte di Cassazione oggetto di nota, infatti, nella ricostruzione logica sistematica della fattispecie del lavoro temporaneo, <> sulla valorizzazione del criterio dell’imprescindibile collegamento funzionale esistente sia tra i soggetti che compongono il rapporto sia tra i due negozi giuridici che completano la fattispecie.

Afferma la Corte di Cassazione in esame che il rapporto interinale <<è una fattispecie complessa voluta dal legislatore per attenuare il precedente impianto di divieto di intermediazione>>. Proprio sulla base di tale presupposto che occorre valutare in quale modo sia consentito intraprendere legittimamente un percorso più flessibile senza incorrere in violazioni di legge.

La sentenza della Cassazione appare al riguardo rilevante in quanto, nel principio di diritto che espone, predilige e prospetta una <> del rapporto di lavoro temporaneo, al fine di superare una <> del medesimo in realtà  <>.

Sulla base di tale <> i giudici di legittimità superano ma non <> le argomentazioni della impugnata decisione della Corte di Appello di Milano, secondo cui la generica indicazione della causali nei contratti di lavoro viola la disposizione dell’art. 3, comma 3, lett. a) L. 196/97).[9]

Secondo la Corte di Cassazione in esame, il principio adottato dai giudici di appello non coglie pienamente nel segno avendo i medesimi non adeguatamente interpretato la valenza della norma posta alla base della propria esposizione.

In sintesi, per la decisione in commento, l’errore nasce dall’aver considerato l’art. 3, comma 3, lett. a), l. 196/97, quale <> con l’art. 10, secondo comma. Va dato conto che tale esegesi della Corte di Appello milanese trova la giustificazione nel tentativo  di superare la mancata previsione nell’art. 1, comma 5, della specifica indicazione delle causali del contratto di fornitura quale requisito formale ed essenziale della fattispecie.

Tenuto conto di tale mancanza di “collegamento” tra le due norme, i giudici milanesi hanno ritenuto che l’art. 3, comma 3, lett. a), L. 196/97, rappresenterebbe invece lo <>, visto che proprio tale norma stabilisce quale requisito l’indicazione dei motivi del ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo.[10]        

La sentenza della Cassazione del 5 luglio 2011, interviene su tale argomentazione giuridica ritenendola <> rispetto al quadro normativo d’insieme ove, nella fattispecie complessa qual è il rapporto di lavoro interinale, l’art 10 della legge 196/97 è la norma che i giudici di merito avrebbero dovuto porre alla base del loro ragionamento la quale, espressamente, coinvolge l’utilizzatore nella <> voluta dal legislatore. Tale prospettazione, sempre secondo i giudici di legittimità, è rafforzata anche dalla <> che chiama a responsabilità diretta l’impresa utilizzatrice.

La Cassazione si sofferma quindi su tale norma per rafforzare il principio della <> dei rapporti tra <>.

La Suprema Corte poi, dopo tale premessa, ritiene che al fine della legittimità del rapporto, unitariamente considerato, occorre verificare <> che deve passare attraverso la prova, incombente sull’impresa utilizzatrice, della <>.    

Solo rispettando tale principio potrà ritenersi mantenuta la <> ovvero evitare il ricorso a forme elusive del divieto di intermediazione di manodopera.

Secondo i giudici di legittimità, quindi, deve ritenersi rispettata la finalità della legge sul lavoro temporaneo, che consente appunto di attuare lo schema meno rigido (quello della L. 196/97) rispetto a quello derogato (L. 1369/60), solo quando si è in presenza di <>. Quel che deve essere verificabile, sempre secondo la Cassazione, è <<l’interdipendenza funzionale>> dei due contratti, quello di fornitura e quello di prestazioni temporanee, che è volta a realizzare una <<finalità pratica unitaria>>.

