Come difendersi dai licenziamenti

La fine dei periodo pandemico con il conseguente superamento della legislazione emergenziale pone una particolare riflessione sulle conseguenze che tutte le parti sociali e politiche avevano evidenziato nel momento in cui sarebbe finito il cosiddetto blocco dei licenziamenti. Le società sono infatti tornate a licenziare i propri dipendenti in ragione sia della crisi economica provocata dal Covid sia per riorganizzazioni aziendali che stanno determinando la soppressione di posti di lavoro. È innegabile che la pandemia abbia stravolto la redditività di molte aziende e realtà produttive, ma ciò non significa che tale situazione possa giustificare o autorizzare un uso indiscriminato dei licenziamenti. Infatti, ogni situazione di estromissione dal lavoro deve essere valutata attentamente al fine di comprendere se il licenziamento sia giustificato e legittimo. Ciò vale anche nelle ipotesi di licenziamenti disciplinari, fattispecie questa che i datori e di lavoro stanno utilizzando sempre con maggiore frequenza rispetto al passato, spesso mediante contestazioni pretestuose o non così gravi da giustificare la l’allontanamento definitivo del lavoratore.

Per queste ragioni, ogni licenziamento, sia per ragioni di tipo economico che per giusta causa, presuppone uno studio approfondito della fattispecie al fine di contrastare efficacemente la perdita del posto di lavoro mediante una attenta valutazione, caso per caso, che necessita di un approfondimento analitico delle ragioni poste alla base del recesso.

Avv. Michelangelo Salvagni

Patto per il lavoro

Lo studio pone un particolare impegno nella difesa dei lavoratori contro i licenziamenti illegittimi di qualsivoglia natura, siano essi di tipo disciplinare o per motivi economici o per crisi aziendali, al fine di far accertare giudizialmente l’illegittimità del recesso con la conseguente condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro.

La perdita del posto di lavoro a causa di un recesso ingiustificato comporta infatti per il prestatore non solo gravissime conseguenze economiche ma genera anche numerose ripercussioni di tipo sociale, familiare e, a volte, psicologiche, provocando un senso di smarrimento e frustrazione soprattutto in un periodo di forte crisi economica che non consente una facile ricollocazione nel mondo del lavoro

Di seguito troverete una serie di casi patrocinati dallo Studio Salvagni che hanno condotto alla vittoria di importanti cause in tema di licenziamenti con la reintegra nel posto di lavoro dei lavoratori.

LICENZIAMENTO PER  IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA ILLEGITTIMO PER VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI REPECHAGE E ACCOMODAMENTI RAGIONEVOLI 

Un noto Gruppo nazionale che si occupa di Sanità e che gestisce case di cura e un Policlinico, ha illegittimamente licenziato un operatore socio sanitario (O.S.S.) per impossibilità sopravvenuta alla prestazione lavorativa a seguito del giudizio di idoneità parziale espresso dal medico competente che aveva prescritto, quali limitazioni, la non adibizione sia a mansioni che prevedessero la movimentazione manuale di carichi sia di non adibirlo al lavoro notturno e stressogeno. ...

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Il LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO E TUTELA DEL DISABILE: SUPERAMENTO DEL COMPORTO E ACCOMODAMENTI RAGIONEVOLI ALLA LUCE DELLE NOVITA’ GIURISPRUDENZIALI

Vai alla locandina.

In qualità di Responsabile del Gruppo Lavoro di ANF di Roma segnalo il Convegno che si terrà in presenza il giorno 13 marzo 2024, dalle ore 14,30 alle ore 17, presso la sede dell’Organismo Congressuale Forense (OCF), sita in Roma, Via Valadier n. 42, con la possibilità di collegamento da remoto e il riconoscimento di 3 crediti formativi, come da procedura indicata nella locandina allegata.

L’incontro affronta il delicato, ma attualissimo, argomento del licenziamento discriminatorio, con particolare riferimento alla tutela del disabile.

Lo scopo è quello di approfondire le problematiche relative alla condizione di disabilità, avendo riguardo alla nozione eurounitaria di handicap secondo le normative nazionali, sovranazionali e le definizioni della Corte di Giustizia, affinché coloro che soffrono di gravi patologie (in un’accezione più ampia di handicap) non siano discriminati rispetto a coloro i quali non sono affetti da disabilità.

Il tema di indagine si incentrerà principalmente sulla fattispecie del superamento del comporto, in ragione delle patologie di cui è affetto il disabile e sulla configurazione di una discriminazione indiretta in caso di mancato scomputo delle assenze per malattie dovute all’handicap.

I relatori approfondiranno anche la fattispecie dell’obbligo degli accomodamenti ragionevoli previsti a carico del datore di lavoro al fine della salvaguardia del posto di lavoro, funzionali ad evitare il superamento del comporto, oltre alla questione della nullità delle clausole collettive che non prevedano lo scomputo delle malattie dovute a disabilità o handicap.

Tematiche tutte queste che verranno esaminate alla luce dei diversi orientamenti della giurisprudenza di merito (da ultimo quelli di Corte App. Roma, 27.11.2023, Tribunale di Ravenna del 27.7.2023, Tribunale di Rovereto del 30.11.23 e l’ordinanza 700 del Trib Roma, del 18.12.23), delle recenti sentenze della Corte di Cassazione (Cass. 31.3.2023, n. 9095 e Cass. 21.12.2023, n. 35747) e della Corte di Giustizia (la recente CGUE 24.2024).

Il Convegno, organizzato dal Gruppo lavoro ANF di Roma, ove con piacere ricoprirò il ruolo di moderatore e relatore, prevede l’intervento:
- del Dott. Stefano Scarafoni, Consigliere della Sezione Lavoro III Collegio Corte di Appello di Roma;
- del Dott. Giovanni Pascarella, Presidente della III Sezione Lavoro del Tribunale di Roma;
- del Prof. Avv. Arturo Maresca, Emerito di diritto del lavoro;
- del Prof. Avv. Antonio Pileggi, Professore Ordinario di diritto del lavoro Università Tor Vergata di Roma.

L’evento formativo si propone così di fornire un adeguato aggiornamento, ad ampio raggio, con la possibilità di consentire ai partecipanti di districarsi nel “dedalo” di informazioni e indirizzi giurisprudenziali in continua evoluzione su una tematica di assoluto rilievo e attualità.

È prevista poi la possibilità di interagire con i relatori attraverso la previsione di spazi per interventi
e un dibattito finale.

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CORTE DI CASSAZIONE 21 DICEMBRE 2023, N. 35747: MALATTIA COLLEGATA ALL’HANDICAP, DISCRIMINAZIONE INDIRETTA E NULLITÀ DEL LI CENZIAMENTO DEL DISABILE PER SUPERAMEN TO DEL COMPORTO.

Errata corrige 18 MAR 2024.

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Corte di Cassazione 21 dicembre 2023, n. 35747: malattia collegata all’handicap, discriminazione indiretta e nullità del licenziamento del disabile per superamento del comporto.

Segnalo con piacere la mia ultima pubblicazione sulla Rivista LABOR ove, nel commentare la sentenza di Cass. 37547/23 , tento di ricostruire l’evoluzione della giurisprudenza di merito e di Cassazione con riferimento alla fattispecie della nullità del licenziamento del lavoratore disabile (o portatore di handicap), per discriminazione indiretta, in ragione del superamento del periodo di comporto causato dal mancato scomputo delle assenze collegate alle proprie patologie. ...

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IL LICENZIAMENTO DEL DISABILE PER SUPERAMENTO DEL COMPORTO: DISCRIMINAZIONE INDIRETTA E CLAUSOLE COLLETTIVE NULLE.

Errata corrige 12 OTT 2023

Articolo di Michelangelo Salvagni.

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CASSAZIONE, 31.03.2023, n. 9095, Pres. Raimondi, Est. Michelini, P.M. Fresa (rigetto) – A. S.p.a. (Avv.ti Limatola, Damoli, Dell’Omarino, Cantone L., Pisa E., Cantone O., Pisa G.) c. C.D. (Avv.ti Moshi, Palmieri, Assael). Conf. Corte appello Milano del 03.07.2018.

 

Rapporto di lavoro – Licenziamento – Assenze per malattia collegate all’handicap – Comporto c.d. breve – Superamento del periodo di comporto – Non computabilità assenze per malattia dovute alla disabilità – Discriminazione indiretta – Clausole contratto collettivo nulle - Nullità del licenziamento – Tutela applicabile – Art. 18, comma 1, St. lav. – Reintegrazione. 

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IL “PRISMA” DELLE SOLUZIONI GIURISPRUDENZIALI IN TEMA DI LICENZIAMENTO DEL DISABILE PER SUPERAMENTO DEL COMPORTO: DISCRIMINAZIONE INDIRETTA, CLAUSOLE CONTRATTUALI NULLE, ONERE DELLA PROVA E ACCOMODAMENTI RAGIONEVOLI

Articolo di Michelangelo Salvagni.

pubblicato su Lavoro e Previdenza Oggi n. 3-4/2023. Link all'articolo.

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Sommario:

1. Considerazioni preliminari.

2. Le varie fattispecie e il dato comune: la gravità delle patologie comportanti disabilità.

3. Il quadro normativo di riferimento della normativa antidiscriminatoria: la legislazione internazionale, eurounitaria e nazionale.

4. L’allargamento della nozione di “handicap” quale modello sociale e dinamico di disabilità nell’elaborazione della Corte di giustizia e della Corte di cassazione.

5. L’evoluzione giurisprudenziale sulla discriminazione indiretta: la giurisprudenza eurounitaria e i due diversi orientamenti della giurisprudenza di merito nazionale.

            5.1. La giurisprudenza eurounitaria.

            5.2. L’orientamento giurisprudenziale sulla discriminazione indiretta allorché il CCNL non preveda periodi di comporto diversificati per i portatori di handicap.

            5.3. L’indirizzo di segno opposto: la tesi restrittiva della nozione di disabilità ai fini del mantenimento del posto di lavoro che non obbliga la contrattazione collettiva a periodi di comporto differenziati. ...

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LA NULLITÀ “BIFRONTE” DEL LICENZIAMENTO PER MANCATO SUPERAMENTO DEL COMPORTO: LA “FORZA ESPANSIVA” DELLA REINTEGRA EX ART. 18, C. 7, ST. LAV. SI APPLICA A PRESCINDERE DAL REQUISITO DIMENSIONALE

Articolo di Michelangelo Salvagni.

Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, anno LXXIV-2023-n.1.

