Questioni interpretative sull’applicabilità dell’indennità ex art. 32, comma 5, del Collegato lavoro al lavoro temporaneo e alla somministrazione di lavoro

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.2/2013

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CASSAZIONE, 17 gennaio 2013, n. 1148, Sez. lav. – Pres. De Renzis, Est. Curzio – Poste Italiane Spa (avv. Trifirò) c. C.F. (avv. De Donno).

Conf. Corte d’Appello Milano 17 dicembre 2009

Lavoro temporaneo tramite agenzia – Instaurazione del contratto tra lavoratore e utilizzatore interponente – Illegittimità del contratto di fornitura – Conversione del rapporto a termine in lavoro a tempo indeterminato – Indennità ex art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, come autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 13, legge n. 92/2012.

 

In tema di lavoro interinale, la legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Ne consegue che l’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro e, quindi, l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo; inoltre, alla conversione soggettiva del rapporto si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal d.lgs. n. 368/2001 ai fini della legittimità del lavoro a tempo determinato tra l’utilizzatore e il lavoratore. In virtù di tale conversione, l’indennità prevista dall’art. 32 della legge n. 183/2010, nel significato chiarito dal comma 13 dell’art. 1 della legge n. 92/2012, trova applicazione anche al lavoro temporaneo, con riferimento quindi a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine termine illegittimo, e si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subìto dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a, della legge n. 196/1997, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione. (1)

II

CORTE D’APPELLO ROMA, 5 marzo 2013, n. 2142 – Pres. ed Est. Cannella – M.S. (avv. Serio) c. Poste Italiane Spa (avv. Maresca).

 Somministrazione di lavoro – Causali – Eccessiva genericità – Costituzione del rapporto tra lavoratore e utilizzatore interponente a tempo indeterminato – Indennità ex art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 – Non si applica.

 

In tema di lavoro somministrato va dichiarata l’illegittimità del contratto di lavoro intercorso tra la società utilizzatrice e il lavoratore per incoerenza della causale contrattuale ai sensi dell’art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 276/2003 rispetto alla mansione effettivamente svolta dal lavoratore e dichiarata la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le medesime parti, dall’inizio della somministrazione irregolare. (2)

III

TRIBUNALE ROMA, 21 febbraio 2013 – Est. Armone – Poste Italiane Spa (avv. Lipani) c. F.G. (avv. Rizzo).

Somministrazione di lavoro – Irregolarità della somministrazione per generica indicazione della causale – Risoluzione per mutuo consenso – Costituzione del rapporto tra lavoratore e utilizzatore interponente a tempo indeterminato – Indennità prevista dall’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 – Non si applica.

 

In tema di lavoro somministrato va dichiarata la nullità del contratto di lavoro intercorso tra la società utilizzatrice e il lavoratore in quanto l’indicazione della causale, pur generica, non può tuttavia ridursi a semplice formula di stile, meramente riproduttiva della norma di legge o della clausola pattizia. A seguito di tale annullamento deve essere costituito, ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. n. 276/2003, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra lavoratore e società utilizzatrice, dall’inizio della somministrazione irregolare con risarcimento del danno dalla data dell’offerta della prestazione lavorativa fino alla data della sentenza, non potendosi ritenere applicabile quanto previsto dal comma 5 dell’art. 32 della legge n. 183/2010. (3)

(1-3) Questioni interpretative sull’applicabilità dell’indennità ex art. 32, comma 5, del Collegato lavoro al lavoro temporaneo e alla somministrazione di lavoro

 Sommario: 1. Considerazioni preliminari. — 2. La tesi della Cassazione n. 1148/2013: l’illegittimità del contratto per genericità della causale nel lavoro temporaneo genera la conversione del rapporto preesistente con conseguente applicazione dell’indennizzo previsto dal Collegato lavoro. — 3. Segue: Conversione del rapporto preesistente o costituzione di un nuovo rapporto? Giurisprudenza a confronto sull’applicabilità dell’indennizzo ex art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010, al lavoro temporaneo e alla somministrazione di lavoro a termine. — 4. Segue: La novazione soggettiva e oggettiva del contratto di lavoro temporaneo (o di somministrazione di lavoro) che comporta la costituzione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore. — 5. Rilievi conclusivi: inapplicabilità dell’indennizzo ex art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, alle fattispecie del lavoro temporaneo e della somministrazione di lavoro a tempo determinato anche alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia europea dell’11 aprile 2013.

 

— Considerazioni preliminari — Le sentenze in commento offrono lo spunto per un primo bilancio dopo la sentenza della Cassazione del 17 gennaio 2013, oggetto di nota, che ha suscitato una querelle nella giurisprudenza di merito in ordine all’applicabilità o meno dell’indennizzo ex art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010. E, infatti, con indirizzo prevalente, la giurisprudenza sia di Tribunale che di Corte d’Appello si era già espressa a favore della tesi secondo cui, in caso rapporti di lavoro instaurati con contratti di lavoro temporaneo o di somministrazione di lavoro a termine, considerati irregolari o illegittimi, si dovesse applicare il risarcimento del danno di diritto comune e non il solo indennizzo previsto dal cosiddetto Collegato lavoro. Sul punto, l’esegesi giurisprudenziale si era attestata su due argomentazioni di ordine sistematico: da una parte, sull’interpretazione letterale del dato normativo ritenendo, infatti, che il comma 5 dell’art. 32 si riferisse solo al contratto a tempo determinato e, stante la natura eccezionale della norma, non fossero consentite interpretazioni estensive né, tanto meno, analogiche; dall’altra, che la norma riguardasse i soli casi di conversione del contratto a tempo determinato e non le diverse fattispecie del lavoro interinale e della somministrazione, ove la sanzione prevista è la costituzione di un nuovo rapporto e non la conversione di un rapporto già esistente.