 

- Il nesso teleologico tra i diversi atti negoziali: l’interdipendenza funzionale del collegamento negoziale che realizza la fattispecie unitaria. - La sentenza della Suprema Corte è interessante in quanto afferma un principio che risulta intrinsecamente connesso alla ratio legis della cosiddetta interdipendenza funzionale dei due diversi negozi. Sostengono i giudici che in realtà il contratto di prestazioni di lavoro (come d’altronde quello di fornitura) deve considerarsi concluso allo scopo di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità delle prestazioni del lavoratore.

   Conseguentemente, tale contratto deve essere necessariamente noto all’utilizzatore, in quanto le ragioni ivi indicate devono essere le medesime che giustificano quello di fornitura,  così che quest’ultimo non possa <> dietro ingiustificate situazioni di comodo, adducendo ad esempio una propria estraneità rispetto al contenuto formale delle motivazioni di tale contratto, in quanto predisposto dal fornitore.

Una tale prospettazione giuridica, allo stato non trova più alcuna giustificazione visto il  <> della Cassazione che finalmente chiarisce, con la tesi del collegamento funzionale dei due contratti, l’assurdità di una ricostruzione interpretativa con la quale l’utilizzatore deduce la propria estraneità rispetto alla mancata e/o generica formulazione delle ragioni indicate nel contratto di prestazioni di lavoro, poiché predisposto dal soggetto fornitore.

Tale <> tra i due negozi acquisisce in questo modo autonoma rilevanza giuridica in base proprio al principio secondo cui  - e non potrebbe essere altrimenti –  le <>.

Questa consapevolezza è essenziale e giustifica la causa stessa del rapporto e del contratto, rappresentando, in sostanza, uno degli elementi essenziali che supportano geneticamente la prestazione flessibile derogante  rispetto alla fattispecie tipica derogata.

Affermare, di contro, che il contratto di prestazioni di lavoro non sia parte essenziale di tale collegamento funzionale sarebbe contrario alla volontà del legislatore che presuppone un rapporto negoziale unitario che, infatti, qualifica la fattispecie contrattuale (unica) e coinvolge appunto a responsabilità diretta l’impresa utilizzatrice. In virtù di tale principio quest’ultima, quindi, non potrà <> di non conoscere <<l’interdipendenza funzionale>> di tale collegamento negoziale.

In ragione di tale iter argomentativo la sentenza dei giudici di legittimità ha affermato che l’indicazione dei motivi del ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo richiesto dall’art. 3, comma 3, lett a), ha una <>.

Necessariamente, concludendo il ragionamento della Suprema Corte sul punto, il contenuto del contratto di prestazioni temporanee <>.

 

5.- Sulle conseguenze sanzionatorie. La novazione soggettiva e oggettiva del contratto di lavoro temporaneo che comportano l’instaurazione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore- La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento,  ritiene che la causale generica comporti la violazione dell’art. 10, legge 196/97 per cui il contratto di lavoro con il fornitore interposto si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore interponente (v. art. 1 l. 1369/60).   

Il principio è importantissimo in quanto chiude, si spera definitivamente, la querelle apertasi in dottrina e giurisprudenza a seguito della summenzionata sentenza della Cassazione del 2008 che, sul punto, aveva invece ritenuto che in conseguenza di tale citata violazione fosse possibile configurare unicamente la conversione del rapporto a tempo determinato con l’utilizzatore.[11]

 La questione nasce dalla circostanza per cui l’art. 10, secondo comma, legge 196/97, prevede l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore solo nelle ipotesi specifiche della mancanza di forma scritta del contratto e protrazione del rapporto oltre il termine di dieci giorni dalla naturale scadenza.

Secondo il precedente indirizzo della Cassazione (quello del 2008) si avrebbe una conversione ex lege di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice solo nei summenzionati casi, come espressamente richiamati dalla norma di legge.

Il tema su cui si verte con la presente nota è quindi quello della eventuale estendibilità della  sanzione prevista dall’art. 10, primo comma (e, conseguentemente, la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto con l’utilizzatore), anche a fattispecie differenti rispetto a quelle stabilite dal secondo comma dell’art. 10.