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CASSAZIONE, 16.9.2022, n. 27334 - Pres. Raimondi, Est. Ponterio, PM Sanlorenzo (Conf.) – F.F. (Avv.ti Boni, De Marchis Gomez) c. G. S.r.l. (Avv.ti Gragnoli, Zaccarelli, Romanelli).

Diff. Corte appello Bologna del 28.5.2019.

Licenziamento individuale – Malattia o infortunio – Superamento del periodo di comporto – Recesso intimato da datore con meno di 15 dipendenti – Responsabilità del datore ex art. 2087 c.c. – Comporto – Non computabilità assenze per malattia – Violazione art. 2110, c. 2, c.c. – Norma imperativa in combinato disposto con art. 1418 c.c. – Nullità del licenziamento – Tutela applicabile – Art. 18, c. 7, St. lav. quale norma speciale – Reintegrazione. 

Nel sistema delineato dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, il licenziamento intimato in violazione dell’art. 2110, c. 2, c.c., è nullo e le sue conseguenze sono disciplinate, secondo un regime sanzionatorio speciale, dal c. 7, che a sua volta rinvia al comma 4, del medesimo articolo 18, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. (1)

Sommario: 1. Rilievi preliminari. – 2. I fatti di causa.  – 3. La nullità “bifronte” del licenziamento per violazione dell’art. 2110 c.c. e il “doppio salto” esegetico: l’estensione della tutela reale attenuata a prescindere dal requisito dimensionale e la non applicazione del regime della nullità di diritto comune – 4. L’art. 2110, c. 2, c.c., quale fattispecie autonoma di norma a carattere imperativo finalizzata all’esigenza di tutela della salute. – 5. La sentenza delle Sezioni Unite del 22.5.2018, n. 12568 risolve il contrasto giurisprudenziale sul licenziamento intimato durante la malattia: è nullo e non inefficace – 6. La nullità del recesso e la forza espansiva dell’art. 18 St. lav. nell’elaborazione giurisprudenziale. – 7. L’art. 18, c. 7, St. lav. è norma speciale di equilibrio del sistema che consente la reintegra a prescindere dal requisito dimensionale.

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IL REPÊCHAGE “SUPERA” ANCHE L’OSTACOLO DELLA MANIFESTA INSUSSISTENZA E CONQUISTA LA REINTE-GRAZIONE

Articolo di Michelangelo Salvagni.

Pubblicato nella Rivista giuridica Il Lavoro nella Giurisprudenza, n. 3/2023.

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Licenziamento per g.m.o.

Cassazione Civile, Sez. lavoro, 11 novembre 2022, n. 33341, ord. - Pres. Doronzo - Est. Garri - D.F.A. c. C. G. I S.p.a.

Licenziamento per giustificato motivo - Cessazione dell’appalto - Violazione dell’obbligo di repêchage

(Art. 3, Legge n. 604/1966; art. 5, Legge n. 604/1966; Art. 18, comma 7, L. n. 300/1970; art. 18, comma 5, L. n. 300/1970)

In caso di licenziamento illegittimo per violazione dell’obbligo di repêchage, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 125/2022, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 7, secondo periodo, L. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b), L. n. 92 del 2012, limitatamente alla parola “manifesta”, il lavoratore ha diritto alla tutela “reintegratoria” (massima non ufficiale).

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme

Cass. Civ. 2 maggio 2018, n. 10435; Cass. Civ. 22 marzo 2016, n. 5592; Cass. Civ. 13 giugno 2016, n. 12101; Cass. Civ. 26 maggio 2017, n. 13379; Cass. Civ. 5 gennaio 2017, n. 160; Cass. Civ. 21 dicembre 2016, n. 26467; Cass. Civ. 9 novembre 2016, n. 22798; Cass. Civ. 10 maggio 2016, n. 9467

Difforme

Cass. Civ.10 maggio 2016, n. 9467; Cass. Civ. 8 novembre 2013, n. 25197; Cass. Civ. 8 febbraio 2011, n. 3040.

Per il testo della sentenza v. ww.cortedicassazione.it.

IL REPÊCHAGE “SUPERA” ANCHE L’OSTACOLO DELLA MANIFESTA INSUSSISTENZA E CONQUISTA LA REINTEGRAZIONE

di Michelangelo Salvagni *

L’ordinanza n. 33341 dell’11 novembre 2022 della Suprema Corte consente di ripercorrere gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sulla natura dell’obbligo di repêchage e sulla questione della ripartizione dell’onus probandi, fattispecie questa sulla quale nel 2016 è intervenuto un importante revirement della Cassazione secondo cui tale onere è esclusivamente a carico del datore, indirizzo che può ritenersi ormai consolidato e accolto dalla sentenza in commento. Tale provvedimento offre anche la possibilità di comprendere se l’obbligo di ricollocazione debba qualificarsi quale elemento interno o esterno al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e se, in caso di mancata ricollocazione aliunde del prestatore, debba applicarsi la tutela reale o solo quella indennitaria. Tematica questa di particolare rilievo alla luce sia della sentenza della Suprema Corte del 2 maggio 2018, n. 10435 sia dei principi espressi dalla sentenza n. 125 del 19 maggio 2022 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, co. 7, secondo periodo, L. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92 del 2012, limitatamente alla parola “manifesta” e che sono stati espressamente richiamati dal provvedimento in annotazione. ...

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REVIREMENT DELLA CASSAZIONE SUL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE: LA REINTEGRAZIONE “RITROVATA” ANCHE PER CONDOTTE NON TIPIZZATE DAL CCNL MA PREVISTE DA CLAUSOLE GENERALI O ELASTICHE

Articolo di Michelangelo Salvagni.

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n. 9-10/2022.

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Nota a Corte di Cassazione, sentenza 11 aprile 2022, n. 11665 – Pres. Raimondi, Est. Garri – R. G. (avv. Luponio) c. Italpol Group S.p.A. (Avv. Quagliaro) (disponibile su https://www.lpo.it/banca-dati/)

 

Lavoro subordinato – Licenziamento disciplinare – Contratto collettivo – Condotte punite dal CCNL con sanzione conservativa – Clausole generali del contratto collettivo – Estensione ad ipotesi non tipizzate – Applicabilità reintegrazione nel posto di lavoro

 

di Michelangelo Salvagni*

 

In tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5 della Legge n. 300 del 20 maggio 1970, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. In tal caso, il giudice effettua un’operazione di interpretazione e sussunzione che non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti della attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo. (Massima a cura dell’A.)

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SLIM ALUMINIUM S.P.A. CONDANNATA A REINTEGRARE UN LAVORATORE ILLEGITTIMAMENTE LICENZIATO IN ASSENZA DI GIUSTA CAUSA.

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

 Con sentenza del 30 dicembre 2022, resa al termine della fase di opposizione Fornero, il Tribunale di Latina, Sezione Lavoro, ha modificato il proprio precedente orientamento della fase sommaria, condannando la Slim Aluminium S.p.a. a reintegrare un lavoratore illegittimamente licenziato per asserita giusta causa, con applicazione dell’art. 18, co. 4 (e non più co. 5) dello Statuto dei Lavoratori.

In particolare, il Tribunale adito, dapprima, ha confermato che il licenziamento intimato al lavoratore fosse illegittimo in quanto la contestazione disciplinare principale (nella specie l’essersi rivolto al medico competente con toni provocatori ed atteggiamento indisponente, avvicinandosi oltre misura alla scrivania di quest’ultimo e l’aver disatteso le procedure aziendali di distanziamento sociale previste per l’epidemia Covid-19) non risultava così grave da giustificare il recesso e, poi, perché la presunta recidiva per un precedente addebito che aveva determinato l’irrogazione di una sanzione sospensiva doveva ritenersi illegittima. ...

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L.T. S.R.L.: CONFERMATA ANCHE IN APPELLO L’INEFFICACIA DEL LICENZIAMENTO ORALE CON CONDANNA ALLA CORRESPONSIONE DI TUTTE LE RETRIBUZIONI NON VERSATE AL LAVORATORE.

Errata corrige 12 DIC 2023

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

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La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 12.12.2023, ha respinto l’appello di L.T. e confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Velletri, che aveva dichiarato la sussistenza di un licenziamento orale di un lavoratore e, dunque, la conseguente inefficacia dello stesso, con condanna della società alla corresponsione delle retribuzioni maturate dal recesso orale alle dimissioni per giusta causa rassegnate dal lavoratore. ...

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POLICLINICO CASILINO (GRUPPO EUROSANITÀ S.P.A.): IL TRIBUNALE DI ROMA DICHIARA ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER IMPOSSIBILITÀ SOPRAVVENUTA ALLA PRESTAZIONE LAVORATIVA E REINTEGRA IL LAVORATORE IN SERVIZIO.  

Errata corrige 21 OTT 2023

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni.

 

Il Gruppo Eurosanità S.p.A., azienda che gestisce le note case di cura di Villa Stuart, Quisisana, Sant’Elisabetta nonché il Policlinico Casilino, ha illegittimamente licenziato un operatore socio sanitario (O.S.S.) per impossibilità sopravvenuta alla prestazione lavorativa a seguito del giudizio di idoneità parziale espresso dal medico competente che aveva prescritto, quali limitazioni, la non adibizione sia a mansioni che prevedessero la movimentazione manuale di carichi sia di non adibirlo al lavoro notturno e stressogeno.

Lo Studio Legale Salvagni, che ha patrocinato la causa del lavoratore contro il Policlinico Casilino, ha sostenuto in giudizio che, nel caso di specie, la società avrebbe dovuto porre in essere tutti i possibili “accomodamenti ragionevoli” al fine di salvaguardare il posto di lavoro dell’operatore socio sanitario, atteso l’obbligo gravante su di essa di mantenere il dipendente in servizio attribuendogli mansioni compatibili con le sue residue e inferiori capacità lavorative. ...

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LICENZIAMENTI COMDATA PER CAMBIO APPALTO NEI CALL-CENTER: LA CORTE D'APPELLO DI ROMA REINTEGRA I LAVORATORI PER ILLEGITTIMITA' DEL LICENZIAMENTO

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni.

Con sentenza del 12.07.2022, la Corte d'Appello di Roma ha accolto il reclamo ex art. 1, comma 58, L. 92/2012, presentato da sei dipendenti della nota società COMDATA S.p.A. che si occupa di servizi call center condannando parte datoriale a reintegrarli nel posto di lavoro precedentemente occupato, nonché al pagamento di 10 mensilità di retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. ...