In questa ultima ipotesi, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato veniva a instaurarsi ex novo, senza alcuna conversione, nei confronti di soggetto inizialmente estraneo al negozio giuridico, ciò determinando tout court l’inapplicabilità dell’indennizzo stabilito dal Collegato lavoro ([1]).

La recente sentenza della Suprema Corte n. 1148 del 2013 ha stravolto completamente tale orientamento ermeneutico mediante un’interpretazione analogica estensiva secondo cui le modalità di indennizzo stabilite dall’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, devono applicarsi anche ai contratti di lavoro temporaneo. Nella presente nota si proverà a delineare un primo resoconto di quale sia stato «l’impatto» di tale decisione sulla giurisprudenza di merito, per comprendere in quali termini quest’ultima abbia recepito tale nuova impostazione dei giudici di legittimità o, invece, abbia ritenuto più opportuno dare continuità all’indirizzo interpretativo già seguito in precedenza.

 

— La tesi della Cassazione n. 1148/2013: l’illegittimità del contratto per genericità della causale nel lavoro temporaneo genera la conversione del rapporto preesistente con conseguente applicazione dell’indennizzo previsto dal Collegato lavoro — La sentenza della Corte di Cassazione del 17 gennaio 2013, n. 1148, offre diversi spunti di riflessione circa l’interpretazione che i giudici di legittimità danno in ordine alla modalità con cui deve avvenire la trasformazione del rapporto di lavoro temporaneo dichiarato irregolare e, in particolare, circa l’applicabilità delle modalità di indennizzo stabilite dal comma 5 dell’art. 32 del Collegato lavoro.

La vicenda oggetto di tale decisione s’incentra sull’utilizzo di un lavoratore interinale in cui, sia in primo che in secondo grado, era stata accertata l’illegittimità del contratto di lavoro temporaneo per genericità della causale e, conseguentemente, stabilita la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato direttamente tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice.

La Cassazione, dopo aver ribadito il principio della illegittimità del rapporto temporaneo per la genericità della causale indicata nel contratto di fornitura, orientamento questo ormai da ritenersi consolidato in quanto già confermato in altre precedenti decisioni della Suprema Corte ([2]), ha ritenuto, tuttavia, applicabile al lavoro temporaneo a termine le disposizioni di cui all’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, sostenendo che la disciplina della trasformazione del rapporto contenuta nel lavoro temporaneo in caso di specifiche violazioni di legge fosse assimilabile a quella della conversione del contratto di lavoro a termine.

Per comprendere meglio il passaggio logico della Cassazione, occorre far riferimento a quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, nella valutazione delle motivazioni che determinano l’irregolarità o l’illegittimità di un rapporto di lavoro temporaneo a tempo determinato ([3]) o di una somministrazione a termine, si deve necessariamente tener conto della disciplina generale del contratto a termine ex d.lgs. n. 368/01, con conseguente applicazione analogica di alcuni princìpi di ordine generale, quali, ad esempio, la temporaneità delle ragioni poste alla base del rapporto e la necessaria specificazione della causale del contratto. Al fine di tale collegamento funzionale, l’orientamento giurisprudenziale sul punto ha sempre fatto riferimento all’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo n. 276/2003, il quale stabilisce infatti che, «in caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile». In concreto, proprio in base a tale disposizione, la giurisprudenza ha più volte ritenuto che vi fosse una sorta di sovrapponibilità della disciplina del contratto a termine all’istituto della somministrazione a termine.

L’interpretazione che la Suprema Corte dà dell’art. 32, comma 5, appare proprio fondarsi su questo collegamento funzionale, di tipo analogico, con riferimento a tutte quelle discipline che, in senso ampio, si considerano «a termine» e, pertanto, si verifica il fenomeno della conversione in senso lato. E infatti la Cassazione, menzionando sul punto le proprie prerogative nomofilattiche, ha sostenuto che la disciplina prevista dal comma 5 dell’art. 32, secondo cui «nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva…», debba «estendersi» anche al contratto per prestazioni di lavoro temporaneo previsto dall’art. 3, comma 1, lett. a, della legge n. 196/1997. E ciò sulla base di diversi motivi, come di seguito esposti.

