Causa patrocinata Studio legale Salvagni
Sentenza pubblicata su Wikilabour
Una lavoratrice assistita dallo studio Legale Salvagni instaurava presso il Tribunale di Latina un giudizio per far dichiarare l’illegittimità di in contatto a termine e della proroga con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato.
In particolare, il contratto a termine era stato stipulato in regime di jobs act mentre la proroga era stata sottoscritta dopo l’entrata in vigore del cosiddetto decreto dignità (e comunque anche dopo il regime transitorio per l’applicazione delle precedenti disposizioni del jobs act in tema di proroga).
Il giudice pontino, in prima battuta, ha ritenuto che la proroga stipulata in data 31.12.18 rientrava pienamente nella disciplina come modificata dal DL 87 del 2018 (decreto dignità) e, quindi, poiché superava i 12 mesi di durata del rapporto, non poteva essere acausale.
La sentenza, peraltro, prende posizione anche sulla tematica della mancata effettuazione della valutazione dei rischi da parte del datore, accogliendo il ricorso anche su tale aspetto affermando il principio, invero consolidato (sul punto è granitico l’orientamento della cassazione), che il datore di lavoro a fronte di una specifica eccezione di non aver provvederò alla valutazione dei rischi ha l’onere di fornire in giudizio la dimostrazione di aver effettuato in epoca anteriore alla stipula del contratto a termine tale adempimento in applicazione della normativa di tutela della salute sicurezza dei lavoratori.
Il Tribunale di Latina ha pertanto dichiarato illegittima l’assunzione a termine e la conversione del rapporto a tempo indeterminato sin dal primo contratto a termine, condannando la società alla riassunzione della lavoratrice nonché al pagamento di una indennità risarcitoria pari a sei mensilità.
Causa patrocinata dallo Studio legale Salvagni.
La Corte Di Appello di Roma, con sentenza del 19 luglio 2021, ha condannato la società AMA - AZIENDA MUNICIPALE AMBIENTE S.P.A. a riconoscere ad un suo dipendente il superiore 5° livello del CCNL per i lavoratori delle Aziende Municipalizzate di Igiene Urbana, nonché a corrispondere al medesimo tutte le differenze retributive maturate per il periodo oggetto di causa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
La vicenda riguarda un lavoratore inquadrato nel livello 3° del CCNL di settore, adibito per circa 10 anni a mansioni di elevato contenuto professionale tecnico/amministrativo nell'ambito delle attività relative alla c.d. Tari ed espletate dal medesimo con autonomia e discrezionalità di poteri.
La Corte Di Appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado del Tribunale che, valutando erroneamente il contenuto delle mansioni svolte dal lavoratore e la documentazione depositata in atti, aveva escluso la necessità di disporre l'indagine istruttoria.
La Corte di Appello, invece, dopo le testimonianze escusse nel corso del giudizio, ha accertato e dichiarato il diritto del lavoratore ad essere inquadrato nel superiore 5° livello sin dal 2011, oltre alle differenze retributive per tutto il periodo in cui il dipendente ha svolto le mansioni di 5° livello, nonché il superiore inquadramento anche per il futuro.
Causa patrocinata dallo Studio legale Salvagni.
Con ordinanza del 14 novembre 2021, il Tribunale di Latina, Sez. Lavoro, ha accolto il ricorso proposto da un dipendente della Slim Aluminium S.p.a. (già Hydro Aluminium S.p.a.) assistito dallo Studio legale Salvagni e avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento intimato per giusta causa. La società ha contestato al lavoratore alcuni addebiti disciplinari, motivando il recesso anche in ragione di una asserita «recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 9, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 9» del CCNL Metalmeccanica Industria. Prima del licenziamento, infatti, il lavoratore era già stato oggetto di diverse contestazioni disciplinari, sfociate in altrettante sanzioni di natura conservativa, la cui legittimità è stata, però, contestata dallo Studio Salvagni.
Nell’accogliere la tesi difensiva dello studio, il Tribunale pontino ha ritenuto di dover verificare la sussistenza di entrambi gli addebiti elevati al lavoratore, giacché espressamente richiamati dalla società resistente nel corpo della lettera di contestazione disciplinare, prima, e posti a fondamento del recesso, poi.
Tuttavia, all’esito istruttoria orale espletata, il giudice del Lavoro ha riscontrato l’infondatezza della prima contestazione disciplinare e, dunque, l’illegittimità di una delle sanzioni sospensive irrogate in passato al dipendente: venuto meno il presupposto della recidiva contestata, è altresì venuta a mancare la giusta causa posta a fondamento del licenziamento irrogato al lavoratore che, infatti, è stato dichiarato illegittimo giacché sproporzionato.
Pertanto, il Tribunale di Latina, nell’applicare la tutela prevista dal 5° comma, art. 18, St. Lav., ha condannato la società resistente a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria pari a 22 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto da ultimo percepita dallo stesso.
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Articolo su Rassegna di Diritto del Lavoro:
La Suprema Corte, con ordinanza del 08.02.2021, ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Roma che aveva dichiarato l’illegittimità del trasferimento di un lavoratore dipendente di Telecom Italia S.p.A. fruitore dei benefici ex L. 104/92.
La Corte di Cassazione, innanzitutto, in accoglimento della tesi difensiva dello Studio Salvagni, ha statuito in merito alla infondatezza dell’interpretazione prospettata dalla Società Telecom con riferimento all’art. 25, co. 5, del CCNL delle Telecomunicazioni, secondo cui le disposizioni del trasferimento non si applicherebbero in caso di spostamento nel medesimo comprensorio (nel caso, il comune di Roma). Ed infatti, secondo la Suprema Corte, i giudici di Appello hanno correttamente deciso laddove hanno escluso che le disposizioni del contratto Collettivo possano introdurre eccezioni alle tutele apprestate da norme inderogabili, quali l’art. 2103 c.c. e l’art. 33 L. 104/92, secondo cui il lavoratore che assiste il familiare disabile non può essere trasferito senza consenso.
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