IL TRIBUNALE DI LATINA REINTEGRA LA LAVORATRICE IN MATERNITÀ VITTIMA DI UN LICENZIAMENTO DISCIPLINARE: LA GIUSTA CAUSA È INESISTENTE

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

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Il Tribunale di Latina, con ordinanza n. 11863 del 31.10.2017, ha accolto il ricorso promosso da una lavoratrice madre che era stata licenziata durante il primo anno di vita del figlio, condannando la società alla reintegrazione della medesima nonché al pagamento di tutte le retribuzioni dal giorno dell’illegittimo licenziamento a quello di effettiva reintegra.

In questa particolare vicenda, la società ha proceduto a licenziare la dipendente durante il periodo di maternità adducendo quale ragione posta alla base del recesso una presunta grave condotta della lavoratrice che sarebbe stata posta in essere, tuttavia, addirittura in un periodo antecedente a quello in cui la medesima aveva comunicato lo stato di gravidanza.

Infatti, la asserita giusta causa posta dalla società a fondamento del provvedimento disciplinare è stata ritenuta dal Giudice del tutto insussistente in quanto generica e totalmente sfornita di prova. A tal proposito, il Tribunale di Latina ha accertato che la società non ha in alcun modo provato, come sarebbe stato suo onere, né la colpa grave della lavoratrice (che si limitava ad eseguire le direttive dei propri responsabili), né il fatto in sé oggetto di contestazione, essendo la documentazione prodotta dalla resistente del tutto priva di rilevanza probatoria.

Pertanto, il Tribunale ha dichiarato la radicale nullità del licenziamento in quanto contrario ad uno specifico ed inderogabile divieto normativo, che non consente il licenziamento della lavoratrice madre nel primo anno di vita del bambino, a meno che non venga dimostrata una colpa grave della medesima.

La pronuncia in questione rappresenta certamente una conferma della centralità e dell’importanza dei diritti fondamentali dell’individuo, dei valori assoluti e primari della maternità e della famiglia che sono sanciti dalla Carta Costituzionale e che sono difesi da specifiche disposizioni normative inderogabili.

Il Tribunale di Latina, quindi, disponendo la reintegrazione della lavoratrice nel precedente posto di lavoro con diritto a percepire tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento ad oggi, ha impedito al datore di lavoro di utilizzare una “fittizia” giusta causa per evadere una chiara e inderogabile norma di legge.

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ALMAVIVA: REINTEGRATO IL 154ESIMO LAVORATORE PER VIOLAZIONE DEI CRITERI DI SCELTA. La mancata comparazione rivela la volontà discriminatoria

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Il Tribunale di Roma, con ordinanza n. 108215 del 17 novembre 2017, ha reintegrato un altro dipendente di Almaviva (difeso da questo Studio Legale) che era stato estromesso a seguito della ormai nota procedura di licenziamento collettivo conclusasi nel dicembre del 2016, condannando la società al pagamento di tutte le retribuzioni dal giorno del recesso a quello di effettiva reintegra.

Come già abbondantemente riportato dai maggiori media nazionali, il Giudice ha accertato – in questa ordinanza, come in quelle del giorno precedente (vedi La Repubblica del 17/112017 e Il Fatto Quotidiano del 17/11/2017) – l’illegittimità del licenziamento a seguito della mancata effettuazione della comparazione dei lavoratori su tutto il complesso aziendale poiché, senza reali giustificazioni, la società ha proceduto ad un irragionevole ed irrazionale restringimento del perimetro aziendale sul quale applicare i criteri legali per la collocazione in mobilità.

In sostanza, ed è questo il motivo che rende illegittimo il licenziamento secondo la prospettazione del Tribunale di Roma, si sono scelti i lavoratori da estromettere comparando soltanto quelli della sede di Roma e non anche quelli impiegati nelle altre sedi sparse su tutto il territorio nazionale, violando con tale scelta l’art. 5 della legge 223/1991.

Il Tribunale di Roma, inoltre, ha rilevato la natura discriminatoria della scelta operata dalla società di licenziare i soli lavoratori addetti alla sede di Roma in quanto i medesimi non avevano accettato il taglio delle retribuzioni e del tfr, proposto, invece, anche per il tramite dei sindacati, quale misura alternativa al licenziamento stesso. Sul punto, scrive il Giudice che “… appare evidente che tale scelta, ..., si risolve in una vera e propria illegittima discriminazione: chi non accetta di vedersi abbattere la retribuzione (a parità di orario e di mansioni) e lo stesso tfr, in spregio dell’art. 2103 cod. civ., dell’art. 36 Cost. e di numerosi altri precetti costituzionali ancora vigenti, viene licenziato e chi accetta viene invece salvato. Un messaggio davvero inquietante anche per il futuro e che si traduce comunque in una condotta illegittima perché attribuisce valore decisivo ai fini della scelta dei lavoratori da licenziare, pur se tramite lo schermo dell’accordo sindacale, ad un fattore (il maggiore costo del personale di una certa sede rispetto ad altre) che per legge è invece del tutto irrilevante a questo fine”.