In merito, i giudici di legittimità hanno affermato che il testo del comma 5 dell’art. 32 – quale formulazione unitaria, indistinta e generale – può ritenersi applicabile al lavoro temporaneo di cui alla legge n. 196/1997 purché a tempo determinato e, quindi, rientrante nei «casi» previsti dal richiamato comma 5. Come noto, infatti, secondo quanto stabilito dall’art. 1, comma 1, della legge n. 196 del 1997 il contratto di lavoro temporaneo è «il contratto con il quale l’impresa fornitrice assume il lavoratore: a) a tempo determinato corrispondente alla durata della prestazione lavorativa presso l’impresa utilizzatrice; b) a tempo indeterminato». Secondo la Cassazione, nel caso in cui ci si trovi di fronte a un contratto temporaneo a tempo determinato, questo può rientrare tra quelli previsti dalla disciplina di cui all’art. 32, comma 5, del Collegato lavoro riferendosi tale norma genericamente ai casi di «contratto a tempo determinato».

Osserva, inoltre, la Corte che, in materia di contratto a tempo determinato, si verifica la «conversione» del rapporto dichiarato nullo nella sola parte che appone la clausola del termine, secondo il meccanismo descritto dall’art. 1419, comma 2, del codice civile che stabilisce: «la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative». La legge impone, infatti, la nullità dell’intero contratto fintanto che la norma stessa non disponga diversamente; le clausole nulle, pertanto, sono sostituite ope legis dalla norma imperativa.

I giudici di legittimità, quindi, sempre a sostegno della tesi della conversione, hanno asserito che la legge n. 196/1997 già statuisce, in materia di contratto di lavoro temporaneo, all’art. 10, alcune previsioni di sostituzione automatica delle clausole contrattuali dichiarate nulle (ad esempio, avuto riguardo all’apposizione del termine piuttosto che alla forma scritta del contratto) consentendo, pertanto, la «conversione» di un contratto di lavoro temporaneo in un contratto valido. Riassumendo, la Corte di Cassazione, pur riconoscendo che la legge n. 196/1997 stabilisce, in caso di specifiche violazioni di legge, che il lavoratore «si considera» assunto a tempo indeterminato dall’impresa utilizzatrice, ha ritenuto, tuttavia, che tale concetto sia sussumibile a quello della conversione e non a quello della costituzione di un nuovo rapporto. La Cassazione ha concluso il proprio ragionamento decisorio affermando che, stante «l’ampiezza della formula utilizzata dal legislatore» nell’art. 32, è irrilevante che la conversione del contratto a tempo indeterminato sia preceduta «da una conversione soggettiva del rapporto»; e infatti, a parere dei giudici di legittimità, nell’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010 «l’espressione “casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato”, senza ulteriori precisazioni, non esclude, in conclusione, che il fenomeno di conversione possa avvenire nei confronti dell’utilizzatore effettivo della prestazione, né che possa essere l’effetto sanzionatorio di un vizio concernente il contratto di fornitura».

Il nodo centrale della questione, in sintesi, consiste proprio nella qualificazione in termini di conversione di un fenomeno che, in realtà, l’esegesi giurisprudenziale ha ritenuto, almeno sino alla sentenza che si annota, di natura costitutiva.

 

— Segue: Conversione del rapporto preesistente o costituzione di un nuovo rapporto? Giurisprudenza a confronto sull’applicabilità dell’indennizzo ex art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010, al lavoro temporaneo e alla somministrazione di lavoro a termine — La tesi della Cassazione sin qui esposta ha creato immediatamente una vera e propria disputa giurisprudenziale sulla opportunità o meno di estendere l’indennizzo ex art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010, anche alle diverse fattispecie del lavoro interinale e della somministrazione di lavoro a termine.

Nella presente annotazione si darà conto di quello orientamento di merito che ha ritenuto di discostarsi dalle motivazione ermeneutiche della Corte di Cassazione, ritenendole non condivisibili sotto diversi profili, che di seguito vengono analizzati.

L’interpretazione della Suprema Corte è stata, infatti, disattesa sia dalla Corte d’Appello di Roma, con la recente pronuncia n. 2142 del 5 marzo 2013, sia dal Tribunale di Roma, nella sentenza del 21 febbraio 2013, entrambe oggetto di commento. Tali sentenze, offrono valide argomentazioni per una lettura critica della sentenza n. 1148 del 2013 della Cassazione al fine di comprendere se, e fino a che punto, sia possibile – in caso di rapporto di lavoro temporaneo a tempo determinato (o, per analogia, di lavoro somministrato a termine) ritenuto irregolare o illegittimo – consentire la conversione di tale contratto o se, forse più appropriatamente, sia necessario parlare di costituzione di un nuovo rapporto di lavoro tra lavoratore e società utilizzatrice.

Sin da subito occorre evidenziare che tali pronunce non sono isolate e, per quanto consta (anche in virtù del breve lasso di tempo intercorso tra la sentenza di Cassazione del 17 gennaio 2013 e la redazione della presente nota), condivise da altre sentenze di merito sulle quali, per ovvie esigenze di spazio, non si potrà prendere posizione nel presente commento ([4]).

In entrambe le decisioni, sia il Tribunale sia la Corte d’Appello di Roma, hanno ritenuto configurabile non già la conversione di un rapporto esistente, bensì la costituzione di un rapporto ex novo, ex tunc, tra la società utilizzatrice e il lavoratore somministrato e, quindi, non applicabile il disposto di cui al comma 5 dell’art. 32.