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AIR FRANCE CONDANNATA A REINTEGRARE UNA LAVORATRICE LICENZIATA PER GIUSTA CAUSA: LA CORTE DI APPELLO DI ROMA ACCERTA CHE LE ATTIVITÀ EXTRA-LAVORATIVE NON HANNO RITARDATO LA GUARIGIONE.

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni.

Con sentenza del 27 maggio 2022, la Corte di appello di Roma, nel riformare la sentenza di primo grado censurata dallo Studio Legale Salvagni, ha accolto il reclamo proposto dalla lavoratrice e ha annullato il licenziamento per giusta causa intimatole da Air France, condannando quest’ultima a reintegrare la dipendente nel proprio posto di lavoro e a corrisponderle un’indennità risarcitoria quantificata (in misura massima e) pari a 12 mensilità della sua retribuzione globale di fatto.

La vicenda processuale trae origine da un procedimento investigativo commissionato dalla società mentre la lavoratrice, infortunatasi sul posto di lavoro, era assente dal servizio: in particolare, le veniva contestato che alcune condotte extra-lavorative, quali guidare, fare la spesa, andare in bicicletta, etc., fossero «idonee anche potenzialmente a pregiudicare o, quantomeno, a ritardare la Sua guarigione e, quindi, la ripresa dell’attività lavorativa o incompatibili con lo stato di salute certificato dal medico dell’INAIL o, comunque, inidonee a determinare uno stato di incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza».

Tale ragione, confermata in primo grado, è stata censurata innanzi alla Corte d’Appello di Roma e, soprattutto, è stata smentita all’esito della CTU medico-legale che, ammessa su istanza dello studio Legale Salvagni, ha accertato che le condotte extra-lavorative poste in essere dalla lavoratrice e oggetto della relazione investigativa condotta dalla società in nessun modo avevano aggravato lo stato di salute della dipendente, la quale risultava effettivamente compromesso a causa dell’infortunio subito sul posto di lavoro.

Pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto che la lavoratrice, a seguito dell’infortunio, si fosse legittimamente assentata dal servizio per poter completare il proprio percorso di recupero psico-fisico e che, in ogni caso, si fosse scupolosamente attenuta alle prescrizioni mediche suggeritele.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla società con la lettera di recesso, infatti, non è esigibile che il lavoratore in infortunio e/o in malattia, nell’adottare una condotta oltremodo prudenziale rispetto alle raccomandazioni mediche ricevute, si astenga dal porre in essere qualsivoglia attività extra-lavorativa.

La Corte capitolina, allo stato di quanto sopra accertato, ha annullato il licenziamento ritenendo insussistente la giusta causa posta a fondamento dello stesso e ha quindi ordinato alla società di reintegrare la ricorrente.

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INTERVISTA DI RADIO ROMA CAPITALE ALL'AVV. MICHELANGELO SALVAGNI SUI LICENZIAMENTI

GUARDA IL VIDEO.

L’attuale periodo di pandemia e di legislazione emergenziale, pone una particolare riflessione sulle conseguenze che, da mesi, tutte le parti sociali e politiche hanno tentato di arginare alla fine del cosiddetto blocco dei licenziamenti.

Per mesi, le associazioni di categoria dei datori di lavoro hanno premuto affinché le società potessero tornare a licenziare i propri dipendenti in ragione della crisi economica provocata dal Covid.

Si può dire, in un certo senso, che oggi siamo alla resa dei conti perché, dopo due anni di pandemia e blocco dei licenziamenti, era inevitabile aspettarsi dei cambiamenti nel mondo del lavoro anche in ragione del fatto che la crisi provocata dall’emergenza sanitaria ha determinato una contrazione delle entrate per molte aziende che, nel peggiore dei casi, ne ha determinato la chiusura o la riorganizzazione con un modello organizzativo diverso e, in un certo senso, più leggero.

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APLA ITALIA S.R.L. E LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA: LA SOCIETÀ CONDANNATA A REINTEGRARE IL LAVORATORE. 

Causa patrocinata dallo Studio legale Salvagni.

Un lavoratore, assistito dalla Studio legale Salvagni, ha instaurato un giudizio presso il Tribunale di Velletri contro la società Apla Italia S.r.l. per veder riconosciuta l’illegittimità del licenziamento, per asserita giusta causa, in ragione della costruzione, all’interno delle officine aziendali, di un manufatto (nella specie un carrello) in base ad un concorso aziendale interno chiamato “borsa delle idee”.

In particolare, la vicenda tratta il caso di un operaio metalmeccanico che, negli anni precedenti al licenziamento, aveva sempre partecipato alla cosiddetta “borsa dell’idee”, vincendo, peraltro, anche alcuni premi proprio per i manufatti realizzati sempre all’interno dell’azienda nell’ambito di tale concorso.

La società, tuttavia, aveva licenziato il dipendente per giusta causa affermando che avesse iniziato a costruire tale manufatto senza un’autorizzazione espressa, anche se tale costruzione era stata posta in essere - pacificamente tra le parti - durante l’orario di lavoro e, in particolare, sotto gli occhi dei colleghi e dei responsabili aziendali. 
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DIGITALGO S.P.A. CONDANNATA A RISARCIRE IL DANNO PER LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO DI UN LAVORATORE IN ASSENZA DI GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO.

Errata corrige 15 OTT 2022

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

La vicenda tratta il caso di un lavoratore che era stato licenziato dalla società convenuta per asserito giustificato motivo oggettivo, in quanto sarebbe stata soppressa la posizione lavorativa del medesimo per asserito calo di fatturato derivante dalle limitazioni imposte dalla AGCOM nella commercializzazione dei servizi del settore, costituente il core business della resistente. La società aveva inoltre rilevato, nella lettera di licenziamento, di non poter adibire il lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori.

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 13.10.2022, accertava che il licenziamento intimato al dipendente fosse illegittimo in quanto la società convenuta non aveva assolto il proprio obbligo di dimostrare in giudizio che era stata realmente soppressa la posizione lavorativa del ricorrente e che la suddetta soppressione fosse derivata dal calo del fatturato connesso alla delibera della AGCOM, né che non fosse effettivamente possibile ricollocare il lavoratore in una ulteriore posizione lavorativa all’interno dell’azienda.

Il Giudice condannava, dunque, la società al risarcimento del danno per il licenziamento illegittimo alla luce della significativa anzianità di servizio del dipendente, del suo carico familiare e del fatto che la società, pur non raggiungendo i 15 dipendenti, facesse parte di un gruppo consistente di imprese.

Continua

ALBRIT LOGISTICA S.R.L. E LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE: INGIUSTIFICATO IL RECESSO PER CARENZA DI MOTIVAZIONE. 

Errata corrige 19 GIU 2022

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni.

Un lavoratore con qualifica dirigenziale, assistito dalla Studio Legale Salvagni, ha instaurato un giudizio presso il Tribunale di Milano per veder riconosciuta l’ingiustificatezza del licenziamento intimato per presunto venir meno del rapporto di fiducia tra le parti.

In particolare, la lettera di recesso conteneva una motivazione assai generica, che si risolveva in una sintetica enunciazione di principi giurisprudenziali e considerazioni di carattere generale in merito alla figura del dirigente, senza nulla chiarire in merito alle concrete circostanze che avevano condotto al venir meno del rapporto di fiducia tra la Società e il Dirigente.

Alla luce di tali osservazioni, il Giudice ha accolto la tesi difensiva dello Studio Legale Salvagni, affermando come la motivazione posta alla base del recesso - il cui onere di specificità è imposto dall’art. 38, co. 2 del contratto collettivo per i dirigenti del Settore Trasporto e Logistica - fosse inidonea a fornire al lavoratore un quadro chiaro del contesto di riferimento, al fine di rendergli agevole la difesa in giudizio o, alternativamente, di indurlo ad accettare la decisione datoriale.

Per le sopra esposte ragioni, pertanto, il Tribunale di Milano ha dichiarato ingiustificato il licenziamento, condannando la società al pagamento in favore del lavoratore di n. 8 mensilità a titolo di indennità supplementare, per una somma di circa 62.000,00 euro.

Continua

La Suprema Corte sull’art. 18 comma 4 S.L.: revirement della giurisprudenza sul licenziamento disciplinare e sulla reintegra anche per condotte non tipizzate dal CCNL.

Errata corrige 12 Maggio 2022

Articolo di Michelangelo Salvagni pubblicato su Lavoro e Previdenza Oggi News.

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La recente sentenza di Cassazione n. 11665 del 11 aprile 2022, risolve la querelle sull’interpretazione dell’art 18, comma 4, con riferimento al contrasto giurisprudenziale formatosi sulla tematica della reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL. Secondo il prevalente orientamento formatosi in materia sino alla sentenza in commento, al giudice non era consentito ricondurre il comportamento oggetto di addebito disciplinare ad una sanzione conservativa se questa non fosse espressamente stabilita come tale dalle parti sociali o dai codici disciplinari.

La questione è stata oggetto di dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, anche in ragione del fatto che l’indirizzo interpretativo delle cosiddette sentenze di maggio 2019 (la definizione è di A. Maresca, Licenziamento disciplinare e sussistenza del fatto contestato nella giurisprudenza di Cassazione, in Dir. rel. ind., 2019, 946), che appariva decisamente restrittivo e sembrava ormai consolidato, vietava l’interpretazione estensiva o analogica delle sanzioni conservative se non espressamente tipizzate. Tale assunto muoveva dal presupposto che la ratio legis sottesa all’art. 18 S.L., comma 4, come riformato dalla legge c.d. Fornero, prevede la tutela reintegratoria solo quale ipotesi eccezionale rispetto a quella indennitaria (sul punto: Cass., 9.5.2019, n. 12365, nonché nello stesso senso: Cass., 23.5.2019, n. 14063 e Cass., 28.5.2019, n. 14500, pubblicate tutte in Lavoro e prev. oggi, 2019, 11-12, 694, con nota critica di M. Salvagni, Licenziamento disciplinare e sanzione conservativa: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica. In merito, sempre in senso critico rispetto all’orientamento del 2019, si segnala anche A. Piccinini, Licenziamenti disciplinari e contrattazione collettiva tra realtà e immaginazione, in Quest. giust., 2019).

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Licenziamento collettivo in area contratto a tutele crescenti: reintegrazione per omessa procedura d’informazione e consultazione.

Errata corrige  14 APR 2022

Articolo di Michelangelo Salvagni.

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.1/2022, Parte II, RGL Giurisprudenza on line - Newsletter n.3/2022

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TRIBUNALE ROMA, 12.10.2021 - Est. Pascarella - C.R. + 4 (avv. De Francesco) c. T. F. Soc. Coop. (avv. Bruni) e C. A. e S. S.r.l. (avv. Marano).  

