ALBRIT LOGISTICA S.R.L. E LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE: INGIUSTIFICATO IL RECESSO PER CARENZA DI MOTIVAZIONE. 

Errata corrige 19 GIU 2022

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni.

Un lavoratore con qualifica dirigenziale, assistito dalla Studio Legale Salvagni, ha instaurato un giudizio presso il Tribunale di Milano per veder riconosciuta l’ingiustificatezza del licenziamento intimato per presunto venir meno del rapporto di fiducia tra le parti.

In particolare, la lettera di recesso conteneva una motivazione assai generica, che si risolveva in una sintetica enunciazione di principi giurisprudenziali e considerazioni di carattere generale in merito alla figura del dirigente, senza nulla chiarire in merito alle concrete circostanze che avevano condotto al venir meno del rapporto di fiducia tra la Società e il Dirigente.

Alla luce di tali osservazioni, il Giudice ha accolto la tesi difensiva dello Studio Legale Salvagni, affermando come la motivazione posta alla base del recesso - il cui onere di specificità è imposto dall’art. 38, co. 2 del contratto collettivo per i dirigenti del Settore Trasporto e Logistica - fosse inidonea a fornire al lavoratore un quadro chiaro del contesto di riferimento, al fine di rendergli agevole la difesa in giudizio o, alternativamente, di indurlo ad accettare la decisione datoriale.

Per le sopra esposte ragioni, pertanto, il Tribunale di Milano ha dichiarato ingiustificato il licenziamento, condannando la società al pagamento in favore del lavoratore di n. 8 mensilità a titolo di indennità supplementare, per una somma di circa 62.000,00 euro.

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La Suprema Corte sull’art. 18 comma 4 S.L.: revirement della giurisprudenza sul licenziamento disciplinare e sulla reintegra anche per condotte non tipizzate dal CCNL.

Errata corrige 12 Maggio 2022

Articolo di Michelangelo Salvagni pubblicato su Lavoro e Previdenza Oggi News.

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La recente sentenza di Cassazione n. 11665 del 11 aprile 2022, risolve la querelle sull’interpretazione dell’art 18, comma 4, con riferimento al contrasto giurisprudenziale formatosi sulla tematica della reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL. Secondo il prevalente orientamento formatosi in materia sino alla sentenza in commento, al giudice non era consentito ricondurre il comportamento oggetto di addebito disciplinare ad una sanzione conservativa se questa non fosse espressamente stabilita come tale dalle parti sociali o dai codici disciplinari.

La questione è stata oggetto di dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, anche in ragione del fatto che l’indirizzo interpretativo delle cosiddette sentenze di maggio 2019 (la definizione è di A. Maresca, Licenziamento disciplinare e sussistenza del fatto contestato nella giurisprudenza di Cassazione, in Dir. rel. ind., 2019, 946), che appariva decisamente restrittivo e sembrava ormai consolidato, vietava l’interpretazione estensiva o analogica delle sanzioni conservative se non espressamente tipizzate. Tale assunto muoveva dal presupposto che la ratio legis sottesa all’art. 18 S.L., comma 4, come riformato dalla legge c.d. Fornero, prevede la tutela reintegratoria solo quale ipotesi eccezionale rispetto a quella indennitaria (sul punto: Cass., 9.5.2019, n. 12365, nonché nello stesso senso: Cass., 23.5.2019, n. 14063 e Cass., 28.5.2019, n. 14500, pubblicate tutte in Lavoro e prev. oggi, 2019, 11-12, 694, con nota critica di M. Salvagni, Licenziamento disciplinare e sanzione conservativa: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica. In merito, sempre in senso critico rispetto all’orientamento del 2019, si segnala anche A. Piccinini, Licenziamenti disciplinari e contrattazione collettiva tra realtà e immaginazione, in Quest. giust., 2019).

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Licenziamento collettivo in area contratto a tutele crescenti: reintegrazione per omessa procedura d’informazione e consultazione.