Entrando nel merito di tali sentenze, occorre evidenziare che la decisione del Tribunale di Roma, che si commenta, si riferisce a due contratti di somministrazione a termine ove il secondo è stato dichiarato nullo dal giudice di prime cure nella parte relativa alla causale, ritenuta eccessivamente generica e meramente riproduttiva del testo di legge. Il giudice ha stabilito, come conseguenza della violazione, che il contratto deve ritenersi costituito ex tunc, a tempo indeterminato, tra la lavoratrice e l’impresa utilizzatrice. In questo caso, il Tribunale ha ritenuto non applicabile l’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 in quanto «l’irregolarità che determina la conversione attiene non già a un contratto di lavoro a tempo determinato, ma a un contratto commerciale intercorso tra la società utilizzatrice e la società di somministrazione» riguardando, di converso, l’art. 32 esclusivamente i contratti di lavoro a tempo determinato. Il giudice ha, così, fatto proprio quell’orientamento giurisprudenziale, sopra richiamato, secondo il quale, essendo il comma 5 dell’art. 32 un’eccezione rispetto al principio generale dell’integralità del risarcimento del danno, lo stesso non può essere applicato in via analogica.

Dello stesso tenore anche la citata sentenza della Corte d’Appello di Roma, emessa al termine di un giudizio volto a ottenere, da parte del lavoratore ricorrente, la riforma della sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Roma aveva respinto il ricorso diretto alla dichiarazione di nullità del rapporto di lavoro somministrato. La Corte d’Appello ha riconosciuto l’illegittimità del contratto di lavoro somministrato a termine, stabilendo la conseguente instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, con la società utilizzatrice. I giudici romani, quindi, hanno disatteso i princìpi espressi dalla Cassazione in commento, in tema di applicabilità dell’indennizzo ex art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010, sulla base delle seguenti considerazioni.

Secondo la Corte d’Appello romana, tale applicabilità va disattesa proprio in relazione al tenore letterale dell’art. 32 che, difatti, non ricomprende tra i casi di conversione quelli riferiti al contratto di lavoro temporaneo o alla somministrazione, evidenziando sul punto che, ove il legislatore abbia ritenuto opportuno ricomprendere tali rapporti, diversi dal contratto a tempo determinato, lo ha fatto espressamente ([5]). Da ciò consegue l’impossibilità di qualsiasi meccanismo di interpretazione estensiva, anche in ragione della diversità dell’istituto del contratto a termine rispetto a quello della somministrazione.

Nell’esposizione del proprio ragionamento a contrario rispetto a quello esposto dalla Cassazione, i giudici capitolini hanno ritenuto, inoltre, che il legislatore, nella formulazione del comma 5, dell’art. 32, non abbia «dimenticato» di inserire l’elencazione dei casi per cui è prevista l’applicazione dell’istituto della conversione (sottintendendo, con tale omissione, la generalità dei casi come affermato dai giudici di legittimità), ma che, in realtà, lo stesso abbia voluto che le regole sulla conversione del contratto fossero applicate soltanto ai contratti a tempo determinato in senso stretto ([6]).

Affermano ancora i giudici di secondo grado, a confutazione della impostazione interpretativa della summenzionata sentenza di Cassazione, che a «differenza della fattispecie prevista dal comma 5 della legge n. 183/10, nella somministrazione irregolare non si è in presenza di un contratto a tempo determinato che si converte in contratto a tempo indeterminato tra le stesse parti, ma di una diversa configurazione giuridica, rappresentata dalla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’utilizzatore, cioè del soggetto con il quale il prestatore non ha stipulato formalmente alcunché», citando, a sostegno della propria tesi, alcuni precedenti della Cassazione tra cui, la sentenza n. 6933 del 2012, che aveva espresso il concetto di «costituzione» del rapporto anziché quello di conversione, nonché la sentenza n. 15610 del 2011 che si era pronunciata in termini di «instaurazione» di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore.

Infine, secondo la Corte d’Appello di Roma, non appare convincente neppure il richiamo della Cassazione n. 1148/2013 all’articolo 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012, ove il legislatore ha stabilito che l’indennizzo ex art. 32 del Collegato lavoro, nel coprire integralmente i pregiudizi subiti dal lavoratore, comprensivi di tutte le mensilità di retribuzioni omesse sino alla pronuncia della sentenza, qualifica quest’ultima come «il provvedimento che abbia ordinato la ricostituzione del rapporto». A parere dei giudici di merito, il termine «ricostituzione» che nella rappresentazione ermeneutica della Suprema Corte avvalorerebbe «probabilmente» il concetto di conversione, non è condivisibile nell’accezione offerta dalla Cassazione, poiché «il prefisso “ri”, anteposto al sostantivo “costituzione”, però, parrebbe denunciare semmai che il legislatore abbia inteso riferire, anche nella norma interpretativa, l’art. 32, comma 5, ai soli casi in cui un rapporto, tra le stesse parti, fosse già in corso».

