Articolo di Michelangelo Salvagni
Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n.11/12 2019
Nota a Corte di Cassazione, sentenza 9 maggio 2019, n. 12365 – Pres. Di Cerbo – Rel. Boghetich – F. S.p.a (avv.ti Morrico, Di Rosa) c. L.M. (avv. Portelli)
Lavoro subordinato – Licenziamento disciplinare – Condotte punite dal c.c.n.l. con sanzione conservativa – Abbandono posto di lavoro – Regime applicabile – Estensione ad ipotesi non tipizzate – Esclusione – Conseguenze – Inapplicabilità reintegrazione nel posto di lavoro
In tema di licenziamento disciplinare, solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa, il licenziamento sarà non solo illegittimo ma anche meritevole della tutela reintegratoria prevista dal comma 4 dell’art. 18, non essendo invece consentito al giudice, allorché una condotta accertata non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibile con sanzione conservativa, applicare la reintegrazione mediante un’interpretazione analogica o estensiva. (Massima a cura dell’A.)
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Corte di Cassazione, sentenza 23 maggio 2019, n. 14063 – Pres. Di Cerbo - Rel. Boghetich – L. (avv. Ivella) c. S. (avv. Pulsoni)
Lavoro subordinato - Licenziamento individuale per giusta causa previsione dei contratti collettivi di condotte integranti giusta causa - Vincolatività - Esclusione – Limiti
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Articolo di Michelangelo Salvagni
Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 2/2019
I
CASSAZIONE, 22.10.2018, n. 26675, Pres. Di Cerbo, Est. Lorito, PM Fresa (accoglimento) – A.G. (Avv.ti Battaglia, Grattarola) c. Congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità (Avv. Costantino).
Diff. Corte di Appello di Torino del 3 ottobre 2016.
Sopravvenuta inidoneità alla mansione – Licenziamento per motivo oggettivo – Inosservanza obbligo di repêchage – Tutela indennitaria – Analogia motivo oggettivo di tipo economico con quello per sopravvenuta inidoneità alla mansione – Reintegrazione.
Anche in ipotesi di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica alla mansione, il datore di lavoro, trattandosi di ipotesi di giustificato motivo oggettivo, deve adibire il prestatore a mansioni alternative, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute; l’inosservanza di tale obbligo determina l’ingiustificatezza del recesso posto che costituirebbe una grave aporia sistematica ritenere che la violazione dell’obbligo di repêchage possa determinare una tutela reintegratoria nel caso di licenziamento per motivi economici e precluderla invece nel caso di lavoratore affetto da inidoneità fisica o psichica. (1)
II
CASSAZIONE, 19.3.2018, n. 6798, Pres. Di Cerbo, Est. Spena, PM Celeste (rigetto) – Manutenzione e Montaggi S.r.l. (Avv. Manai) c. C.S. (Avv. Maciotta)
Conf. Corte di Appello di Cagliari del 22 aprile 2016.
Licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione – Modifiche organizzative – Art. 5 della Direttiva Comunitaria 78/2000/CE – Parità di trattamento – Obbligo del datore di lavoro di adottare soluzioni ragionevoli – Violazione art. 41 Cost. – Insussistenza.
E’illegittimo il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica alla mansione ove il datore di lavoro, avendo la possibilità di modificare la propria organizzazione del lavoro, non ha adottato soluzioni ragionevoli atte a consentire al lavoratore disabile, secondo la definizione della Direttiva Comunitaria 78/2000/ CE, di svolgere il lavoro, ciò non integrando violazione dell’art. 41 Cost. per ingerenza sulla libertà della organizzazione imprenditoriale. (2)
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Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Con sentenza del 28 febbraio 2019, n. 360, il Tribunale di Velletri, sezione Lavoro, in accoglimento del ricorso promosso da una lavoratrice nei confronti delle due datrici di lavoro succedutesi nella gestione del medesimo appalto presso cui la stessa era addetta, ha dichiarato l’illegittimità della decurtazione della retribuzione subita dalla ricorrente e ha condannato le società a corrisponderle una somma complessiva pari ad € 20.000,00 ca. a titolo di differenze retributive.
