COLGATE PALMOLIVE ITALIA S.r.l CONDANNATA A RIASSUMERE IL DIPENDENTE PER CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE E CONDANNATA A RISARCIRE IL LAVORATORE PER OLTRE 130.000,00 €.

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con sentenza del 5 luglio 2018, n. 708, il Tribunale di Latina, sezione Lavoro, in accoglimento del ricorso promosso da un lavoratore nei confronti Colgate Palmolive Italia S.r.l., ha dichiarato l’illegittimità del contratto di somministrazione intercorrente tra le parti, riconoscendo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e condannando altresì l’azienda convenuta al pagamento di tutte le retribuzione maturate nelle more del giudizio, a far data, rispettivamente, da gennaio 2011, per una somma complessiva di oltre 130.000,00 €.

In particolare, il giudice del lavoro ha rilevato l’assoluta genericità della clausola contenuta nel contratto di somministrazione e, in quanto tale, inidonea a specificare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che, ai sensi dell’art. 20, D.Lgs. n. 276/2003, devono necessariamente sussistere al fine di legittimare la scelta dell’imprenditore di avvalersi di prestazioni svolte da lavoratori somministrati a tempo determinato. ...

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COLGATE PALMOLIVE ITALIA S.r.l CONDANNATA A RIASSUMERE IL DIPENDENTE PER CONTRATTI DI SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE E CONDANNATA A RISARCIRE IL LAVORATORE PER OLTRE 130.000,00 €.

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con sentenza del 5 luglio 2018, n. 708, il Tribunale di Latina, sezione Lavoro, in accoglimento del ricorso promosso da un lavoratore nei confronti Colgate Palmolive Italia S.r.l., ha dichiarato l’illegittimità del contratto di somministrazione intercorrente tra le parti, riconoscendo la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e condannando altresì l’azienda convenuta al pagamento di tutte le retribuzione maturate nelle more del giudizio, a far data, rispettivamente, da gennaio 2011, per una somma complessiva di oltre 130.000,00 €.

In particolare, il giudice del lavoro ha rilevato l’assoluta genericità della clausola contenuta nel contratto di somministrazione e, in quanto tale, inidonea a specificare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che, ai sensi dell’art. 20, D.Lgs. n. 276/2003, devono necessariamente sussistere al fine di legittimare la scelta dell’imprenditore di avvalersi di prestazioni svolte da lavoratori somministrati a tempo determinato. ...

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Decreto Dignità e Precariato. L' Avv. Michelangelo Salvagni intervistato da La Repubblica

Testo integrale intervista rilasciata dall'Avvocato Giuslavorista Michelangelo Salvagni a La Repubblica in data 19 Luglio 2018

Articolo intervista in formato pdf

Negli ultimi sei anni dalla legge Fornero in poi e fino al Jobs Act, il legislatore si è preoccupato di tutelare Il mercato del lavoro e la flessibilità in entrata e in uscita dei lavoratori, più che la stabilità dei rapporti di lavoro e la stessa dignità dei prestatori che, infatti, da più di un decennio, viaggiano dentro il tunnel del precariato! Ciò dipende, in particolar modo, dalla liberalizzazione sia dei contratti a termine, che non necessitano più di causali che li giustifichino e possono addirittura essere reiterati per ben 36 mesi, sia dei contratti di somministrazione, che neanche hanno il limite dei 36 mesi e non necessitano più anch’essi di una giustificazione per essere stipulati ne’ di una ragione temporanea. Il decreto dignità determina, quantomeno, un primo argine al fenomeno del precariato, riducendo infatti il limite massimo dei contratti a 24 mesi e prevedendo una causale giustificativa dopo i primi 12 mesi sia per i contratti a tempo determinato sia per i contratti somministrazione. Non si comprende per quale motivo delle regole più stringenti in materia di precariato dovrebbero far perdere il posto di lavoro a qualcuno?  Pare che il problema attuale sia l’aumento del contenzioso più che quello della salvaguardia dei diritti! La verità è che il contenzioso era diminuito perché non c’erano più norme a tutela dei diritti del lavoratore nelle fattispecie dei contratti a termine e di somministrazione, in quanti non erano più previste sanzioni in caso di abuso di tali contratti. Abuso, questo, che spesso si rinveniva nella mancanza di effettività della causale e /o di una ragione temporanea che giustificasse il rapporto a termine o del superamento di un limite massimo previsto dalla legge. Se il datore di lavoro assumesse rispettando le regole, perché dovrebbe aumentare il contenzioso? In passato c’è stato un notevole abuso di queste forme di contratti a termine da parte di grandissime aziende e ciò ha portato il legislatore a cancellare alcune delle violazioni che comportavano la conversione di contratti a termine e di somministrazione in contratti a tempo indeterminato. La verità è che si è voluto dare, per tutelare il mercato, la possibilità alle aziende di assumere più liberamente e, per questo, è diminuito il contenzioso: in realtà, il motivo di tale diminuzione, è perché sono diminuiti i diritti dei lavoratori impedendo a questi ultimi la possibilità di agire giudizialmente. Ma la vera domanda è: ma quando tornerà al centro dell’interesse del legislatore la tutela del lavoratore e dei suoi diritti? Il Jobs Act, che doveva garantire più posti a tempo indeterminato, dalle statistiche pare abbia creato soprattutto posti lavoro precari e a termine. Le aziende preferiscono assumere a tempo determinato e con contratti di lavoro somministrato. Pertanto, il decreto dignità, che sicuramente è migliorabile sotto molti aspetti, rappresenta quantomeno un primo passo per ridare dignità e fiducia al lavoratore verso la stabilizzazione del rapporto di lavoro e farlo uscire, finalmente, dal tunnel della precarietà. Un rimedio, ad esempio, potrebbe essere la reintroduzione delle causali sin dal primo contratto a termine o di somministrazione per limitare il rischio di sostituire il lavoratore alla scadenza dei 12 mesi e rendere così più trasparente l’utilizzo dello stesso in base ad una reale ed effettiva esigenza temporanea che giustifichi il contratto di lavoro.

 

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La Cassazione in funzione nomofilattica: l’obbligo di repêchage fa parte del fatto e la sua violazione può comportare l’applicazione della tutela reale

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n. 7/8 2018

Pdf pubblicazione

Nota a Corte di Cassazione, sentenza 2 maggio 2018, n. 10435 – Pres. Di Cerbo – Est. Boghetich

Lavoro (Rapporto di) – Licenziamento individuale - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Soppressione del posto di lavoro - Manifesta insussistenza del fatto – Obbligo di repêchage integrato nella fattispecie del g.m.o. – Violazione – Tutela indennitaria - Tutela reale

 Poiché nella nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rientra sia l’esigenza della soppressione del posto di lavoro sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore, il riferimento legislativo alla “manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento” va inteso con riferimento a tutti e due i presupposti di legittimità della fattispecie”, cosicché il giudice di merito, una volta che sia evidente la violazione anche di uno solo degli elementi costitutivi del recesso, tra cui rientra anche l’obbligo di repêchage, può ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro.

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