 

— Segue: La novazione soggettiva e oggettiva del contratto di lavoro temporaneo (o di somministrazione di lavoro) che comporta la costituzione del rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore — Le soluzioni interpretative enunciate dalla Cassazione, da un lato, e dalla Corte d’Appello e dal Tribunale, dall’altro, devono essere necessariamente lette alla luce di alcuni princìpi di diritto. Come sopra ricordato, l’art. 1419 cod. civ., comma 2, stabilisce, quale meccanismo di sanabilità del contratto, la conversione dello stesso attraverso la sostituzione automatica delle clausole contrattuali nulle nel caso in cui esistano norme imperative volte a regolamentare quell’aspetto del contratto inficiato da nullità; e ancora, l’art. 1424 cod. civ., in tema di conversione del contratto nullo, stabilisce che il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.

Ciò premesso, occorre verificare se, nel caso di dichiarazione di irregolarità o illegittimità del rapporto di lavoro temporaneo o di somministrazione a termine (o ancora di nullità di una delle clausole del contratto di fornitura o somministrazione), ci troviamo di fronte alla conversione del contratto nullo o, invece, dinanzi alla costituzione di un nuovo rapporto giuridico.

Per poter rispondere a tale quesito, è necessario tenere bene a mente la distinzione tra conversione del negozio nullo e novazione, sia essa oggettiva o soggettiva, di un negozio giuridico invalido; quest’ultima – come noto – si ha con la formazione di un nuovo negozio, per quanto possibile identico al precedente, ma senza il vizio che ne ha causato la nullità.

Come sopra accennato, nel diritto dei contratti, ad esempio, affinché vi sia conversione di un contratto nullo, è necessario: (i) che l’intero negozio che è stato stipulato sia nullo e per tale motivo inidoneo a produrre gli effetti tendenzialmente voluti dalle parti; (ii) che quel negozio, sebbene nullo, presenti un vero e proprio rapporto di continenza ([7]), vale a dire tutti i requisiti di sostanza e di forma corrispondenti a quelli di un diverso negozio idoneo a produrre gli effetti voluti dalle parti e (iii) che le parti, qualora al momento della conclusione del negozio nullo, fossero state consapevoli della nullità, avrebbero accettato di concludere, in luogo del primo, quel diverso negozio (valido) che sarebbe idoneo a produrre i suoi effetti.

Fatta tale premessa, appare utile sottolineare che, nel caso di conversione del contratto a tempo determinato, le parti del rapporto restano le medesime mentre, nel caso della somministrazione o del lavoro temporaneo a termine ritenuti invalidi, vi è la novazione soggettiva del rapporto con il soggetto utilizzatore, inizialmente estraneo al rapporto. Come noto, infatti, la disciplina sia del lavoro cosiddetto interinale che quella della somministrazione prevede il coinvolgimento di tre soggetti (il lavoratore, il somministratore e l’utilizzatore), collegati da due rapporti giuridici (contratto di fornitura o somministrazione tra somministratore e utilizzatore e contratto di lavoro subordinato tra somministratore e lavoratore). Benché legati dall’integrazione di distinti interessi economici, il lavoratore e l’utilizzatore, formalmente, non hanno alcun rapporto giuridico diretto ma l’uno usufruisce della prestazione dell’altro mediante il somministratore.

Visto lo schema legale tipico previsto dalla norma, non si comprende come si possa parlare di conversione nel caso di trasformazione di un rapporto di lavoro in cui vi sia la sostituzione soggettiva di una delle parti contrattuali (ovvero l’utilizzatore); tale sostituzione comporta la novazione soggettiva del rapporto e, pertanto, la costituzione di un nuovo rapporto giuridico tra il lavoratore e la società che ha utilizzato la prestazione lavorativa di questi.

Sul punto, si evidenzia che la giurisprudenza di merito e della Suprema Corte aveva già affermato, in merito al lavoro temporaneo (ciò sino alla sentenza di Cassazione n. 17 gennaio 2013 n. 1148), che in caso di accertata irregolarità o illegittimità del rapporto si applicavano tali conseguenze giuridiche: alla novazione soggettiva del rapporto (che da trilaterale diventa bilaterale), che discende dal rinvio operato alla legge n. 1369/60, conseguiva necessariamente anche la novazione oggettiva del contratto (che da tempo determinato si trasformava quindi in tempo indeterminato) ([8]).

L’illiceità dell’intermediazione è tale, infatti, da travolgere il rapporto di lavoro nel suo complesso per contrarietà della causa contrattuale a norme imperative di legge, con la conseguente nullità delle relative pattuizioni.

Al riguardo, occorre tener conto anche di una precedente interpretazione della Corte d’Appello di Genova ([9]) secondo cui il rinvio operato alla legge n. 1369/60 impedisce, per definizione, il rispetto della forma scritta richiesta dall’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 ai fini della valida apposizione del termine al contratto di lavoro. E, infatti, in caso in cui venga a mancare la causa legale del contratto di fornitura si ricade nell’ipotesi di interposizione vietata, con la conseguenza che il rapporto di lavoro deve essere direttamente imputato all’impresa ([10]).

