IL TRIBUNALE DI ROMA CONDANNA TELECOM PER LA VICENDA DEL REPARTO GHETTO: I DIPENDENTI TRASFERITI AL DAC (Già C.S.A.) VITTIME DI DISCRIMINAZIONE E DEQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE

Causa patrocinata dallo Studio Salvagni

Il caso è stato commentato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.1/2015 Pdf

Il Tribunale di Roma ha emesso una importante ed emblematica sentenza in materia di discriminazione di lavoratori – nel caso di specie dipendenti Telecom – in ragione del fatto di essere titolari dei benefici di cui alla L. 104/92. Infatti, con la sentenza n. 10918/2014, il Tribunale di Roma, da una parte, ha accertato l’illegittimità sia dei trasferimenti dei lavoratori adibiti al DAC sia del demansionamento professionale subito dai medesimi;dall’altra,ha rilevato l’esistenzadi una gravissima discriminazione operata da Telecom nei confronti di tali lavoratori. Alla luce di tale accertamento, il Tribunale di Roma ha ordinato alla società il ripristino della situazione antecedente alla accertata condotta illegittima (e quindi la riassegnazione alla precedente sede di lavoro), condannandola a risarcire i ricorrenti per i danni patiti a seguito delle condotte lesive poste in essere dal datore di lavoro.

La fattispecie concreta (che può ritenersi una classica ipotesi di scuola della fattispecie giuridica dei cosiddetti “reparti ghetto” e che è stata oggetto di un articolo a firma di Olivia Bonardi dal titolo “Sui reparti confino”, pubblicata su Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 1/2015,pp 100 ss),si è incentrata su diversi aspetti giuridici quali: a) l’illegittimità dei trasferimenti da una sede all’altra in violazione delle norme di legge sul trasferimento del lavoratore (art. 2103 c.c.); b) il grave demansionamento professionale subito dai lavoratori; c) la condotta palesemente discriminatoria adottata da parte datoriale nei confronti di ben determinate categorie di dipendenti. Infatti, è stato giudizialmente accertato che Telecom ha posto in essere una condotta illecita nei confronti di lavoratori considerati “a bassa produttività”, i qualisono stati trasferiti in un cosiddetto “reparto ghetto” e adibiti a mansioni riferibili a livelli contrattuali inferiori rispetto a quelli di appartenenza. Peraltro, il Tribunale di Roma ha ritenuto che le condizioni ambientali delle varie sedi del settore DAC fosseroinferiori agli standard delle altre sedi societarie (nel senso di mancato rispetto delle norme di igiene e sicurezza), ciò determinando una evidente disparità di trattamento tra dipendenti della stessa azienda.Ed infatti, la concentrazione in un’unica sede/settore di lavoratori fruitoridei benefici previsti dalla L. 104/92 e/o di lavoratrici che avessero usufruito del congedo di maternità e/o in part time comprova come il reale motivo sotteso al trasferimento fosse, in realtà, la minor produttività di tali lavoratori che, solo per tali ragioni, sono stati collocati in un “reparto confino”.

Il Giudice ha accertato, facendo produrre i libri matricola della società, l’impatto impressionante deitrasferimenti/assegnazionipresso la struttura CSA (oggi DAC), avendo infatti verificato una percentuale palesemente sproporzionata ed esorbitante di lavoratori disabili o fruitori dei benefici ex L. 104/92(43.75%) ivi assegnati rispetto alla media aziendale su Roma pari, infatti, al 11,6%.

Sul punto il Tribunale di Roma si è espresso con straordinaria chiarezza e, in merito alla discriminazione, ha scritto: “… la concentrazione in Via dei Saliceti di una percentuale quadrupla a quella delle restanti sedi di dipendenti o invalidi o portatori di handicap o con familiari portatori di handicap evidenzia, in mancanza di qual si voglia plausibile ragione, l’oggettiva discriminatorietà della scelta datoriale prescindere dalla qualificazione in senso tecnico o meno di tali spostamenti come trasferimenti …”, e ancora “tale scelta imprenditoriale lede da un lato i diritti del disabile familiare del lavoratore e dall’altra opera una sorta di ghettizzazione tra lavoratori di serie A (quelli ad alta produttività) e di serie B (quelli che per gravi problemi di salute personali o assenze in favore di familiari portatori di handicap hanno una minore resa)”.

Il giudice, conseguentemente, ha constatato l’esistenza di una vera e propria “classificazione”, tra dipendenti di serie A e dipendenti di serie B, generata da arbitrarie ed illegittime ragioni datoriali, considerando i suddetti trasferimenti radicalmente nulli perché “discriminatori ex art. 3 Cost”.

Oggi, a distanza di pochi anni dalla riportata pronuncia giudiziale, il rischio che si potrebbe verificare è quello di una riproposizione, seppur con strumenti diversi, di quelle condotte aziendali che hanno determinatole condanne sopra indicate. Per approfondimenti circa l’attualità del tema della discriminazione si veda “Il caso dei dipendenti Telecom trasferiti al servizio di “accoglienza”(site specialist): la vicenda DAC torna d’attualità?”, nella sezione news del presente sito web.