Nel caso di specie, la decisione della Cassazione che si commenta opta (sulla scia del consolidato orientamento della giurisprudenza di merito posteriore alla precedente sentenza di Cassazione del 2008), per la risoluzione secondo cui la sanzione dell’instaurazione del rapporto a tempo indeterminato, prevista dal secondo comma, debba rinvenirsi anche nell’ipotesi di cui al primo comma art. 10 della legge 196/97, che pone in essere <>.   

A parere dei giudici di legittimità tale <>, nell’intenzione del legislatore, non può avere altro significato che <>.

Secondo la Suprema Corte al tempo di vigenza della legge 1369/60 <>  e, necessariamente, nel caso di accertamento di interposizione di manodopera fraudolenta la legge realizzava una sostituzione soggettiva del reale datore di lavoro interponente rispetto a quello fittizio interposto mediante l’instaurazione di un rapporto di lavoro e tempo indeterminato <>.  

Affermano ancora i giudici di legittimità che la sanzione dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato non può essere preclusa al lavoratore perché la medesima è stabilita solo dal secondo comma art. 10, legge 196/97, ovvero nel caso di mancanza della forma scritta dell’accordo. Secondo la Corte di Cassazione tale vizio risulta essere <> (poiché vizio formale), rispetto alla ben <<più grave>> (in quanto ingiustificata) <>.

La sentenza in esame conclude il proprio ragionamento affermando di non aderire al precedente orientamento della Cassazione del 2008 <>.[12] 

  

– La puntuale verifica della esistenza delle esigenze richieste per la somministrazione e l’onere della prova incombente sulla società utilizzatrice - La vicenda oggetto della sentenza della Cassazione n. 15610 del 15 luglio 2011, per alcuni versi, è speculare a quella fin qui esaminata sul lavoro temporaneo. Da un punto di vista prospettico, il tema di partenza è il medesimo in quanto anche in tale fattispecie la problematica riguarda il requisito della necessaria specificazione delle ragioni contenute in entrambi i contratti di lavoro (sia in quello commerciale che di somministrazione di lavoro).[13]

La questione appare di particolare rilievo poiché la Cassazione si pronuncia per la prima volta sul punto. Fino ad oggi la giurisprudenza di merito, con indirizzo maggioritario, si è espressa più volte sulla questione della necessaria specificazione dei motivi anche nei contratti di somministrazione a tempo determinato, richiamando in tal senso i precedenti giurisprudenziali sull’art. 1 del D.Lgs. 368/01, la cui disciplina è espressamente richiamata dall’art. 22, secondo comma, del D.Lgs. n. 276/03.[14]

Occorre comprendere, da un lato, se la decisione dei giudici di legittimità in relazione a tale prevalente indirizzo rappresenti un punto di rottura rispetto alle sentenze di merito o se, invece, ne confermi i principi ivi espressi; dall’altro, se vi siano punti di collegamento tra le due sentenze di Cassazione in esame, praticamente coeve, che nonostante la diversità di norme sulle quali sono state chiamate a pronunciarsi trattano un argomento sostanzialmente comune, nei termini sopra delineati.    

Ancora prima di entrare nel merito della sentenza di Cassazione in commento, appare opportuno, seppur brevemente, delineare le motivazioni di tale orientamento che possono essere riassunte nel principio di diritto espresso da un’altra recente sentenza della Corte di Appello di Bologna secondo cui, nel contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato, occorre procedere alla specificazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che legittimano il ricorso a tale fattispecie, con una descrizione che deve essere <<chiara, specifica e sufficientemente descrittiva delle stesse con la conseguenza che non possono essere ritenute legittime clausole di stile, puramente riproduttive del testo di legge o eccessivamente generiche perché prive di adeguata capacità descrittiva ed individuativa di tali ragioni, il tutto con specifico riferimento alla concreta fattispecie che giustifica la stipula di tale contratto>>.[15]