Tale assunto risulta pienamente condivisibile in quanto, una volta accertata una della violazioni previste dalla legge di riferimento (lavoro temporaneo o somministrazione) si configura una illecita interposizione di manodopera che comporta il consolidamento del rapporto di lavoro tra utilizzatore e lavoratore. In tal senso, si richiama l’interpretazione della Corte d’Appello di Roma, oggetto di nota che, al fine di supportare il proprio ragionamento, richiama l’orientamento espresso in maniera prevalente dalla Suprema Corte ([11]) che, nel caso di irregolarità del lavoro temporaneo o della somministrazione a termine, qualifica la trasformazione del rapporto come «costituzione» e non «conversione». A ulteriore conferma di tale assunto, l’art. 27, comma 1, d.lgs. n. 276/03, chiaramente prevede che «quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a, b, c, d ed e, il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione».

 

— Rilievi conclusivi: inapplicabilità dell’indennizzo ex art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, alle fattispecie del lavoro temporaneo e della somministrazione di lavoro a tempo determinato anche alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia europea dell’11 aprile 2013 — In virtù di quanto fin qui argomentato, a parere di chi scrive, risulta maggiormente condivisibile la tesi sostenuta dalle sentenze di merito, in commento, secondo cui dalla declaratoria di invalidità o illegittimità di un rapporto di lavoro temporaneo (o di somministrazione di lavoro a termine) deriva la costituzione, e non la conversione, di un rapporto lavorativo con l’utilizzatore. Appare quindi più corrispondente alla volontà del legislatore, nella ricostruzione prospettata dalle citate sentenze di Tribunale e di Corte d’Appello, l’orientamento relativo alla non applicabilità del comma 5 dell’art. 32 del Collegato lavoro ai contratti di lavoro interinale o di somministrazione di lavoro a termine. Circa le conseguenze della trasformazione del rapporto, si evidenzia che l’irregolarità che determina la costituzione del rapporto con l’utilizzatore attiene, non già a un contratto di lavoro a tempo determinato, ma a un contratto commerciale intercorso tra la società utilizzatrice e la società di somministrazione. L’art. 32, comma 5, disciplina, invece, evidentemente i soli contratti di lavoro a tempo determinato e non i contratti di altro tipo, come è ricavabile da una lettura complessiva dello stesso art. 32 e della sua rubrica, dedicata infatti al «contratto di lavoro a tempo determinato». Del resto, la regola codificata nell’art. 32, comma 5, costituisce, come segnatamente affermato dalle sentenze in analisi, una significativa eccezione al principio di diritto comune della integralità del risarcimento del danno. Tale natura eccezionale ne impedisce un’applicazione analogica, come invece stabilita dai giudici di legittimità nella sentenza n. 1148 del 2013.

A conferma di quanto fin qui dedotto si evidenzia che vi sono due interpretazioni che possiamo definire in un certo senso «autentiche», stante l’autorevolezza della loro provenienza.

Da una parte, la sentenza n. 303/2011 della Corte Costituzionale proprio in ordine al citato art. 32 della legge n. 183/2010 e, dall’altra, la recentissima sentenza della Corte di Giustizia dell’11 aprile 2013 in materia di somministrazione di lavoro a termine.

Per quanto attiene alla sentenza del giudice delle leggi, occorre premettere come il Tribunale di Trani nella propria ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale avesse lamentato – tra l’altro – che «le norme censurate discriminerebbero una serie di lavoratori versanti in situazioni comparabili, ossia […] (1) i lavoratori assunti a termine rispetto ad altre categorie di dipendenti precari, aventi diritto alla ricostruzione del rapporto di lavoro, sia sotto il profilo retributivo che sotto quello contributivo, secondo le consuete regole generali; (2) i lavoratori assunti a termine con giudizio ancora pendente in primo grado nei confronti di coloro la cui causa penda in Appello o in Cassazione, essendo le nuove disposizioni applicabili esclusivamente ai primi».

Ebbene, quanto alla seconda causa di ingiusta discriminazione, la Corte l’ha ritenuta insussistente affermando come l’art. 32 si applichi anche per le controversie pendenti «in Appello o in Cassazione»; il giudice costituzionale, allora, ben avrebbe potuto affermare come nessuna discriminazione ricorra anche nei confronti di «altre categorie di dipendenti precari», ovvero quelle relative ai contratti a progetto, ai lavoratori interinali e ai lavoratori somministrati, in quanto anche a essi si applica l’art. 32. E invece, la Corte Costituzionale ha negato la discriminazione sostenendo come ai collaboratori a progetto e ai somministrati non si applichi l’indennizzo ex art. 32 del Collegato lavoro ma l’integrale tutela di diritto comune affermando: «quanto alle ulteriori disparità di trattamento segnalate dal Tribunale di Trani, esse risentono dell’obiettiva eterogeneità delle situazioni. E, infatti, il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (quella, appunto, appositiva del termine) non può essere assimilato ad altre figure illecite come quella, obiettivamente più grave, dell’utilizzazione fraudolenta della collaborazione continuativa e coordinata. Difforme è, altresì, la situazione cui dà luogo la cessione illegittima del rapporto di lavoro, laddove, nelle more del giudizio volto ad accertarla, il rapporto corre con il cessionario e la garanzia retributiva rimane assicurata. Altro ancora, infine, è la somministrazione irregolare di manodopera, quando un imprenditore fornisce personale a un altro al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge».