Il Giudice ha quindi dichiarato l’illegittimità del licenziamento ritenendo violati i criteri legali di scelta, nello specifico per la mancata comparazione dei lavoratori licenziati sull’intero complesso aziendale.

L’azienda, pertanto, pensando di trovare un giusto riparo grazie allo “scudo” dell’accordo sindacale, ha illegittimamente licenziato i lavoratori colpevoli di non aver accettato tale aberrante compromesso.

Il criterio posto alla base del licenziamento collettivo, ossia quello di limitare la procedura ai soli dipendenti della sede di Roma, senza considerare l’eventuale fungibilità delle mansioni espletate dai medesimi e quindi la loro collocazione presso le altre sedi site sul territorio nazionale, viola i criteri di scelta così come previsti dalla legge.

Nulla hanno potuto dimostrare le giustificazioni che la società ha posto a fondamento della scelta di limitare la procedura ai soli dipendenti della sede di Roma, sia in tema di infungibilità, sia a in tema di distanza geografica o per generiche e non provate esigenze organizzative, essendo evidente che l’unico tratto distintivo tra la sede romana e le altre era il maggior costo del lavoro a causa del diniego al taglio salariale.

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Il Tribunale di Latina condanna le Fonderie Pontine Catis a reintegrare lavoratrice licenziata pretestuosamente durante la maternità

da Buongiorno Latina del 17/11/2017

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Il Tribunale di Latina accoglie la tesi difensiva dell’Avv. Michelangelo Salvagni, legale della FIOM- CGIL di Latina che ha patrocinato la causa di una lavoratrice licenziata in quanto madre di un bambino di appena 6 mesi e, quindi, fraudolentemente licenziata dall’azienda per una presunta giusta causa in base ad una ragione che il Giudice ha ritenuto non veritiera e, quindi, pretestuosa. Il Tribunale ha, pertanto, ritenuto il recesso radicalmente nullo in quanto contrario ad uno specifico ed inderogabile divieto normativo, che non consente il licenziamento della lavoratrice madre nel primo anno di vita del bambino.

La presunta giusta causa posta dalla società a fondamento del recesso ed oggetto della contestazione disciplinare è stata, quindi, ritenuta dal Giudice del tutto insussistente in quanto generica e totalmente sfornita di prova. A tal proposito, il Tribunale ha accertato che la società non ha in alcun modo provato, come sarebbe stato suo onere, né la colpa grave della lavoratrice, né il fatto in sé oggetto di contestazione, essendo anche la documentazione prodotta dalla società a supporto del recesso in realtà sfornita di valenza probatoria ai fini della dimostrazione dei fatti addebitati alla lavoratrice.

Il Tribunale di Latina ha ordinato alla società la reintegra della lavoratrice (oggi ancora disoccupata e con un bimbo di un anno e 10 mesi) nel precedente posto di lavoro, condannando l’azienda al pagamento in favore della stessa di tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento ad oggi.
La vicenda esaminata dal Tribunale di Latina maschera configura l’ennesimo attacco ai diritti fondamentali del lavoratore ed ai valori assoluti e primari della maternità e della famiglia, garantiti dalla Carta Costituzionale, tramite un fittizio e pretestuoso licenziamento attuato al solo scopo di espellere la lavoratrice in quanto divenuta madre e, quindi, risorsa potenzialmente meno produttiva.

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Latina. Mamma reintegrata dopo licenziamento in maternità

da Latina Oggi Editoriale del 18/11/2017

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Era andata in maternità e quando è tornata al lavoro dopo un periodo di inattività e un trasferimento in un ufficio che aveva tutte le sembianze di un container senza strumenti di lavoro a partire dal computer, era stata licenziata. Arrivederci e tanti saluti. 

Una donna di 34 anni, nata a Latina, mamma di un bambino che adesso ha quasi due anni, è stata reintegrata dal giudice della sezione lavoro di via Fabio Filzi di Latina. Il magistrato Michela Francorsi ha dato ragione alla donna, difesa in questo procedimento dall'avvocato Michelangelo Salvagni e ha emesso nei giorni scorsi un ordinanza Fornero e ha condannato le Fonderie Pontine Catis al reintegro della lavoratrice che era stata licenziata durante la maternità. 
I fatti contestati sono avvenuti nell'estate del 2016 quando la donna dopo il parto e dopo che è tornata al lavoro ha trovato il suo posto occupato: c'è un altro dipendente che ricopre le sue stesse mansioni e così capisce che qualcosa è cambiato. Dall'azienda le dicono che la sua professionalità in questo momento non serve e viene spostata in un'altra zona dell'azienda dove resta di fatto inattiva.

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