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di merito visto che il legislatore del 2003 ha previsto una causale ampia, generale e non predeterminata, le parti contraenti sono obbligate a puntualizzare le ragioni poste alla base del singolo contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato. La puntuale indicazione nel contratto dei casi e delle ragioni ha una sua specifica valenza in quanto una diversa soluzione ridurrebbe tale requisito ad una enunciazione meramente formale e priva di contenuto e rilevanza.[16]

La ragione dell’obbligo di precisazione, sempre secondo l’esegesi giurisprudenziale, trova il proprio fondamento giustificativo nella importante circostanza per cui il lavoratore somministrato ha il diritto, secondo le disposizione del D.Lgs 276/03,[17] di ricevere per iscritto dall’impresa somministratrice le informazioni previste dall'art. 21 la cui ratio, se non si vuol ridurre la stessa ad un inutile formalismo, non è altro che quella di consentire al lavoratore <>.[18] 

Tale premessa risulta opportuna per introdurre il tema della sentenza di Cassazione oggetto di nota, anche in considerazione della circostanza che, come per il lavoro temporaneo, anche per il lavoro somministrato deve necessariamente valutarsi <<l’interdipendenza funzionale>> dei due negozi, ovvero il contratto commerciale di somministrazione e quello di lavoro somministrato sottoscritto dal lavoratore.

 La decisione della Cassazione prende in esame l’art. 20, quarto comma, del D.Lgs. 276/2003 che indica appunto le ragioni che giustificano il rapporto di somministrazione, ovvero quelle di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferita all’ordinaria attività delle ragioni. 

Sul punto, i giudici di legittimità hanno affermato che  tale disposizione <> la quale deve esser interpretata nel senso che la medesima deve consentire la puntuale verifica <>.

Secondo la Corte di Cassazione in esame, quindi, l’attenzione dell’interprete deve concentrarsi non tanto sulla temporaneità o la eccezionalità delle esigenze richieste per la somministrazione quanto, piuttosto, sulla veridicità e fondatezza delle motivazioni indicate nella clausola contrattuale che devono risultare eziologicamente collegate all’assunzione del dipendente.

Tale indagine risulta essenziale allo scopo <>.

Ragiona ancora la Corte di legittimità osservando che tale esigenza di verifica è conforme al dettato normativo dell’art. 20 D.Lgs.276/2003, il quale, appunto, consente di deviare dal modello legale tipico (contratto a tempo indeterminato) sulla base di ragioni che concretamente consentano il ricorso alla somministrazione.

Secondo la Corte di Cassazione i giudici di appello hanno correttamente affrontato la questione ritenendo che, se da un lato, l’indagine dei magistrati non può estendersi al sindacato su valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, dall’altro, <>. La Cassazione ha quindi confermato il principio, più volte espresso in sede di merito, secondo cui è onere dell’utilizzatore dimostrare l’esistenza concreta delle ragioni indicate nel contratto di somministrazione e di lavoro somministrato.

Pertanto, alla luce della generica causale <>, la Cassazione ha ritenuto che la società non avesse dimostrato l’esigenza poiché non aveva offerto alcuna prova utile alla concreta e puntuale verifica dell’effettiva esistenza di tale causale, essendosi la stessa società limitata, in sede di costituzione in giudizio, a considerazioni generali sia sull’attività dell’ufficio in cui la lavoratrice è stata impiegata sia sulle assenze del relativo personale, richiamando, peraltro, una situazione solo in astratto prevista dalla contrattazione collettiva ai fini della deroga alle assunzioni a tempo indeterminato. In base a tale presupposto i giudici di legittimità hanno ritenuto che non sia stato soddisfatto l’onere probatorio posto a carico della società utilizzatrice.

Da tale prima pronuncia della Cassazione si evince (in ogni caso sulla falsariga di quanto affermato da un consolidato orientamento della giurisprudenza di merito relativa all’illegittimità ed irregolarità della somministrazione per la genericità delle causali indicate), la necessità di una puntuale indicazione delle esigenze sottese alle singole assunzioni.