In merito sempre alla non applicabilità dell’art. 32 della legge n. 183/2010 alla fattispecie del lavoro interinale (e della somministrazione di lavoro a termine) si veda, da ultimo, la sentenza della Corte di Giustizia dell’11 aprile 2013, dalla quale ai punti 36, 37, 39, 40, 42 e 45 emerge, in breve, che i rapporti di lavoro a tempo determinato di un lavoratore interinale messo a disposizione di un’impresa utilizzatrice da un’agenzia di lavoro interinale non rientrano nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro e, pertanto, nemmeno in quello della Direttiva n. 1999/70.

Dall’analisi delle motivazioni di tale sentenza, che per esigenze di brevità non è possibile meglio approfondire, sembrerebbe che non si possano estendere, in via analogica, le norme sui contratti a termine, come stabilite dall’accordo quadro e dalla Direttiva n. 1999/70, sia alla somministrazione sia al lavoro interinale a termine. Tale interpretazione dei giudici di Lussemburgo potrebbe avere come riflesso una rivisitazione dell’esegesi giurisprudenziale che, in maniera prevalente, aveva ritenuto sino a oggi invece estendibili al rapporto di somministrazione alcune regole stabilite per il contratto a tempo determinato come, ad esempio, la temporaneità delle esigenze e la necessità di specificare le causali dei contratti interinali o di somministrazione, ciò anche in ragione della rilevante circostanza che le norme sul contratto a termine sono espressamente richiamate da alcune leggi nazionali, come il d.lgs. n. 273/03. In ogni caso, in base a una prima lettura di tale impostazione ermeneutica della Corte di Giustizia, sembrerebbe trovare una valida conferma l’orientamento fin qui esaminato delle sentenze di merito, oggetto di nota, in merito all’inapplicabilità dell’indennizzo del Collegato lavoro per quelle fattispecie diverse dal contratto a termine, proprio in ragione della natura eccezionale dell’art. 32, comma 5, che non consente, anche alla luce della citata sentenza Corte di Giustizia, interpretazioni estensive né, tanto meno, analogiche.

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[1]       ([1]) Tra le prime sentenze su tale questione: Trib. Milano, 2 dicembre 2010 – Est. Visonà –, in Riv. crit. dir. lav., 2010, p. 1041, in cui si prevede che, in caso di contratto di lavoro somministrato a termine illegittimo, quanto alle conseguenze economiche, non è possibile applicare l’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, poiché l’art. 27 del d.lgs. n. 276/2003 prevede la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, mentre l’art. 32, comma 5, legge n. 183, si applica alla conversione del contratto a termine. Per l’effetto al lavoratore spettano le retribuzioni maturate dal giorno della costituzione del nuovo rapporto fino al ripristino del rapporto. In senso conforme, ex plurimis, Trib. Roma 31 gennaio 2011, n. 1426 – Est. Calvosa. Dello stesso tenore, si vedano anche: Trib. Roma 17 febbraio 2011, n. 3040 – Est. Baroncini –; Trib. Roma, nn. 7776 e 7780 del 20 aprile 2011 – Est. Casari –; Trib. Roma 13 gennaio 2011, n. 344 – Est. Pagliarini –; Trib. Roma 24 maggio 2011, n. 10217 – Est. Ambrosi –; Trib. Napoli 8 febbraio 2011 – Est. Coppola –, tutte inedite a quanto consta.

[2]       ([2]) Sul punto si rinvia a Cass. 5 luglio 2011, n. 14715, in q. Riv., 2012, I, p. 78, con nota di M. Salvagni, La questione della genericità della causale nei rapporti di lavoro temporaneo e di somministrazione: discipline a confronto nella interpretazione della Cassazione. Sempre sulla questione della genericità della causale del lavoro temporaneo, si vedano anche le decisioni di Corte di Cassazione nn. 3037 e 3038 del 28 febbraio 2012, inedite a quanto consta, ove si afferma che in base a quanto disposto dall’art. 3, comma 3, lett. a, della legge n. 196 del 1997 «i motivi del ricorso alla assunzione di un lavoratore con contratto di lavoro temporaneo devono essere specificati» osservando in merito che «tale obbligatoria indicazione non può risolversi nel richiamo ai casi di cui è possibile la stipulazione del contratto di fornitura che sta a monte del contratto di prestazioni di lavoro temporaneo, perché altrimenti il legislatore non avrebbe richiesto la specificazione dei motivi in sede di contratto tra impresa fornitrice e lavoratore». Per una più completa analisi sulla questione si veda anche Corte d’Appello Torino 20 gennaio 2010, in q. Riv., 2010, p. 682, con nota di M. Salvagni, La natura ontologicamente causale del contratto di lavoro temporaneo.

[3]       ([3]) Sul punto, occorre tuttavia precisare che, dall’analisi della giurisprudenza sul lavoro interinale, non vi è un richiamo diretto delle norme sul contratto a termine, ciò anche in ragione della mancanza di uno specifico collegamento, o comunque, riferimento normativo (invece esistente nel d.lgs. n. 276/03 in tema di somministrazione di lavoro a termine), da cui possa farsi discendere un’applicazione analogica della disciplina del contratto a tempo determinato al lavoro temporaneo ex legge n. 196/97.