Appalto – Cessazione appalto – Cambio appalto – Licenziamento di tutti i lavoratori addetti all’appalto – Mancata riassunzione dell’appaltatore subentrante – Non applicazione clausola sociale per mancata previsione nel CCNL – Qualificazione dei licenziamenti come collettivi in ambito Jobs Act – Mancata effettuazione della procedura di licenziamento collettiva ex l. n. 223/91 – Omissione obblighi di consultazione e informazione –  Regime sanzionatorio applicabile – Nullità del recesso – Reintegrazione ex art 2, comma 1, d.lgs. n. 23/2015. 

Nell’ambito di rapporti di lavoro instaurati con contratti a tutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015 e nel caso in cui il recesso, a seguito di un licenziamento per cessazione di un appalto, debba qualificarsi come licenziamento collettivo - non essendo applicabile l’art. 7, c. 4-bis, della l. n. 31/08, in quanto i prestatori non sono stati “riassunti” dall’appaltatore subentrante –, l’omesso espletamento della procedura ex art. 24 della l. n. 223/91 e delle informazioni e consultazioni con le parti sociali e le autorità pubbliche determina la nullità del recesso, trattandosi di norma imperativa di origine eurounitaria la cui violazione si traduce in un esercizio abusivo del potere di licenziamento collettivo, configurandosi così un negozio nullo poiché in frode alla legge ex art. 1344 c.c.., con conseguente applicazione della reintegra del lavoratore ex art. 2, c. 1, d.lgs. n. 23/15 e non della sola tutela indennitaria per vizi formali della procedura. (1) ...

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ASSICURAZIONI DI ROMA: LA CORTE DI APPELLO DI ROMA CONFERMA ILLEGITTIMITA' DEL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE PER GIUSTA CAUSA

Causa patrocinata dallo Studio legale Salvagni

Con sentenza del 12 ottobre 2021 la Corte di Appello di Roma, in accoglimento del ricorso promosso da una dirigente nei confronti di Assicurazioni di Roma - Mutua Assicuratrice Romana, ha confermato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti di una Dirigente in assenza di qualsivoglia giusta causa e ha condannato l’azienda a corrisponderle una somma pari ad oltre 600 mila euro, a titolo di risarcimento del danno.

In particolare, il giudice del lavoro, nel disattendere le difese articolate dalla Mutua Assicuratrice a sostegno delle molteplici contestazioni disciplinari elevate a carico della dirigente e sfociate nel successivo provvedimento di licenziamento, ha accertato che non vi fossero “apprezzabili motivi per i quali si debba ritenere che le condotte tenute dalla ricorrente ed oggetto di contestazione disciplinare abbiano turbato il legame di fiducia con parte datoriale”.

Pertanto, i giudici di appello hanno dichiarato l’illegittimità del recesso datoriale e, in applicazione del CCNL dirigenti imprese assicuratrici applicabile al caso di specie, hanno condannato Assicurazioni generali al pagamento, in favore della dirigente assistita dallo studio legale Salvagni, di una somma corrispondente all’indennità supplementare ivi prevista e pari a 48 mensilità della retribuzione percepita, a titolo di risarcimento del danno subito.

Inoltre, il giudice ha condannato parte datoriale a corrispondere alla lavoratrice anche indennità di mancato preavviso, prevista al citato CCNL in misura pari 12 mensilità della retribuzione corrisposta alla lavoratrice in costanza di rapporto di lavoro.

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Licenziamenti collettivi della GKN: un caso di condotta antisindacale per violazione dell'obbligo di informazione

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.4/2021, Parte II, RGL Giurisprudenza on line - Newsletter n.11/2021

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TRIBUNALE FIRENZE, decr., 23.9.2021 – Est. Brigida Davia – Cgil Fiom Provincia di Firenze (avv.ti Stramaccia, Focareta) c. Gkn Driveline Firenze Spa in liquidazione (avv.ti Rotondi, Maresca, Paone). 

 

Licenziamento collettivo Licenziamento collettivo per cessazione totale attività  Mancata informazione preventiva al sindacato Obbligo di informazione previsto dal Ccnl e da accordi sindacali Condotta antisindacale per mancata informazione Sussistenza Illegittima esclusione del sindacato dal processo decisionale riguardante la cessazione dell’attività di impresa.

 

È antisindacale la condotta del datore di lavoro che impedisce alle organizzazioni sindacali di interloquire nella fase di formazione della decisione di procedere alla cessazione totale dell’attività di impresa, non fornendo loro alcuna informazione preventiva pur essendone espressamente obbligato in base al contratto collettivo e da specifici accordi sindacali. (1)

 

l licenziamenti collettivi della Gkn: un caso di condotta antisindacale per violazione dell’obbligo di informazione

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Interposizione di manodopera e licenziamento giuridicamente inesistente: prime sentenze sull’interpretazione autentica dell’art. 38, c. 3, d.lgs. n. 81/2015

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.2/2021, Parte II, RGL Giurisprudenza on line - Newsletter n.4/2021

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Articolo pubblicato su Comma 2 Lavoro e Dignità:

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I

CORTE APPELLO ROMA, 22.2.2021 - Est. Panariello - D.G.E., R.M., V.M.R., M.G. (avv.ti P. e C. Panici) c. F.I.S.P. s.p.a. (avv.ti Alliegro, Baldieri).

 

Somministrazione di lavoro – Somministrazione irregolare – Interposizione fittizia di manodopera – sussistenza – Licenziamento intimato dal somministratore – Inesistenza – tutela reale – Applicabilità

 

In base all’interpretazione autentica di cui all’art. 80-bis, d.l. n. 34/2020, tra gli atti che, compiuti dal datore di lavoro formale, devono imputarsi al soggetto utilizzatore ex art. 38, d.lgs. n. 81/2015, è escluso il licenziamento; tale interpretazione deve applicarsi anche alla fattispecie dell’appalto illecito in quanto, come per l’ipotesi della somministrazione irregolare, i due istituti realizzano un’identica vicenda di dissociazione fra datore di lavoro formale e sostanziale che viene difatti accertata dal giudice con illecita o irregolare con effetto ex tunc. Il recesso intimato dall’appaltatore è pertanto inesistente e determina la riammissione in servizio del lavoratore nella compagine aziendale dell’appaltante, oltre alla condanna di quest’ultimo alla corresponsione di tutte le retribuzioni maturate medio tempore sino alla riammissione in servizio.

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IL TRIBUNALE DI LATINA REINTEGRA DUE LAVORATORI DELLA SOCIETA' P.C.C. IMPIANTI S.r.l. LICENZIATI PER CESSAZIONE DELL'APPALTO PER MANCATA EFFETTUAZIONE DELLA PROCEDURA COLLETTIVA

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Sentenza pubblicata su Wikilabour

Il Tribunale di Latina, con due diverse ordinanze del 16 e 22 marzo 2021, ha reintegrato due lavoratori licenziati da un’azienda, la P.C.C. Impianti S.r.l., specializzata in appalti di manutenzione idraulica e termo idraulica.

Lo Studio Legale Salvagni instaurava, presso il Tribunale di Latina, distinte cause per difendere due dipendenti che erano stati licenziati insieme ad altri dipendenti e tutti con la medesima motivazione, ossia per giustificato motivo oggettivo a causa della cessazione dell’appalto a cui erano adibiti.

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SLIM ALUMINIUM S.P.A.: DICHIARATO ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

Causa patrocinata dallo Studio legale Salvagni.

Con ordinanza del 14 novembre 2021, il Tribunale di Latina, Sez. Lavoro, ha accolto il ricorso proposto da un dipendente della Slim Aluminium S.p.a. (già Hydro Aluminium S.p.a.) assistito dallo Studio legale Salvagni e avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento intimato per giusta causa. La società ha contestato al lavoratore alcuni addebiti disciplinari, motivando il recesso anche in ragione di una asserita «recidiva in qualunque delle mancanze contemplate nell’art. 9, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione di cui all’art. 9» del CCNL Metalmeccanica Industria. Prima del licenziamento, infatti, il lavoratore era già stato oggetto di diverse contestazioni disciplinari, sfociate in altrettante sanzioni di natura conservativa, la cui legittimità è stata, però, contestata dallo Studio Salvagni.

Nell’accogliere la tesi difensiva dello studio, il Tribunale pontino ha ritenuto di dover verificare la sussistenza di entrambi gli addebiti elevati al lavoratore, giacché espressamente richiamati dalla società resistente nel corpo della lettera di contestazione disciplinare, prima, e posti a fondamento del recesso, poi.

Tuttavia, all’esito istruttoria orale espletata, il giudice del Lavoro ha riscontrato l’infondatezza della prima contestazione disciplinare e, dunque, l’illegittimità di una delle sanzioni sospensive irrogate in passato al dipendente: venuto meno il presupposto della recidiva contestata, è altresì venuta a mancare la giusta causa posta a fondamento del licenziamento irrogato al lavoratore che, infatti, è stato dichiarato illegittimo giacché sproporzionato.

Pertanto, il Tribunale di Latina, nell’applicare la tutela prevista dal 5° comma, art. 18, St. Lav., ha condannato la società resistente a corrispondere al lavoratore un’indennità risarcitoria pari a 22 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto da ultimo percepita dallo stesso.

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Jobs act e licenziamento per g.m.o.: obblighi formativi, repêchage e quantificazione dell’indennizzo in funzione dissuasiva

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.4/2020

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TRIBUNALE LECCE, 19.6.2020 - Est. Carbone, D.A.G. e M.P. (avv. Chironi I.) c. G.F.L S.r.l (avv.ti Gallozzi S., Tondi V. e Tolomeo A). 

Rapporto di lavoro – Contratto a tutele crescenti – Licenziamento per gmo – Repêchage – Oneri a carico datore di lavoro – Obblighi formativi ex art. 2103 c.c. – Costi formativi non eccessivamente onerosi  – Correttezza e buona fede  –  Violazione repêchage – Illegittimità del recesso.

Rapporto di lavoro – Licenziamento per gmo – Regime sanzionatorio ex art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 – Corte Costituzionale n. 194/2018 – Criteri di quantificazione dell’indennizzo – Condotta e condizioni delle parti – decisione Ceds – Illegittimità del recesso anche per violazione repêchage – Risarcimento in funzione dissuasiva.

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Licenziamento disciplinare per abuso dei permessi ex art. 33, L. n. 104/1992

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.1/2021

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CASSAZIONE, Sent. 19.06.2020, n. 12032 – Pres. Nobile, Est. Piccone, P.M. Cimmino (rigetto) – P. S.p.a. (avv. Macrì) c. D.A.G. (avv. Barbanera).