Requisito questo che, anche se non espressamente richiamato dalla sentenza in esame, si deduce nell’iter logico della motivazione stessa in quanto, aver affermato che il datore di lavoro a fronte di una generica causale non ha dimostrato le esigenze, equivale a confermare la tesi per cui la causale, in ogni caso, deve esser specifica.

 Nel momento in cui tale causale risulti invece generica, come nel caso di specie, proprio per evitare ipotesi di somministrazioni fraudolente ed il rischio del ricorso abusivo di forme sistematiche di sostituzione del personale, occorre verificare puntualmente l’effettiva sussistenza delle ragioni il cui onere, secondo quanto espressamente stabilito dalla Cassazione, è totalmente a carico del datore.

Conseguentemente, ai fini della legittimità del rapporto di somministrazione, il datore non potrà limitarsi a richiamare nel contratto di lavoro semplicemente la causale prevista dalla contrattazione collettiva, in quanto tale generica enunciazione non è sufficiente di per sé a consentire la deroga alle assunzioni a tempo indeterminato.

 Il datore sarà tenuto, in ogni caso, ad offrire una prova rigorosa della ragione posta alla base della “singola” assunzione del lavoratore che consenta di accertare la reale sussistenza della causale.

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[1] Sul punto si rinvia al precedente della Corte d’Appello Torino, 20 gennaio 2010, con nota di M. Salvagni,  La natura ontologicamente causale del contratto di lavoro temporaneo, in q. Rivista, 2010, p. 682.

[2] Sulle norme del lavoro temporaneo che prevedono l’indicazione delle ragioni  si confrontino le diverse formulazioni dell’art. 3, comma 3, lett. a) L. 196/97, secondo cui tra gli elementi del contratto vi deve essere l’indicazione dei motivi di ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo (norma tuttavia alla quale non corrisponde una specifica sanzione) e poi dell’art. 1, comma 5, ove invece non è stabilito che nel contratto di fornitura debba esservi l’indicazione dei motivi posti alla base dell’assunzione. Per quanto riguarda, invece, le norme sulla somministrazione di lavoro, si veda  l’art. 20, quarto comma, del D.lgs. 276/2003, che indica appunto le ragioni che giustificano il rapporto di somministrazione, ovvero quelle di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferite all’ordinaria attività delle ragioni.

[3]  In merito, per quanto riguarda la necessaria specificazione della ragioni nei contratti di lavoro temporaneo, si rinvia al precedente Corte d’Appello Torino, 20 gennaio 2010, op. cit.. Sulla specifica indicazione dei motivi nei contratti di somministrazione, da ultimo, si veda, Tribunale Roma, 18 ottobre 2010, in q. Rivista, 2011, 3, p. 430, con nota di M. Talarico, Somministrazione a termine e causali di assunzione: vizi formali e ripercussioni sull’utilizzatore.

[4] Sul punto si vedano: Trib. Milano, 09 novembre 2009, nonché Trib. Monza, 11 novembre 2005, in Riv. crit. dir. lav., gennaio marzo 2006, pp. 125 e ss..  

[5] Per una compiuta trattazione di tale tematica si veda: Corte d’Appello Torino, 20 gennaio 2010, op. cit..

[6] In tal senso, Corte d’Appello Torino, 20 gennaio 2010, op. cit.. In merito ad una interpretazione critica della sentenza di Cassazione, 1 febbraio 2008, n. 2448, si veda anche Corte d’Appello di Genova, 20 febbraio 2008, - Est. Haupt – in Riv. crit. dir. lav., pp. 525 ss., con nota di G. Cordedda, Novazione soggettiva e novazione oggettiva del rapporto di lavoro temporaneo nei casi previsti dall’art. 10 L. 24/6/97 n. 196.  

[7] Per un’analisi della sentenza di Cassazione, 1° febbraio 2008, n. 2448, si veda  Mass. giur. lav., 2009, 10, pp 1 ss.

