Il Tribunale di Roma, sez. Lav., con sentenza del 31.08.2024, ha accolto il ricorso promosso da una lavoratrice nei confronti di Baxter S.p.a. e, nel dichiarare la nullità del termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato e alla relativa proroga, ha convertito il rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condannato il datore di lavoro al pagamento di un’indennità ex art. art. 28 d.lgs. 81/2015 per n. 8 mensilità.
Nello specifico, il giudice ha ritenuto provato che, contrariamente a quanto indicato nel contratto a tempo determinato e nella sua proroga, la lavoratrice aveva svolto le mansioni indicate in tale contratto in modo discontinuo e marginale, svolgendo quindi mansioni significativamente diverse da quelle ivi indicate. ...
Con ordinanza dell'8 ottobre 2024, la Corte di cassazione, nel rigettare il ricorso proposto da una nota compagnia aerea, ha confermato l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato a una lavoratrice assistita dal nostro studio con la collaborazione della collega Ginevra Ammassari, già reintegrata nel proprio posto di lavoro dalla Corte di appello di Roma.
La vicenda processuale trae origine da un procedimento investigativo commissionato dalla società mentre la lavoratrice, infortunatasi sul posto di lavoro, era assente dal servizio: in particolare, le veniva contestato che alcune condotte extra-lavorative, quali guidare, fare la spesa, andare in bicicletta, etc., fossero «idonee anche potenzialmente a pregiudicare o, quantomeno, a ritardare la Sua guarigione e, quindi, la ripresa dell’attività lavorativa o incompatibili con lo stato di salute certificato dal medico dell’INAIL o, comunque, inidonee a determinare uno stato di incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza». ...
Il Tribunale di Roma, con la recentissima ordinanza del 14 settembre 2024, ha accolto la domanda della ricorrente, assistita dallo Studio legale Salvagni, madre single caregiver di quattro figli
minori di cui due affetti da disabilità, all’adibizione della stessa ad almeno tre turni di lavoro di mattina a settimana, al fine di far fronte alle esigenze dei propri figli.
In particolare, la lavoratrice, commessa in un negozio di calzature, aveva dedotto di essere stata discriminata dalla società datrice di lavoro in quanto madre di quattro figli, di cui tre minori e due disabili, e in quanto aveva fruito di un congedo straordinario per assistere il figlio disabile. ...
Il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, con la recente ordinanza del 30 aprile 2024, ha confermato, anche in fase di reclamo, le domande della lavoratrice, difesa dallo Studio Legale Salvagni, volte al riconoscimento delle proprie patologie quali rientranti nella nozione eurounitaria di disabilità ed incompatibili con lo svolgimento dell’attività lavorativa in presenza, rigettando il reclamo della società.
Il Collegio ha così confermato la condanna del primo giudice nei confronti del datore di lavoro ad attuare ogni “accomodamento ragionevole” per consentire alla lavoratrice, considerata disabile secondo la nozione eurounitaria in quanto affetta da una patologia che non le permette di recarsi ogni giorno a lavoro come gli altri dipendenti, di espletare la propria attività lavorativa in condizioni di uguaglianza con gli altri lavoratori.
I Giudici, infatti, hanno ritenuto che la fibromialgia, di cui è affetta la ricorrente, sia una patologia invalidante che non consente alla medesima di svolgere le proprie mansioni in presenza, al pari degli altri lavoratori. Patologia peraltro riconosciuta anche a seguito di CTU medico legale disposta dal Tribunale stesso nel corso del giudizio.
Conseguentemente il Collegio adito, in base alla nozione di disabilità eurounitaria, ha dichiarato che il rifiuto della società di consentire alla lavoratrice di svolgere la prestazione in modalità di telelavoro e/o lavoro agile configuri una discriminazione indiretta ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 216/2003. Ciò anche in considerazione del fatto che il perdurare della modalità di svolgimento della prestazione, prevalentemente in presenza, fosse idonea ad aggravare le condizioni di salute della lavoratrice.
In particolare, il Collegio ha affermato che “dal complesso delle suddette disposizioni emerge, dunque, che il datore di lavoro debba tenere in considerazione la situazione di svantaggio del lavoratore, adottando "soluzioni ragionevoli", idonee ad evitare una discriminazione indiretta che produca l'effetto di estromettere il dipendente disabile dal lavoro proprio a causa della sua disabilità”.
Peraltro, sempre a parere del Tribunale di Roma, la società “non è riuscita né a dedurre né a dare prova della sussistenza di ragioni aziendali ostative in merito alla adibizione della reclamata alla prestazione di lavoro agile, così come dalla stessa richiesto”.
I Giudici hanno conseguentemente confermato, anche in fase di reclamo, l’ordinanza impugnata dalla società, affermando che, proprio in ragione delle gravi menomazioni fisiche da cui risulta affetta la lavoratrice, la medesima “versi in una condizione di disabilità c.d. eurounitaria, che dunque determina una condizione di svantaggio sociale e lavorativo tale da renderla meritevole di un intervento da parte del proprio datore di lavoro finalizzato a realizzare accomodamenti ragionevoli per ristabilire una parità di trattamento fra i dipendenti”, condannando Poste Italiane ad adibire la lavoratrice al lavoro agile, con massimo quattro rientri mensili.