Errata corrige  14 APR 2022

Articolo di Michelangelo Salvagni.

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.1/2022, Parte II, RGL Giurisprudenza on line - Newsletter n.3/2022

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TRIBUNALE ROMA, 12.10.2021 - Est. Pascarella - C.R. + 4 (avv. De Francesco) c. T. F. Soc. Coop. (avv. Bruni) e C. A. e S. S.r.l. (avv. Marano).  

Appalto – Cessazione appalto – Cambio appalto – Licenziamento di tutti i lavoratori addetti all’appalto – Mancata riassunzione dell’appaltatore subentrante – Non applicazione clausola sociale per mancata previsione nel CCNL – Qualificazione dei licenziamenti come collettivi in ambito Jobs Act – Mancata effettuazione della procedura di licenziamento collettiva ex l. n. 223/91 – Omissione obblighi di consultazione e informazione –  Regime sanzionatorio applicabile – Nullità del recesso – Reintegrazione ex art 2, comma 1, d.lgs. n. 23/2015. 

Nell’ambito di rapporti di lavoro instaurati con contratti a tutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015 e nel caso in cui il recesso, a seguito di un licenziamento per cessazione di un appalto, debba qualificarsi come licenziamento collettivo - non essendo applicabile l’art. 7, c. 4-bis, della l. n. 31/08, in quanto i prestatori non sono stati “riassunti” dall’appaltatore subentrante –, l’omesso espletamento della procedura ex art. 24 della l. n. 223/91 e delle informazioni e consultazioni con le parti sociali e le autorità pubbliche determina la nullità del recesso, trattandosi di norma imperativa di origine eurounitaria la cui violazione si traduce in un esercizio abusivo del potere di licenziamento collettivo, configurandosi così un negozio nullo poiché in frode alla legge ex art. 1344 c.c.., con conseguente applicazione della reintegra del lavoratore ex art. 2, c. 1, d.lgs. n. 23/15 e non della sola tutela indennitaria per vizi formali della procedura. (1) ...

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ASSICURAZIONI DI ROMA: LA CORTE DI APPELLO DI ROMA CONFERMA ILLEGITTIMITA' DEL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE PER GIUSTA CAUSA

Causa patrocinata dallo Studio legale Salvagni

Con sentenza del 12 ottobre 2021 la Corte di Appello di Roma, in accoglimento del ricorso promosso da una dirigente nei confronti di Assicurazioni di Roma - Mutua Assicuratrice Romana, ha confermato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti di una Dirigente in assenza di qualsivoglia giusta causa e ha condannato l’azienda a corrisponderle una somma pari ad oltre 600 mila euro, a titolo di risarcimento del danno.

In particolare, il giudice del lavoro, nel disattendere le difese articolate dalla Mutua Assicuratrice a sostegno delle molteplici contestazioni disciplinari elevate a carico della dirigente e sfociate nel successivo provvedimento di licenziamento, ha accertato che non vi fossero “apprezzabili motivi per i quali si debba ritenere che le condotte tenute dalla ricorrente ed oggetto di contestazione disciplinare abbiano turbato il legame di fiducia con parte datoriale”.

Pertanto, i giudici di appello hanno dichiarato l’illegittimità del recesso datoriale e, in applicazione del CCNL dirigenti imprese assicuratrici applicabile al caso di specie, hanno condannato Assicurazioni generali al pagamento, in favore della dirigente assistita dallo studio legale Salvagni, di una somma corrispondente all’indennità supplementare ivi prevista e pari a 48 mensilità della retribuzione percepita, a titolo di risarcimento del danno subito.

Inoltre, il giudice ha condannato parte datoriale a corrispondere alla lavoratrice anche indennità di mancato preavviso, prevista al citato CCNL in misura pari 12 mensilità della retribuzione corrisposta alla lavoratrice in costanza di rapporto di lavoro.

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