[8] Sul punto, per completezza, occorre evidenziare che la Corte di Cassazione in commento è stata chiamata a pronunciarsi su una sentenza della Corte di Appello di Milano ove i princìpi espressi in materia di specificazione della causali sono speculari a quelli della Corte di Appello di Torino sempre oggetto di nota.

[9] Nella specie, il contratto di lavoro temporaneo indicava la seguente causale: “per sopperire ad un rilevante numero di assenze per malattia, ferie ed altro”. Tale ragione è stata ritenuta assolutamente generica dai giudici meneghini in quanto in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 3, comma 3, lette a) L. 196/97).

[10] Sulla tesi che considera l’art. l’art. 3, comma 3, lett. a), l. 196/97, quale <> con l’art. 10, secondo comma, si veda anche Corte d’Appello di Milano, - Rel. Ruiz – non pubblicata a quanto consta.  

[11] Sul tema, si rimanda a quanto già argomentato in nota a Corte d’Appello Torino, 20 gennaio 2010, op. cit..

[12] Per completezza di trattazione, si evidenzia che i giudici di legittimità per avallare la fondatezza della propria ricostruzione logico giuridica richiamano espressamente la sentenza della Corte Costituzionale n. 58 del 2006 che aveva dichiarato irragionevole e contrario al principio di tutela del lavoro l’art. 117, comma 1, legge n. 388 del 2000. Tale norma aveva sancito la trasformazione del contratto a tempo determinato invece che a tempo indeterminato quale sanzione prevista dal secondo periodo del comma 2 dell’art. 10, legge 196/97. Sul punto si veda Corte Costituzionale 16 febbraio 2006, n. 58, con nota di A. Zambelli, Più tutela al lavoratore interinale in assenza del termine contrattuale, Guid. lav.,n. 11, pp 12 ss.

[13] Nel caso si specie entrambi i contratti riportavano la medesima causale: <>.

[14] In merito a tale questione la giurisprudenza si è divisa in due interpretazioni: la prima, con indirizzo maggioritario, secondo cui le ragioni giustificative del ricorso alla somministrazione devono specificate nel contratto; in merito si vedano le seguenti sentenze:  Trib. Milano 24 gennaio 2007, in q. Riv., 2007, pp 681 ss.; Trib. Milano 4 luglio 2007, in Riv. crit. dir. lav., 2007, vol. II, pp 1094 ss.; Trib. Milano 28 marzo 2008, con nota di A. Vescovini, Il contratto a tempo determinato e somministrazione di lavoro: discipline a confronto, in Riv. crit. dir. lav., 2008, vol. III, pp 924 ss.;         Trib. Bologna, 8 febbraio 2008, con nota di I. Turco, La necessaria specificazione delle cause che legittimano il ricorso alla somministrazione di lavoro, in q. Riv., n. 4, 2008, pp. 947 ss; Trib. Milano, 30 gennaio 2009, in Riv. crit. dir. lav., 2009, pp 414. Per quanto attiene invece al secondo indirizzo, ovvero quello della non necessità di una puntuale indicazione delle ragioni nel contratto di somministrazione, si veda Trib. Bari, 03 novembre 2010, con nota d R. Gentile, Le ragioni della fornitura di manodopera tra requisiti formali e sostanziali del contratto di somministrazione, Arg. dir. lav., 2010, 787. 

[15] Corte di Appello di Bologna, 26 luglio 2011, a quanto consta non pubblicata, che fonda il proprio ragionamento decisorio <>. In senso conforme si veda anche Corte di Appello di Milano, 12 gennaio 2009, non pubblicata.

[16] Per una migliore comprensione del ragionamento decisorio della Corte di Appello di Bologna appare opportuno riportare qui in nota un passaggio fondamentale e chiarificatore della sentenza  <>.

[17] Sull’obbligo di informazioni si veda art. 21, 3° comma e art. 21, 1° comma lett. c) del D.Lgs. n. 276 del 2003.

[18] Corte di Appello di Bologna, 26 luglio 2011, a quanto consta non pubblicata.