Inoltre, il giudice ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice, giacché connotato da natura ritorsiva; pertanto ha disposto la reintegrazione della ricorrente nel proprio posto di lavoro e ha condannato l’ultima datrice di lavoro a corrisponderle un’ulteriore somma liquidata in misura pari alle retribuzioni maturate medio tempore, dalla data del licenziamento dell’1.2.2018 e sino all’effettiva reintegra.
Procedendo con ordine, quanto alla prima questione affrontata dalla sentenza in commento e relativa alle somme rivendicate dalla lavoratrice a titolo di differenze retributive, il Tribunale ha accertato che la retribuzione percepita per il periodo ricompreso tra dicembre 2015 e febbraio 2018 era di gran lunga inferiore rispetto a quella stabilita in sede di contrattazione collettiva; pertanto, previo riconoscimento di un trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 c.c. intervenuto tra le società convenute, ha disposto la condanna di queste ultime, in solido tra loro, al pagamento delle differenze retributive spettanti alla lavoratrice in base all’applicazione del CCNL Telecomunicazioni e Multiservizi.
Inoltre, in ordine all’impugnazione del licenziamento intimato alla lavoratrice per presunto giustificato motivo oggettivo, il giudice ha rilevato l’insussistenza dello stesso, riconoscendo, al contrario, la natura ritorsiva connotante il recesso; infatti, all’esito dell’istruttoria testimoniale espletata, ha accertato la vessatorietà delle condotte – poi culminate nell’atto di recesso datoriale – cui la ricorrente era stata sottoposta ad opera della società convenuta dopo che la stessa si era rifiutata di sottoscrivere (l’ennesimo) verbale di conciliazione e rinuncia nei confronti dei precedenti datori di lavoro.
Pertanto, il Tribunale, nell’accogliere integralmente la tesi difensiva sostenuta dallo studio legale Salvagni, ha riconosciuto la nullità del recesso, condannando il datore di lavoro a reintegrare la dipendente e a corrisponderle una somma liquidata in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento dell’1.2.2018 e sino all’effettiva reintegra.
Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni
Con sentenza del 7.1.2019, n. 8565, il Tribunale di Roma, in accoglimento del ricorso promosso da una dirigente nei confronti di Assicurazioni Generali, ha accertato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti della lavoratrice in assenza di qualsivoglia giusta causa e ha condannato l’azienda a corrisponderle una somma pari ad € 1.073,577,00, a titolo di risarcimento del danno.
In particolare, il giudice del lavoro, nel disattendere le difese articolate dalle Assicurazioni Generali a sostegno delle molteplici contestazioni disciplinari elevate a carico della dirigente e sfociate nel successivo provvedimento di licenziamento intimatole, ha accertato che non vi fossero “apprezzabili motivi per i quali si debba ritenere che le condotte tenute dalla ricorrente ed oggetto di contestazione disciplinare abbiano turbato il legame di fiducia con parte datoriale”.
Pertanto, il Tribunale di Roma ha dichiarato l’illegittimità del recesso datoriale e, in applicazione del CCNL dirigenti imprese assicuratrici applicabile al caso di specie, ha condannato Assicurazioni generali al pagamento, in favore della dirigente assistita dallo studio legale Salvagni, di una somma corrispondente all’indennità supplementare ivi prevista e pari a 48 mensilità della retribuzione percepita, per un importo pari ad € 858,861,60 liquidato a titolo di risarcimento del danno subito.
Inoltre, il giudice ha condannato parte datoriale a corrispondere alla lavoratrice finanche l’ulteriore somma di € 214,715,00 a titolo di indennità di mancato preavviso, prevista al citato CCNL in misura pari 12 mensilità della retribuzione corrisposta alla lavoratrice in costanza di rapporto di lavoro.