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CONDANNATO L'ISTITUTO SVILUPPO AGROALIMENTARE S.P.A. Le mansioni di project manager valgono l'inquadramento superiore di quadro.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 8617/2015, ha condannato la società ISA – Istituto Sviluppo Agroalimentare S.p.A. a riconoscere il livello contrattuale superiore di quadro ad un lavoratore che per 6 anni aveva svolto mansioni non corrispondenti al suo inquadramento, nonché a corrispondere al medesimo tutte le differenze retributive per il periodo contestato.


La vicenda in concreto riguardava un dipendente adibito a mansioni di elevata responsabilità e autonomia, con requisiti di iniziativa personale e capacità decisionale tipiche della figura aziendale del Project Manager; il magistrato ha accertato che le attività lavorative svolte in concreto dal lavoratore non rientravano nel livello in cui lo stesso era inquadrato, bensì corrispondevano al livello superiore di quadro. ...

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CONDANNATO L'ISTITUTO SVILUPPO AGROALIMENTARE S.P.A. Le mansioni di project manager valgono l'inquadramento superiore di quadro.

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 8617/2015, ha condannato la società ISA – Istituto Sviluppo Agroalimentare S.p.A. a riconoscere il livello contrattuale superiore di quadro ad un lavoratore che per 6 anni aveva svolto mansioni non corrispondenti al suo inquadramento, nonché a corrispondere al medesimo tutte le differenze retributive per il periodo contestato.


La vicenda in concreto riguardava un dipendente adibito a mansioni di elevata responsabilità e autonomia, con requisiti di iniziativa personale e capacità decisionale tipiche della figura aziendale del Project Manager; il magistrato ha accertato che le attività lavorative svolte in concreto dal lavoratore non rientravano nel livello in cui lo stesso era inquadrato, bensì corrispondevano al livello superiore di quadro. ...

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DEMANSIONAMENTO DI UN LAVORATORE LEONARDO-FINMECCANICA: LA CORTE D'APPELLO DI ROMA ORDINA L'ADIBIZIONE A MANSIONI CORRISPONDENTI ALLA QUALIFICA E DISPONE IL RISARCIMENTO

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con la sentenza n. 5548, pubblicata il 21.02.2017, la Corte d’Appello di Roma ha accertato un demansionamento ai danni di un lavoratore SELEX (ora LEONARDO – FINMECCANICA) per un periodo complessivo di 34 mesi e ha conseguentemente ordinato alla società l’adibizione del dipendente a mansioni corrispondenti alla sua qualifica contrattuale (Quadro cat. 7), oltre a condannare la società stessa al risarcimento, in favore del medesimo, per tanti mesi quanti sono quelli del periodo interessato dalla condotta datoriale illegittima.
In questa vicenda, come è stato accertato dai giudici, un dipendente SELEX Sistemi Integrati S.p.A. (poi SELEX ES, ora LEONARDO FINMECCANICA), che fino al periodo contestato svolgeva attività di progettazione e/o di elevata responsabilità, veniva posto in condizione di inattività totale per circa 31 mesi e veniva adibito a mansioni inferiori per poche ore al giorno per ulteriori 3 mesi.
Il Tribunale di Roma prima, e la Corte d’Appello poi, hanno riscontrato che le mansioni svolte dal suddetto lavoratore nel periodo oggetto di causa non potevano in alcun modo rientrare nella declaratoria del profilo professionale contrattualmente posseduto dal dipendente, accertando la totale assenza dei requisiti appartenenti al livello di Quadro cat. 7 (capacità gestionale, organizzativa, professionale, funzioni organizzativamente articolate di rilevante importanza e responsabilità, …, coordinamento e gestione, e/o ricerca e progettazione, ecc…) nelle attività, o nella inattività, svolte dal medesimo nell’intervallo di tempo dal 2005 al 2009, ossia nell’intero periodo oggetto di giudizio.
La Corte d’Appello, in ragione dell’accertamento sopra descritto, ha ritenuto sussistere un danno non patrimoniale risarcibile, derivante dalla dequalificazione professionale, quantificando il risarcimento in ragione di più fattori tra i quali, ad esempio: a) la lunga durata del demansionamento; b) gli effetti negativi sulle abitudini di vita, sull’immagine e sulle relazioni sul luogo di lavoro; c) la gravità della situazione in termini di estromissione da qualsiasi catena decisionale dell’azienda; d) la conoscibilità di tale situazione all’interno e all’esterno dell’ambiente di lavoro. I Giudici, pertanto, hanno condannato la società al risarcimento del danno in favore del lavoratore in base alla grave situazione accertata in concreto e, ordinando l’adibizione del dipendente a mansioni appartenenti al proprio livello contrattuale, hanno sentenziato la fine di una situazione di grave illegittimità.

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