Conf. C. Appello di Bologna, 26.07.18

Licenziamento individuale – Licenziamento disciplinare – Permessi ex L. n. 104 del 1992 per assistenza a persona affetta da handicap – Mancato rispetto della assistenza continuativa e permanente al disabile – Abuso del diritto – Accertamenti tramite agenzia investigativa – Insufficienza della prova – Illegittimità del recesso – Reintegra.

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IL TRIBUNALE DI LATINA REINTEGRA IL TERZO LAVORATORE PRESSO DRS, SOCIETA’ DI SERVIZI PER ALGIDA, FINDUS E UNILEVER

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Sentenza pubblicata su Wikilabour

Il “doppio licenziamento” intimato sia ai sensi della legge n. 223/1991 sia come licenziamento individuale è illegittimo determinando la violazione dei criteri di scelta.

Il Tribunale di Latina, dopo le due decisioni di ottobre 2020 del giudice Montanari, con ordinanza del 30.11.2020, giudice Avarello, in relazione ad identica fattispecie, ha reintegrato un altro dei lavoratori licenziati dalla società DRS, a seguito sia di una procedura di mobilità, sia di un licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo.

La società, a fronte di dichiarate difficoltà economiche derivanti dalla perdita di commesse, richiedeva l’avvio di una procedura di mobilità di cui alla l. 223/1991, con l’intento di licenziare 9 unità di personale. Peraltro, dopo la conclusione di una prima fase di tale procedura, la DRS procedeva al licenziamento di sole 4 unità senza mai concludere l’iter previsto dalla l. 223/1991.

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Immodificabilità della contestazione disciplinare e vizio di ultra petizione

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n.9/10 2020

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Nota a Corte di Cassazione, Sez. Lav., sentenza 10 febbraio 2020, n. 3079, Pres. Patti - Est. Cinque - D. G. R. (avv.ti Punzi, Dentici) c. Poste Italiane S.p.a. (avv. Granozzi)

 

Rapporto di lavoro - Contestazione disciplinare – Condotte illegittime - Licenziamento per giusta causa – Immodificabilità della contestazione – Circostanze nuove – Diversa valutazione infrazione – Conversione sanzione – Vizio ultra petizione.

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LO STUDIO SALVAGNI VINCE LE CAUSE CONTRO COMDATA E IL TRIBUNALE DI ROMA REINTEGRA I LAVORATORI IN SERVIZIO NEI CALL CENTER

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Sentenza pubblicata su WikiLabour

Articolo pubblicato su:

CSDN Roma

- ADNKronos

La società Comdata S.p.A., nota azienda che si occupa di servizi call center e che vanta alle proprie dipendenze circa 7000 lavoratori, con unoperazione del tutto illegittima e, utilizzando in modo anomalo la cd clausola sociale in materia di cambio appalto, ha cercato di cedere i propri dipendenti addetti alla commessa ALD (ben 56) ad una società subentrante, neocostituita ed avente un capitale sociale di appena 10 mila euro.

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MANPOWER PERDE ANCHE L’OPPOSIZIONE: CONFERMATA L’ORDINANZA CHE AVEVA DICHIARATO NULLO IL LICENZIAMENTO DELLA LAVORATRICE MADRE CON CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE A TEMPO INDETERMINATO

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con sentenza del 1° dicembre 2020, il Tribunale di Velletri, sezione Lavoro, respingendo l’opposizione proposta dalla Manpower S.r.l., ha confermato l’ordinanza emessa nella fase sommaria, laddove era stata dichiarata la nullità del licenziamento intimato per presunto giustificato motivo oggettivo, giacché connotato, in realtà, da natura discriminatoria, nonché l’illegittimità del recesso per insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto dalla società a fondamento dello stesso.

Conseguentemente, il giudice ha confermato l’ordinanza emessa nella precedente fase laddove ha condannato il datore di lavoro a reintegrare la lavoratrice nel proprio posto di lavoro, nonché al pagamento integrale delle retribuzioni maturate medio tempore, dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegrazione, oltre al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

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AVIOINTERIORS: DICHIARATO ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE PER PRESUNTE ATTIVITA’ LUDICHE DURANTE LA MALATTIA RILEVATE TRAMITE ATTIVITA’ INVESTIGATIVE

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Il Tribunale di Latina, con sentenza n. 11935 del 11.10.2019, in accoglimento del ricorso promosso da un lavoratore nei confronti di Aviointeriors S.p.a., ha accertato e dichiarato l’illegittimità del licenziamento irrogato al medesimo per presunta giusta causa, ordinando alla società di reintegrarlo nel posto di lavoro precedentemente occupato, nonché condannando la stessa al pagamento dell’indennità risarcitoria nella misura massima di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Nel caso di specie, il lavoratore era stato licenziato in quanto, secondo l’avversa ricostruzione, sebbene collocato in malattia, si sarebbe dedicato ad attività ludica incompatibile con il dichiarato stato morboso. La società, a sostegno del provvedimento espulsivo, adduceva di avere svolto delle indagini investigative all’esito delle quali era emerso, appunto, che il lavoratore, al di fuori delle fasce di reperibilità, si era dedicato alla predetta e non meglio specificata attività ludica asseritamente “incompatibile con lo stato di malattia”.

L’attività svolta dal ricorrente ed asseritamente “incompatibile con lo stato di malattia”, come risultante dalla relazione investigativa prodotta da controparte, era quella di “Birdwatching”, ossia di osservazione degli uccelli, peraltro praticata dal ricorrente solo per alcune ore nei giorni festivi e, comunque, sempre al di fuori delle fasce di reperibilità. Per il resto, la relazione investigativa prodotta dalla società riprendeva il lavoratore in circostanze assolutamente irrilevanti sotto il profilo disciplinare, quali un prelievo in banca e una cena in compagnia con la moglie e amici.

Il Tribunale di Latina, accogliendo la tesi difensiva del lavoratore, ha rilevato l’assoluta carenza di allegazione e l’assenza di qualsivoglia prova in ordine all’asserita incompatibilità della non meglio specificata “attività ludica” con lo stato di malattia dichiarato dal lavoratore e attestato dal medico di famiglia dello stesso.

Il Giudice, in particolare, ha evidenziato che l’attività di “Birdwatching” non risulta in alcun modo incompatibile con lo stato di malattia del ricorrente, affetto da “rialzo pressorio”, né tantomeno ostativa ad una completa guarigione del medesimo.

Sul punto, il Tribunale rileva che, sebbene il datore di lavoro possa procedere ad accertamenti di tipo sanitario volti a verificare l’effettiva sussistenza dello stato morboso dichiarato dal lavoratore, l’onere di provare che l’attività extralavorativa svolta sia ostativa ad una completa guarigione incombe sempre sul datore di lavoro.

Nel caso di specie, osserva il giudice, la società, pur avendone l’onere, non ha fornito alcuna prova, né mediante allegazioni mediche, che non risultano agli atti di causa, né con la relazione investigativa prodotta, la quale attesta esclusivamente che il lavoratore, al di fuori delle fasce di reperibilità, sia uscito dalla propria abitazione per svolgere attività del tutto compatibili con lo stato di malattia attestato.

Il Tribunale ha, quindi, rilevato l’insussistenza del fatto contestato al lavoratore, dichiarando illegittimo il licenziamento e ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre alla condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista ex art. 18, commi 4 e 7, legge n. 300/70 nella misura massima di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

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LICENZIAMENTO COLLETTIVO SKY ITALIA S.R.L.: NULLO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE PER MOTIVO ILLECITO DETERMINANTE EX ART. 1345 C.C.. LA SOCIETA’ CONDANNATA A REINTEGRARE IL LAVORATORE

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Il Tribunale di Roma, con ordinanza n. 34233 del 02.04.2019, ha accolto il ricorso promosso da un lavoratore estromesso all’esito della nota procedura di licenziamento collettivo conclusasi nel mese di ottobre 2017 (originariamente di un numero complessivo di 124 esuberi), condannando Sky Italia S.r.l. alla reintegrazione del medesimo nel posto di lavoro, nonché al pagamento di tutte le retribuzioni dal giorno del recesso a quello di effettiva reintegra.

Il Giudice del lavoro ha accolto la tesi difensiva offerta dallo studio legale Salvagni in ordine alla sussistenza, nella specie, di due diverse procedure: quella di licenziamento collettivo per riduzione del personale ex Legge n. 223/1991 (avviata dalla società con comunicazione del 16.05.2017), sulla quale, a far data dall’01.09.2017, si è innestata quella di trasferimento collettivo ex art. 57 del CCNL di settore. ...

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Licenziamento disciplinare e sanzione conservativa: reintegra solo per condotte tipizzate dal CCNL non suscettibili di interpretazione estensiva o analogica

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n.11/12 2019

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Nota a Corte di Cassazione, sentenza 9 maggio 2019, n. 12365 – Pres. Di Cerbo – Rel. Boghetich – F. S.p.a (avv.ti Morrico, Di Rosa) c. L.M. (avv. Portelli)

 

Lavoro subordinato – Licenziamento disciplinare – Condotte punite dal c.c.n.l. con sanzione conservativa – Abbandono posto di lavoro – Regime applicabile Estensione ad ipotesi non tipizzate – Esclusione – Conseguenze – Inapplicabilità reintegrazione nel posto di lavoro

 

In tema di licenziamento disciplinare, solo ove il fatto contestato e accertato sia espressamente contemplato da una previsione di fonte negoziale vincolante per il datore di lavoro, che tipizzi la condotta del lavoratore come punibile con sanzione conservativa, il licenziamento sarà non solo illegittimo ma anche meritevole della tutela reintegratoria prevista dal comma 4 dell’art. 18, non essendo invece consentito al giudice, allorché una condotta accertata non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibile con sanzione conservativa, applicare la reintegrazione mediante un’interpretazione analogica o estensiva. (Massima a cura dell’A.)

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Corte di Cassazione, sentenza 23 maggio 2019, n. 14063 – Pres. Di Cerbo - Rel. Boghetich – L. (avv. Ivella) c. S. (avv. Pulsoni)

Lavoro subordinato - Licenziamento individuale per giusta causa previsione dei contratti collettivi di condotte integranti giusta causa - Vincolatività - Esclusione – Limiti

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Licenziamento per impossibilità sopravvenuta o a causa di inidoneità psicofisica

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 2/2019

Pdf pubblicazione

I

CASSAZIONE, 22.10.2018, n. 26675, Pres. Di Cerbo, Est. Lorito, PM Fresa (accoglimento) – A.G. (Avv.ti Battaglia, Grattarola) c. Congregazione delle Piccole Suore Missionarie della Carità (Avv. Costantino).