[4]       ([4]) Si segnalano le seguenti sentenze di merito, inedite a quanto consta, ove i giudici hanno ritenuto di discostarsi dai princìpi espressi dalla Corte di Cassazione nella decisione del 17 gennaio 2013, statuendo la non applicazione dell’indennizzo ex art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, al lavoro temporaneo e alla somministrazione: Corte d’Appello Roma 2 marzo 2013, n. 1126 – Est. Cannella –; Corte d’Appello Roma 21 marzo 2013, n. 1174 – Est. Zaccardi–, e, infine, Tribunale di Roma 6 febbraio 2013, n. 2087 – Est. Cerroni.

[5]       ([5]) Come, ad esempio, in tema di applicazione del termine decadenziale di impugnazione della cessazione del contratto, l’art. 32, comma 4, lett. d, cita espressamente «l’ipotesi prevista dall’art. 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276».

[6]       ([6]) In merito occorre evidenziare che tale soluzione interpretativa aveva trovato conferma anche in altri precedenti della Corte d’Appello, tra cui si segnala, per la completezza espositiva del ragionamento adottato, la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, a quanto consta non pubblicata, che, con sentenza del 26 luglio 2011, aveva affermato con chiarezza di ritenere «condivisibile e convincente quella opinione dottrinale e giurisprudenziale (v., ad esempio, Corte d’Appello Torino, Sez. lav., n. 569 del 2010; Trib. Napoli 5 febbraio 2011), secondo la quale esistono varie ragioni per escludere la applicazione di quanto previsto dal prec. art. 32 in presenza di un contenzioso in cui viene dedotta la illegittimità del contratto di somministrazione e che possono così riassumersi: la legge n. 183 del 2010, quando ha inteso riferirsi alla fattispecie del contratto di somministrazione, lo ha fatto espressamente, v. art. 32, comma 4, lettera d, a differenza di quanto previsto nella norma in esame; nella fattispecie del contratto di somministrazione con la proposizione di una azione volta a fare affermare la avvenuta instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato direttamente in capo all’utilizzatore non si insatura direttamente alcun rapporto di lavoro a tempo determinato tra tale utilizzatore e il prestatore di lavoro in quanto il contratto di lavoro subordinato (a termine o a tempo indeterminato) viene dal prestatore di lavoro direttamente concluso con il diverso oggetto rappresentato dalla impresa di somministrazione» concludendo poi sul punto che le conseguenze giuridiche della somministrazione irregolare sono disciplinate direttamente dall’art. 27 del d.lgs. n. 267 del 2003 e, pertanto, «non sembrano sussumibili nella figura della cd. conversione del contratto di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato nel caso di accertata illegittimità (per vizi formali o stanziali) di tale contratto». In senso conforme, si vedano anche la decisione della Corte d’Appello Torino n. 126 del 2 marzo 2011, inedita.

[7]       ([7]) Così Cass., Sez. II, n. 6004/2008, in Mass. giust. civ., 2008, 3, p. 367, nella quale si stabilisce che, per decidere se ricorra o meno la possibilità di conversione del contratto nullo, ai sensi dell’art. 1424 cod. civ., deve procedersi a una duplice indagine, l’una rivolta ad accertare la obiettiva sussistenza di un rapporto di continenza tra il negozio nullo e quello che dovrebbe sostituirlo e l’altra implicante un apprezzamento di fatto sull’intento negoziale dei contraenti, riservato al giudice di merito, diretta a stabilire se la volontà che indusse le parti a stipulare il contratto nullo possa ritenersi orientata anche verso gli effetti del contratto diverso (Nella specie, riguardante la cessione in uso perpetuo di posti auto all’interno di un condominio, convenuta tra due società di capitali, la Cassazione ha ritenuto difettare di motivazione la sentenza di Appello, per avere affermato che la durata del diritto d’uso andava ricondotta a quella massima di trent’anni dell’usufrutto a favore di persona giuridica, senza porsi il problema se le parti avessero o meno voluto tale diverso contratto).

[8]       ([8]) In tal senso, Cass. 5 luglio 2011, n. 14715, cit.

[9]       ([9]) Corte d’Appello Genova 20 febbraio 2008 – Est. Haupt –, in Riv. crit. dir. lav., 2008, pp. 525 ss., con nota di G. Cordedda, Novazione soggettiva e novazione oggettiva del rapporto di lavoro temporaneo nei casi previsti dall’art. 10, legge 24 giugno 1997, n. 196.

[10]    ([10]) Si veda Corte d’Appello Torino 20 gennaio 2010, op. cit.

[11]    ([11]) In tal senso, si veda Cass. 8 maggio 2012, n. 6933, in cui si afferma che «il rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore con effetto dall’inizio della somministrazione […] è un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Le ragioni di tale scelta ermeneutica sono state esposte in Cass. 15 luglio 2010, n. 15610. Nel farvi rinvio, deve aggiungersi una considerazione di ordine generale: se un contratto viene stipulato utilizzando un tipo contrattuale particolare in assenza dei requisiti specifici richiesti dal legislatore e la legge prevede come conseguenza dell’utilizzazione irregolare del tipo la costituzione di un rapporto di lavoro, senza precisare se a termine o a tempo indeterminato, nel silenzio del legislatore non può che valere la regola per cui quel rapporto di lavoro è a tempo indeterminato».