Il Tribunale di Roma riconosce l’illegittimità del demansionamento professionale e condanna Telecom ad un risarcimento danni pari a 64.000 euro, per aver affidato ad una lavoratrice mansioni inferiori al livello di appartenenza.
È quanto accaduto il 20 giugno scorso con una nuova, importante sentenza, attraverso la quale viene confermato uno dei principi di dignità del lavoro e del lavoratore che lo studio Salvagni si è sempre impegnato a difendere: degradare un lavoratore a mansioni non corrispondenti al suo livello di competenza, produce un danno sulla persona sia di tipo professionale che morale.
La sentenza riconosce infatti alla lavoratrice anche il danno morale, definito come “una lesione alla propria personalità e dignità”,
confermando ancora una volta le criticità di un settore, il DAC, dove numerosi dipendenti Telecom continuano ad essere oggetto di una condotta del datore di lavoro più volte giudicata illegittima.
A distanza di tre anni appare oggi ancor più significativo l’importante causa condotta da questo studio nel 2014 [ Telecom ] quando, sulla base degli stessi principi, la Telecom fu condannata per aver trasferito decine di dipendenti in quello che è stato definito dalla giurisprudenza un “reparto ghetto”. La vicenda fu ripresa anche dagli organi di stampa nazionali che ne riconobbero subito la rilevanza giuridica e sociale, si veda ad esempio [ ilFattoQuotidiano ].
Ma sono ancora numerosissimi i lavoratori trasferiti negli anni che hanno svolto, e continuano a svolgere, mansioni inferiori rispetto a quelle del proprio livello di appartenenza. E moltissimi i contenziosi.
Fortunatamente i dipendenti che subiscono un demansionamento professionale, che sia di un livello, di due o, come è stato accertato in numerosi contenziosi del lavoro, molti dei quali patrocinati dall’avvocato Salvagni, addirittura di tre livelli, sono tutelati dal nostro ordinamento che, infatti, punisce con severità il datore di lavoro non soltanto per inadempimento contrattuale, ma anche per l’impoverimento personale e morale causato dall’impedire lo svolgimento “… di un’attività lavorativa confacente alla propria professionalità”.
Pertanto, anche alla luce degli ultimi riconoscimenti, possiamo affermare che è nel diritto di ogni lavoratore oggetto di dequalificazione, chiederne l’immediata cessazione con il conseguente risarcimento del danno subito, esattamente come accaduto nei casi precedenti a questa ultima sentenza di Giugno.
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Con la sentenza n. 5265/2016, pubblicata il 23 marzo 2017, la Corte d’Appello di Roma ha accertato, confermando in parte la sentenza di primo grado, il grave demansionamento perpetrato ai danni di un lavoratore di Telecom Italia per un periodo complessivo di circa sei anni. I giudici di Appello hanno condannato la società sia al risarcimento del danno professionale (parametrandolo sulla retribuzione mensile del lavoratore per tutto il periodo in cui lo stesso è stato dequalificato e pari a 6 anni) sia al risarcimento del danno biologico, ordinando alla Telecom di adibire il lavoratore a mansioni riferibili al VII livello.
Il caso riguarda la vicenda riguarda un dipendente Telecom, inquadrato al VII livello del CCNL di settore, che durante il rapporto di lavoro aveva svolto mansioni di progettazione e di responsabile della programmazione commerciale ma che, da una certa data in poi era invece stato adibito a mansioni di mera compilazione di fogli excel sui cui riportare dei dati e, in altri casi, assegnato alla distribuzione di elenchi telefonici; il lavoratore, inoltre, per lunghi periodi durante i 6 anni di dequalificazione era stato lasciato completamente inattivo e senza alcun compito da svolgere. Nel corso dei procedimenti, di primo e secondo grado, i giudici hanno accertato la rilevante differenza quantitativa e qualitativa tra le attività lavorative svolte prima del periodo contestato e quelle, poche e inconsistenti, riferibili alla dequalificazione professionale oggetto di causa.
A tal proposito, i giudici hanno quindi accertato il gravissimo e prolungato demansionamento subito dal lavoratore; tale condotta della società ha determinato un grave danno alla professionalità del dipendente che, anche considerando l’età anagrafica del medesimo e le modalità dell’avvenuto demansionamento, è stato calcolato sul parametro del 50% della retribuzione mensile percepita dal lavoratore e quindi determinando un risarcimento del danno moltiplicato per tanti mesi quanti sono stati quelli dell’accertata condotta illecita dell’azienda, (il tutto per un totale di 6 anni).
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Il Tribunale di Roma con ordinanza cautelare n. 123915/2016 ha disposto la sospensione dell’efficacia del trasferimento di una lavoratrice Telecom Italia S.p.A. e ordinato alla Società l’adibizione della medesima presso la sede di provenienza. Il ricorso d’urgenza veniva promosso dalla ricorrente a causa di un trasferimento della sede di lavoro, subito nonostante la medesima fosse affetta da grave patologia ritualmente certificata e per la quale aveva il riconoscimento della titolarità dei benefici previsti dalla legge n. 104/92, già dall’inizio dell’anno 2010. La vicenda vagliata dal Tribunale di Roma è di grande interesse perché affronta alcune questioni estremamente rilevanti ai fini della tutela del lavoratore in caso di trasferimento: il rapporto tra le tutele della legge 104/92 e il potere datoriale di trasferimento, affrontando anche la tematica della identificazione dell’unità produttiva. ...
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Il Tribunale di Roma con ordinanza cautelare n. 123915/2016, confermata anche in sede di reclamo, ha disposto la sospensione dell’efficacia del trasferimento di una lavoratrice Telecom Italia S.p.A. e ordinato alla Società l’adibizione della medesima presso la sede di provenienza. In questa complessa e delicata vicenda spicca con particolare evidenza la nozione di trasferimento che viene affrontata, ancora una volta, dalla giurisprudenza; la decisione del Tribunale di Roma è di straordinario interesse perché tocca un tema che potenzialmente riguarda, o potrebbe farlo, un numero elevatissimo di lavoratori. Il concetto di unità produttiva e la nozione di trasferimento sono fortemente in relazione tra loro e nulla stabilisce in più o in meno il contratto collettivo. ...