Diff. Corte di Appello di Torino del 3 ottobre 2016.

Sopravvenuta inidoneità alla mansione – Licenziamento per motivo oggettivo – Inosservanza obbligo di repêchage – Tutela indennitaria – Analogia motivo oggettivo di tipo economico con quello per sopravvenuta inidoneità alla mansione –  Reintegrazione.   

Anche in ipotesi di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica alla mansione, il datore di lavoro, trattandosi di ipotesi di giustificato motivo oggettivo, deve adibire il prestatore a mansioni alternative, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute; l’inosservanza di tale obbligo determina l’ingiustificatezza del recesso posto che costituirebbe una grave aporia sistematica ritenere che la violazione dell’obbligo di repêchage possa determinare una tutela reintegratoria nel caso di licenziamento per motivi economici e precluderla invece nel caso di lavoratore affetto da inidoneità fisica o psichica. (1)    

II

CASSAZIONE, 19.3.2018, n. 6798, Pres. Di Cerbo, Est. Spena, PM Celeste (rigetto) – Manutenzione e Montaggi S.r.l. (Avv. Manai) c. C.S. (Avv. Maciotta)

Conf. Corte di Appello di Cagliari del 22 aprile 2016.

Licenziamento per sopravvenuta inidoneità alla mansione – Modifiche organizzative – Art. 5 della Direttiva Comunitaria 78/2000/CE – Parità di trattamento – Obbligo del datore di lavoro di adottare soluzioni ragionevoli – Violazione art. 41 Cost. – Insussistenza.

E’illegittimo il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica o psichica alla mansione ove il datore di lavoro, avendo la possibilità di modificare la propria organizzazione del lavoro, non ha adottato soluzioni ragionevoli atte a consentire al lavoratore disabile, secondo la definizione della Direttiva Comunitaria 78/2000/ CE, di svolgere il lavoro, ciò non integrando violazione dell’art. 41 Cost. per ingerenza sulla libertà della organizzazione imprenditoriale. (2)   

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LICENZIAMENTO RITORSIVO E DIFFERENZE RETRIBUTIVE. IL TRIBUNALE DI VELLETRI REINTEGRA LA LAVORATRICE E CONDANNA LA SOCIETÀ A CORRISPONDERLE UNA SOMMA PARI A € 30.000,00 CA.

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con sentenza del 28 febbraio 2019, n. 360, il Tribunale di Velletri, sezione Lavoro, in accoglimento del ricorso promosso da una lavoratrice nei confronti delle due datrici di lavoro succedutesi nella gestione del medesimo appalto presso cui la stessa era addetta, ha dichiarato l’illegittimità della decurtazione della retribuzione subita dalla ricorrente e ha condannato le società a corrisponderle una somma complessiva pari ad € 20.000,00 ca. a titolo di differenze retributive.

Inoltre, il giudice ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato alla lavoratrice, giacché connotato da natura ritorsiva; pertanto ha disposto la reintegrazione della ricorrente nel proprio posto di lavoro e ha condannato l’ultima datrice di lavoro a corrisponderle un’ulteriore somma liquidata in misura pari alle retribuzioni maturate medio tempore, dalla data del licenziamento dell’1.2.2018 e sino all’effettiva reintegra.

Procedendo con ordine, quanto alla prima questione affrontata dalla sentenza in commento e relativa alle somme rivendicate dalla lavoratrice a titolo di differenze retributive, il Tribunale ha accertato che la retribuzione percepita per il periodo ricompreso tra dicembre 2015 e febbraio 2018 era di gran lunga inferiore rispetto a quella stabilita in sede di contrattazione collettiva; pertanto, previo riconoscimento di un trasferimento d’azienda di cui all’art. 2112 c.c. intervenuto tra le società convenute, ha disposto la condanna di queste ultime, in solido tra loro, al pagamento delle differenze retributive spettanti alla lavoratrice in base all’applicazione del CCNL Telecomunicazioni e Multiservizi.

Inoltre, in ordine all’impugnazione del licenziamento intimato alla lavoratrice per presunto giustificato motivo oggettivo, il giudice ha rilevato l’insussistenza dello stesso, riconoscendo, al contrario, la natura ritorsiva connotante il recesso; infatti, all’esito dell’istruttoria testimoniale espletata, ha accertato la vessatorietà delle condotte – poi culminate nell’atto di recesso datoriale – cui la ricorrente era stata sottoposta ad opera della società convenuta dopo che la stessa si era rifiutata di sottoscrivere (l’ennesimo) verbale di conciliazione e rinuncia nei confronti dei precedenti datori di lavoro.

Pertanto, il Tribunale, nell’accogliere integralmente la tesi difensiva sostenuta dallo studio legale Salvagni, ha riconosciuto la nullità del recesso, condannando il datore di lavoro a reintegrare la dipendente e a corrisponderle una somma liquidata in misura pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento dell’1.2.2018 e sino all’effettiva reintegra.

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ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A. E LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE INTIMATO IN ASSENZA DI GIUSTA CAUSA: LA SOCIETA’ CONDANNATA A RISARCIRE LA DIPENDENTE PER OLTRE 1.000.000,00 DI EURO

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con sentenza del 7.1.2019, n. 8565, il Tribunale di Roma, in accoglimento del ricorso promosso da una dirigente nei confronti di Assicurazioni Generali, ha accertato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti della lavoratrice in assenza di qualsivoglia giusta causa e ha condannato l’azienda a corrisponderle una somma pari ad € 1.073,577,00, a titolo di risarcimento del danno.

In particolare, il giudice del lavoro, nel disattendere le difese articolate dalle Assicurazioni Generali a sostegno delle molteplici contestazioni disciplinari elevate a carico della dirigente e sfociate nel successivo provvedimento di licenziamento intimatole, ha accertato che non vi fossero “apprezzabili motivi per i quali si debba ritenere che le condotte tenute dalla ricorrente ed oggetto di contestazione disciplinare abbiano turbato il legame di fiducia con parte datoriale”.

Pertanto, il Tribunale di Roma ha dichiarato l’illegittimità del recesso datoriale e, in applicazione del CCNL dirigenti imprese assicuratrici applicabile al caso di specie, ha condannato Assicurazioni generali al pagamento, in favore della dirigente assistita dallo studio legale Salvagni, di una somma corrispondente all’indennità supplementare ivi prevista e pari a 48 mensilità della retribuzione percepita, per un importo pari ad € 858,861,60 liquidato a titolo di risarcimento del danno subito.

Inoltre, il giudice ha condannato parte datoriale a corrispondere alla lavoratrice finanche l’ulteriore somma di € 214,715,00 a titolo di indennità di mancato preavviso, prevista al citato CCNL in misura pari 12 mensilità della retribuzione corrisposta alla lavoratrice in costanza di rapporto di lavoro.

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LICENZIAMENTO COLLETTIVO ALMAVIVA: LA SOCIETÀ PERDE L’OPPOSIZIONE E IL TRIBUNALE DI ROMA CONFERMA LA REINTEGRA DEL DIPENDENTE

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con sentenza del 5 febbraio 2019, n. 1073, Il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione proposto da Almaviva Contact S.p.a. avverso l’ordinanza che, resa all’esito della precedente fase sommaria, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore assistito dallo studio legale Salvagni nell’ambito dell’ormai nota procedura di licenziamento collettivo che ha coinvolto i lavoratori addetti presso il call center di Roma.

In particolare, il giudice del lavoro, pur riconoscendo l’insindacabilità della scelta di chiudere la sede operativa di Roma, ha vagliato la legittimità della scelta operata da Almaviva e relativa alla (illegittima) circoscrizione degli esuberi, effettuata in assenza della dovuta comparazione dei lavoratori addetti presso la sede di Roma (destinata alla chiusura) con quelli impiegati presso l’intero complesso aziendale.

Sul punto, il Tribunale, nel riconoscere la fungibilità delle mansioni espletate dal ricorrente con quelle dei lavoratori di call center addetti presso le ulteriori sedi Almaviva di Rende, Catania e Palermo, ha disatteso le difese articolate dalla società e, all’esito dell’istruttoria espletata, ha escluso che, nel caso di specie, sussistessero motivi di carattere oggettivo e di natura tecnico-organizzativo legittimanti la mancata comparazione dei lavoratori.

In particolare, il giudice ha rilevato la contraddittorietà delle difese articolate da Almaviva, giacché l’adempimento dell’obbligo di comparazione imposto dalla legge, al contrario di quanto sostenuto dalla società, non avrebbe comportato, nel caso di specie, alcun costo eccessivamente oneroso e/o incompatibile con il giustificato motivo oggettivo posto a fondamento della procedura collettiva.

Pertanto, il Tribunale ha affermato che: “le ragioni oggettive specificate nella lettera di apertura della procedura inerenti il risparmio dei necessari costi/tempi di formazione, le scarse performance per mesi dei neoaddetti a commessa, il beneplacito della cliente allo spostamento delle commesse/utilizzo di nuovi addetti, nonché costi e tempi relativi all’apertura di nuove utenze non costituivano, per come emerso dalla compiuta istruttoria, esigenze organizzative aziendali che ragionevolmente possano essere ritenute idonee a delimitare il parterre del licenziandi alla sede di Roma”.

Inoltre, il giudice del lavoro ha ritenuto infondato anche il secondo argomento difensivo speso dalla società secondo cui l’eccessiva distanza geografica tra le sedi oggetto di comparazione e l’eventuale trasferimento dei lavoratori presso dette sedi avrebbe comportato “tempi di attuazione e modifiche organizzative talmente complesse da compromettere il regolare svolgimento dei servizi.

Pertanto, il Tribunale ha rigettato l’opposizione proposta da Almaviva e ha confermato, seppur con diversa motivazione, il dispositivo dell’ordinanza che, nel novembre scorso, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato nei confronti del lavoratore assistito dallo Studio Legale Salvagni, reintegrando il ricorrente nel proprio posto di lavoro.

