Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni.
Con sentenza del 27 maggio 2022, la Corte di appello di Roma, nel riformare la sentenza di primo grado censurata dallo Studio Legale Salvagni, ha accolto il reclamo proposto dalla lavoratrice e ha annullato il licenziamento per giusta causa intimatole da Air France, condannando quest’ultima a reintegrare la dipendente nel proprio posto di lavoro e a corrisponderle un’indennità risarcitoria quantificata (in misura massima e) pari a 12 mensilità della sua retribuzione globale di fatto.
La vicenda processuale trae origine da un procedimento investigativo commissionato dalla società mentre la lavoratrice, infortunatasi sul posto di lavoro, era assente dal servizio: in particolare, le veniva contestato che alcune condotte extra-lavorative, quali guidare, fare la spesa, andare in bicicletta, etc., fossero «idonee anche potenzialmente a pregiudicare o, quantomeno, a ritardare la Sua guarigione e, quindi, la ripresa dell’attività lavorativa o incompatibili con lo stato di salute certificato dal medico dell’INAIL o, comunque, inidonee a determinare uno stato di incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza».
Tale ragione, confermata in primo grado, è stata censurata innanzi alla Corte d’Appello di Roma e, soprattutto, è stata smentita all’esito della CTU medico-legale che, ammessa su istanza dello studio Legale Salvagni, ha accertato che le condotte extra-lavorative poste in essere dalla lavoratrice e oggetto della relazione investigativa condotta dalla società in nessun modo avevano aggravato lo stato di salute della dipendente, la quale risultava effettivamente compromesso a causa dell’infortunio subito sul posto di lavoro.
Pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto che la lavoratrice, a seguito dell’infortunio, si fosse legittimamente assentata dal servizio per poter completare il proprio percorso di recupero psico-fisico e che, in ogni caso, si fosse scupolosamente attenuta alle prescrizioni mediche suggeritele.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla società con la lettera di recesso, infatti, non è esigibile che il lavoratore in infortunio e/o in malattia, nell’adottare una condotta oltremodo prudenziale rispetto alle raccomandazioni mediche ricevute, si astenga dal porre in essere qualsivoglia attività extra-lavorativa.
La Corte capitolina, allo stato di quanto sopra accertato, ha annullato il licenziamento ritenendo insussistente la giusta causa posta a fondamento dello stesso e ha quindi ordinato alla società di reintegrare la ricorrente.
L’attuale periodo di pandemia e di legislazione emergenziale, pone una particolare riflessione sulle conseguenze che, da mesi, tutte le parti sociali e politiche hanno tentato di arginare alla fine del cosiddetto blocco dei licenziamenti.
Per mesi, le associazioni di categoria dei datori di lavoro hanno premuto affinché le società potessero tornare a licenziare i propri dipendenti in ragione della crisi economica provocata dal Covid.
Si può dire, in un certo senso, che oggi siamo alla resa dei conti perché, dopo due anni di pandemia e blocco dei licenziamenti, era inevitabile aspettarsi dei cambiamenti nel mondo del lavoro anche in ragione del fatto che la crisi provocata dall’emergenza sanitaria ha determinato una contrazione delle entrate per molte aziende che, nel peggiore dei casi, ne ha determinato la chiusura o la riorganizzazione con un modello organizzativo diverso e, in un certo senso, più leggero.
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Causa patrocinata dallo Studio legale Salvagni.
Un lavoratore, assistito dalla Studio legale Salvagni, ha instaurato un giudizio presso il Tribunale di Velletri contro la società Apla Italia S.r.l. per veder riconosciuta l’illegittimità del licenziamento, per asserita giusta causa, in ragione della costruzione, all’interno delle officine aziendali, di un manufatto (nella specie un carrello) in base ad un concorso aziendale interno chiamato “borsa delle idee”.
In particolare, la vicenda tratta il caso di un operaio metalmeccanico che, negli anni precedenti al licenziamento, aveva sempre partecipato alla cosiddetta “borsa dell’idee”, vincendo, peraltro, anche alcuni premi proprio per i manufatti realizzati sempre all’interno dell’azienda nell’ambito di tale concorso.
La società, tuttavia, aveva licenziato il dipendente per giusta causa affermando che avesse iniziato a costruire tale manufatto senza un’autorizzazione espressa, anche se tale costruzione era stata posta in essere - pacificamente tra le parti - durante l’orario di lavoro e, in particolare, sotto gli occhi dei colleghi e dei responsabili aziendali.
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Errata corrige 15 OTT 2022
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
La vicenda tratta il caso di un lavoratore che era stato licenziato dalla società convenuta per asserito giustificato motivo oggettivo, in quanto sarebbe stata soppressa la posizione lavorativa del medesimo per asserito calo di fatturato derivante dalle limitazioni imposte dalla AGCOM nella commercializzazione dei servizi del settore, costituente il core business della resistente. La società aveva inoltre rilevato, nella lettera di licenziamento, di non poter adibire il lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori.
Il Tribunale di Roma, con sentenza del 13.10.2022, accertava che il licenziamento intimato al dipendente fosse illegittimo in quanto la società convenuta non aveva assolto il proprio obbligo di dimostrare in giudizio che era stata realmente soppressa la posizione lavorativa del ricorrente e che la suddetta soppressione fosse derivata dal calo del fatturato connesso alla delibera della AGCOM, né che non fosse effettivamente possibile ricollocare il lavoratore in una ulteriore posizione lavorativa all’interno dell’azienda.
Il Giudice condannava, dunque, la società al risarcimento del danno per il licenziamento illegittimo alla luce della significativa anzianità di servizio del dipendente, del suo carico familiare e del fatto che la società, pur non raggiungendo i 15 dipendenti, facesse parte di un gruppo consistente di imprese.