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MANPOWER CONDANNATA ALLA REINTEGRAZIONE DELLA DIPENDENTE: CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE A TEMPO INDETERMINATO E LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO DI UNA LAVORATRICE MADRE

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con ordinanza del 16 gennaio 2019, n. 965, il Tribunale di Velletri, sezione Lavoro, in accoglimento del ricorso promosso da una lavoratrice nei confronti Manpower S.r.l., ha dichiarato la nullità del licenziamento intimatole per presunto giustificato motivo oggettivo, giacché connotato, in realtà, da natura discriminatoria; conseguentemente, il giudice ha condannato il datore di lavoro a reintegrare la ricorrente nel proprio posto di lavoro, nonché al pagamento integrale delle retribuzioni maturate medio tempore, dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegrazione, oltre al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

In particolare, il Tribunale ha rilevato che la società resistente, in qualità di impresa dedita all’attività di intermediazione di lavoro, ha disatteso la procedura prevista dall’art. 25 del CCNL di settore, il quale, all’esito delle singole missioni, impone al datore di lavoro di provvedere, attraverso tentativi concreti e realmente apprezzabili, di ricollocare il personale somministrato e reperire ulteriori opportunità di impiego dello stesso.

E infatti, la Manpower S.r.l. si era limitata, nel caso di specie, a svolgere un solo tentativo di ricollocamento della ricorrente, in quanto tale ritenuto insufficiente dal Tribunale anche alla stregua delle molteplici occasioni di impiego che, invero, risultavano esistenti e del tutto compatibili con il profilo professionale della lavoratrice.

Pertanto, il Tribunale ha ritenuto che il licenziamento intimato nei confronti della ricorrente, motivato in ragione dell’asserita insussistenza di missioni cui adibire la lavoratrice e della conseguente impossibilità di ricollocarla, fosse destituito di ogni fondamento e privo del presunto giustificato motivo oggettivo addotto dalla società a fondamento del recesso.

Tanto premesso, il giudice del lavoro ha affrontato il profilo discriminatorio del recesso, denunciato dalla lavoratrice assistita dallo studio legale Salvagni e, sul punto, ha affermato che lo stato di maternità della lavoratrice “costituisce elemento idoneo a far ritenere che la [ricorrente] non sia stata ricollocata perché donna in età fertile, con prole inferiore ad anni cinque, e che questo sia stato l’unico motivo di licenziamento”.

Pertanto, il giudice ha dichiarato la nullità del licenziamento, condannando il datore di lavoro a ricollocare la dipendente nel posto di lavoro precedentemente occupato, nonché al pagamento di tutte le retribuzioni spettanti alla lavoratrice.

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Violazione del repêchage e reintegra: l'obbligo di ricollocazione è un elemento di fatto

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.3/2018

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– La fattispecie del repêchage si collega alla tesi del licenziamento quale extrema ratio e risale alla elaborazione di un’autorevole dottrina (Mancini 1972, 243).

Tale CORTE DI APPELLO DI ROMA, 01.02.2018, n. 469 - Pres. Rel. dott. G. Pascarella -  S. S.R.L. (avv.ti Beatrice, Marrazzo ) c./ A.R. (avv. ti Alessandrini, Di Folco).

Lavoro (Rapporto di) – Licenziamento individuale - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Soppressione del posto di lavoro - Manifesta insussistenza del fatto – Obbligo di repechâge integrato nella fattispecie del g.m.o. – Violazione  – Reintegra del lavoratore

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La Cassazione in funzione nomofilattica: l’obbligo di repêchage fa parte del fatto e la sua violazione può comportare l’applicazione della tutela reale

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n. 7/8 2018

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Nota a Corte di Cassazione, sentenza 2 maggio 2018, n. 10435 – Pres. Di Cerbo – Est. Boghetich

Lavoro (Rapporto di) – Licenziamento individuale - Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Soppressione del posto di lavoro - Manifesta insussistenza del fatto – Obbligo di repêchage integrato nella fattispecie del g.m.o. – Violazione – Tutela indennitaria - Tutela reale

 Poiché nella nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rientra sia l’esigenza della soppressione del posto di lavoro sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore, il riferimento legislativo alla “manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento” va inteso con riferimento a tutti e due i presupposti di legittimità della fattispecie”, cosicché il giudice di merito, una volta che sia evidente la violazione anche di uno solo degli elementi costitutivi del recesso, tra cui rientra anche l’obbligo di repêchage, può ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro.

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Licenziamenti discriminatori e ritorsivi: evoluzione della giurisprudenza e ripartizione dell’onere della prova

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato su Lavoro e Previdenza Oggi, n. 5/6 2018

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SOMMARIO: 1. Considerazioni preliminari – 2. Questioni interpretative sui licenziamenti disciplinari e per giustificato motivo oggettivo dopo la Legge Fornero: l’insussistenza del fatto, la rilevanza giuridica e la manifesta insussistenza - 3. La tutela reintegratoria quale fattispecie residuale: la fuga in avanti delle domande giudiziali di accertamento di licenziamenti discriminatori e ritorsivi - 4. La fattispecie discriminatoria, riferimenti normativi e tutele sanzionatorie in caso di licenziamento - 5. Norme di riferimento sul licenziamento ritorsivo. Cenni – 5.1. Le novità introdotte dal D.Lgs. n. 23/2015 in tema di licenziamento nullo ai fini della reintegrazione. Cosa si intende per «altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge» - 6. Orientamenti giurisprudenziali in tema di licenziamento discriminatorio e ritorsivo: l’interpretazione estensiva e la sovrapposizione delle due fattispecie 6.1. Casi concreti esaminati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità  - 7. Il nuovo orientamento della Corte di Cassazione che differenzia le due diverse ipotesi di licenziamento discriminatorio e ritorsivo: le sentenze n. 6575 del 5 aprile 2016 e n. 14456 del 9 giugno 2017 - 8. La ripartizione dell’onere della prova tra discriminazione e ritorsività nell’interpretazione della Cassazione - 9. La giurisprudenza di merito dopo il Jobs Act: la distinzione tra licenziamenti discriminatori e ritorsivi – 10. Conclusioni.

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Trasferimento d'azienda, garanzie ex art. 2112 C.C. e nullità del licenziamento per motivo illecito determinante

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in CSDN Roma

Trib. Latina, 8° giugno 2018 – est. dott.ssa Marotta – M.O. (Avv. Alessandra Marconi) c. S. S.r.l. (Massimo D’Ambrosio).

Il divieto di cui all’art 54, D. Lgs. n. 151/2012 subisce una deroga esclusivamente in ipotesi di cessazione dell’attività d’impresa, sicché, in ipotesi di trasferimento d’azienda, il licenziamento intimato dalla società cedente in violazione della disciplina a tutela della maternità, nonché delle garanzie previste dall’art. 2112 è nullo in quanto contrario a norma imperativa e sorretto da motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c.

Lavoro (rapporto) – Tutela della lavoratrice in maternità – divieto di licenziamento - Cessazione dell’attività d’impresa – Trasferimento d’azienda – Inapplicabilità – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Discriminazione – Nullità – Motivo illecito determinante – Tutela reale – Applicabilità.

Artt. 1345, 2112, c.c.; Art. 54, D.Lgs. n. 151/2001; Art. 18, comma 1°, L. n. 300/1970.

Con ricorso ex art. 1, co. 47 ss., L. n. 92/2012, una lavoratrice impugnava il licenziamento formalmente comminatole per giustificato motivo oggettivo rappresentato dalla cessazione dell’attività di impresa, deducendo la nullità dello stesso giacché discriminatorio, con conseguente reintegrazione nel proprio posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, comma 1°, St. Lav.

A sostegno delle proprie domande, la ricorrente, dopo aver allegato l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del recesso datoriale, deduceva altresì la violazione della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 151/2001, il quale, all’art. 54, 3° comma, dispone il divieto di licenziamento della madre lavoratrice durante il periodo che va dalla gravidanza al compimento di un anno di età del bambino, con conseguente nullità dello stesso. Inoltre, la ricorrente deduceva che il licenziamento fosse stato intimato dall’azienda resistente in violazione delle garanzie previste dall’art. 2112 c.c. in ipotesi di trasferimento d’azienda; infatti, sul punto, sosteneva la mancata cessazione dell’attività commerciale espletata dalla società presso cui era impiegata, la quale era proseguita, senza soluzione di continuità, a seguito del subentro di una diversa società in qualità di impresa cessionaria negli stessi locali e con la medesima clientela.

Con ordinanza dell’8 giugno 2018, il Tribunale di Latina, nel premettere che il divieto disposto dal D.Lgs. n. 151/2001 a tutela della maternità subisce una deroga esclusivamente in ipotesi di effettiva cessazione dell’attività di impresa, ritiene che il caso di specie, lungi dall’integrare tale ipotesi, configura un trasferimento d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c.

Su tale presupposto, dopo aver ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di trasferimento d’azienda, il giudice del lavoro accerta che l’intervenuto mutamento nella titolarità aziendale è inidoneo a fondare, per ciò solo, autonomo e legittimo motivo di licenziamento e comporta, al contrario, l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’azienda cessionaria in applicazione delle garanzie ex art. 2112 c.c.

Tanto premesso, il Tribunale di Latina ritiene che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’azienda cedente sia affetto da nullità insanabile di cui all’art. 18, 1° comma, St. Lav.; in particolare il giudice pontino afferma che il recesso de quo integri l’ipotesi di “altri casi di nullità previsti dalla legge” ivi contemplata in via residuale, giacché disposto in violazione dell’art. 2112 c.c. che ha natura imperativa, ritenendo che il tale licenziamento sia riconducibile a motivo illecito determinante di cui all’art. 1345 c.c.

Pertanto, il Tribunale condanna la società cessionaria a riammettere in servizio la lavoratrice con efficacia ex tunc, con conseguente condanna delle due società, in solido, al pagamento di tutte le retribuzioni e i contributi previdenziali maturati medio tempore dalla lavoratrice.

La pronuncia si impone all’attenzione degli interpreti, giacché, da un lato, valorizza la natura imperativa dell’art. 2112 c.c., in quanto tale inderogabile dall’autonomia privata, e, dall’altro, ritiene di applicare, prima ancora che le garanzie ivi disposte a tutela dell’occupazione, le conseguenze sanzionatorie di diritto comune che, mai come negli ultimi tempi, si rivelano particolarmente efficaci finanche nel campo del diritto del lavoro e, soprattutto, in ipotesi di licenziamento.

Infatti, a seguito delle ultime riforme che, dapprima nel 2012 e, successivamente nel 2015, hanno interessato il mercato del lavoro, l’applicazione della tutela reale in ipotesi di licenziamento viziato è stata relegata, come noto, ad ipotesi residuali, confluite nel solo 1° comma dell’art. 18 St. Lav., disciplinante la fattispecie di nullità del licenziamento.

Sul punto, l’ordinanza in commento, seppur attraverso un’argomentazione inedita, contribuisce a smentire la tesi, pure avanzata in dottrina, della c.d. tipicità delle nullità rilevanti ai fini dell’applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del 1° comma, art. 18 L. n. 300/1970 che, lungi dal riferirsi alle sole nullità espressamente contemplate della legge, ricomprende finanche le singole fattispecie disciplinate dal codice civile agli artt. 1345 ss. c.c.

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Garanzie ex art. 2112 c.c. e nullità del licenziamento in frode alla legge

Articolo di Michelangelo Salvagni

pubblicato su www.csdnroma.it 

Trib. Latina, 8° aprile 2018 – est. dott.ssa Avarello – G.V. (Avv. Monica Persico) c. S. S.r.l. S. (contumace).

In ipotesi di trasferimento d’azienda, il licenziamento intimato dalla società cedente in violazione delle garanzie previste dall’art. 2112 è nullo in quanto disposto in frode alla legge allorché, nonostante il mutamento della titolarità aziendale, ricorra identità tra il cedente e cessionario con riferimento agli strumenti aziendali, alla sede e alla clientela. 

Lavoro (rapporto) – licenziamento, per giustificato motivo oggettivo – Trasferimento (d’azienda) – Frode alla legge – Nullità – Tutela reale – Applicabilità.

Artt. 1344 c.c. e 2112, c.c.; Art. 18, comma 1°, L. n. 300/1970.

Con ricorso ex art. 1, co. 47 ss., L. n. 92/2012 una lavoratrice impugnava il licenziamento intimatole verbalmente dal proprio datore di lavoro per presunto motivo giustificato oggettivo, deducendo l’inefficacia e/o la nullità, ovvero l’illegittimità dello stesso perché disposto in violazione delle garanzie previste dall’art. 2112 c.c. in ipotesi di trasferimento d’azienda; la dipendente, sul punto, allegava la mancata cessazione dell’attività commerciale espletata dalla società presso cui era impiegata, la quale era proseguita, senza soluzione di continuità, a seguito del subentro di una diversa società in qualità di impresa cessionaria.

Con ordinanza dell’8 aprile 2018, il Tribunale di Latina, dopo aver puntualmente ripercorso l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di trasferimento d’azienda, ha ritenuto sussumibile nell’alveo applicativo dell’art. 2112 c.c. la vicenda de qua; in particolare, il giudice pontino ha accertato l’intervenuto mutamento della titolarità aziendale, in quanto tale inidoneo a fondare, per ciò solo, autonomo e legittimo motivo di licenziamento e comportante, al contrario, l’automatica prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’azienda cessionaria.

Tanto premesso, il giudice del lavoro di Latina ha affermato che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’azienda cedente fosse affetto, prima ancora che dall’inefficacia riconducibile alla mancata comunicazione del recesso in forma scritta, da nullità ex art. 18, 1° comma, St. Lav., giacché disposto in frode alla legge, stante il precipuo intento perseguito dal datore di lavoro cedente di eludere la normativa prescritta a garanzia dell’occupazione dei lavoratori coinvolti dal trasferimento d’azienda dall’art. 2112 c.c.

Pertanto, il Tribunale ha condannato la società cessionaria a riammettere in servizio la lavoratrice con efficacia ex tunc, conseguendone altresì il diritto della dipendente a percepire tutte le retribuzioni e i contributi previdenziali maturati medio tempore.

La pronuncia si impone all’attenzione degli interpreti, giacché, nell’accogliere una soluzione oltremodo originale, valorizza la natura imperativa dell’art. 2112 c.c., in quanto tale inderogabile dall’autonomia privata; il Tribunale, nell’accertare la nullità del licenziamento poiché disposto in frode alla legge, ritiene di applicare, prima ancora che le garanzie ex art. 2112 c.c., le conseguenze sanzionatorie di diritto comune che, mai come negli ultimi tempi, si rivelano particolarmente efficaci finanche nel campo del diritto del lavoro e, soprattutto, in ipotesi di licenziamento.

Infatti, a seguito delle ultime riforme che, dapprima nel 2012 e, successivamente nel 2015, hanno interessato il mercato del lavoro, l’applicazione della tutela reale in ipotesi di licenziamento viziato è stata relegata, come noto, ad ipotesi residuali, confluite nel solo 1° comma dell’art. 18 St. Lav., disciplinante la fattispecie di nullità del licenziamento.

Sul punto, l’ordinanza in commento, seppur attraverso un’argomentazione inedita, contribuisce a smentire la tesi, pure avanzata in dottrina, della c.d. tipicità delle nullità rilevanti ai fini dell’applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del 1° comma, art. 18 L. n. 300/1970 che, lungi dal riferirsi alle sole nullità espressamente contemplate della legge, ricomprende finanche le singole fattispecie disciplinate dal codice civile agli artt. 1343 ss. c.c.

Pare opportuno richiamare alcuni precedenti di merito che si sono espressi in tal senso: Trib. Trento del 18 dicembre 2017, in corso di pubblicazione su RGL, con nota di A. Federici e Trib. di Vicenza del 4 novembre 2016, in Questione Giustizia, 11 ottobre 2017 con nota M. Vitali.  

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Obbligo di repechage quale elemento costitutivo del licenziamento per g.m.o. la cui inosservanza determina la reintegra del lavoratore

Articolo di Michelangelo Salvagni

pubblicato su www.csdnroma.it

CORTE DI APPELLO DI ROMA – Sentenza del 1° febbraio 2018, n. 469 - (Pres., Rel. dott. G. Pascarella), S. S.R.L. (avv.ti Giovanni Beatrice e Giampaolo Marrazzo ) c./ A.R. (avv. Carlo Alessandrini e Loredana Di Folco).

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – manifesta insussistenza del fatto – obbligo di repechâge datore di lavoro – obbligo di repechâge integrato nella fattispecie del g.m.o. – reintegra del lavoratore

L’impossibilità di ricollocare il lavoratore all’interno della compagine aziendale integra uno degli elementi costitutivi della fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sicché, qualora il datore di lavoro ometta di fornire la prova, trova applicazione la c.d. tutela reale attenuata introdotta dalla l. n. 92/2012 e prevista in ipotesi di “manifesta infondatezza del fatto” posto a fondamento del recesso datoriale.

L’evoluzione giurisprudenziale in tema di dovere datoriale di repêchage è passata da un risalente orientamento più rigido, che prevedeva tale obbligo solo per mansioni equivalenti (sul punto si vedano, ex multis,: Cass., 10.3.1992, n. 2881, e, in senso conforme, Cass., 3.6.1994, n. 5401, nonché Cass., 27.11.1996, n. 10527 e Cass., 14.12.2002, n. 17928, tutte consultabili su www.dejure.it.), ad uno invece più flessibile, secondo cui era possibile derogare al divieto di adibizione a mansioni inferiori sul presupposto che fosse prevalente l’interesse del dipendente al mantenimento del posto di lavoro. L’obbligo di repêchage, la cui teorizzazione va ricollegata al concetto del licenziamento quale extrema ratio, risale a elaborazioni dottrinali  sviluppate degli anni ’70 (fautore della tesi dell’obbligo di repêchage è F. Mancini, in Commento all’art. 18, Commentario allo Statuto dei diritti dei lavoratori, Bologna, 1972), ma ha trovato terreno fertile nella successiva interpretazione giurisprudenziale che, nel tempo, ha tentato di delineare quale fosse il campo di delimitazione delle scelte imprenditoriali tenendo conto del necessario bilanciamento dei contrapposti interessi costituzionalmente garantiti per la tutela del lavoro e per quella dell’impresa (artt. 4 e 41 della Cost.). L’obbligo di ricollocazione rappresenta lo strumento di ulteriore verifica della correttezza delle scelte imprenditoriali; viene così posto a carico del datore di lavoro che irroga il licenziamento per giustificato motivo oggettivo il dovere di collocare il lavoratore, altrimenti licenziato, in una diversa e proficua posizione all’interno dell’azienda.

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Licenziamento disciplinare e congedo straordinario per l'assistenza del disabile

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 2/2018

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CASSAZIONE, 05.12.2017, n. 29062 - Pres. Nobile, Est. Amendola, P.M. Fresa (diff.) – S.F. (avv. Manzi) c. S. S. E. V. L. S.p.a. (avv.ti De Luca Tamajo, Ottone, Cammarata).

Cassa Corte d’Appello di L’Aquila, 25.09.2015

 Licenziamento individuale – Licenziamento disciplinare – Congedo straordinario ex L. 104 del 1992 per assistenza a persona affetta da handicap grave – Mancato rispetto della assistenza continuativa e permanente al disabile – Necessità di assistenza notturna - Fatto insussistente  – Qualificazione di illecito - Irrilevanza disciplinare della condotta – Fatto privo del requisito dell’antigiuridicità -  Illegittimità del recesso – Reintegra.

 In caso di congedo straordinario ai sensi dell'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 concesso al prestatore per assistere la madre in condizione di handicap grave, anche se risulta materialmente accaduto che il lavoratore si trovasse in talune giornate lontano dall'abitazione della persona portatrice di handicap, ciò non è sufficiente a far ritenere sussistente il fatto contestato perché, una volta accertato che, ferma la convivenza, questi comunque prestava continuativa assistenza notturna alla disabile, alternandosi durante il giorno con altre persone, con modalità da considerarsi compatibili con le finalità dell'intervento assistenziale, tanto svuota di rilievo disciplinare la condotta tenuta. (1)

 

Licenziamento disciplinare e congedo straordinario per l’assistenza del disabile.

 

Il caso di specie concerne un licenziamento disciplinare irrogato ad un lavoratore che aveva richiesto un congedo straordinario ai sensi dell'art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 per assistere la madre in condizione di handicap grave (per una disamina completa sul diritto a tale congedo si veda Lamonaca, 966). Nel corso di tale periodo di congedo, il datore di lavoro contestava al dipendente, a seguito di indagine investigativa, che durante alcune giornate, nelle ore diurne, non era stato visto a casa della madre, ma presso la propria abitazione. A fronte di tali addebiti il prestatore rendeva le proprie giustificazioni sostenendo di aver prestato assistenza notturna alla madre, portando a supporto di tale assunto una certificazione medica specialistica che attestava la tendenza della propria madre alla fuga, all’insonnia notturna e tratti di ipersonnia diurna. Ciò rendeva necessario per il lavoratore restare sveglio la notte per assistere il genitore al fine di evitare possibili fughe, già verificatesi in passato. La società, in ogni caso, irrogava il licenziamento disciplinare con preavviso.

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VIZIO DI MOTIVAZIONE DEL LICENZIAMENTO: TUTELA DI DIRITTO COMUNE NELLE PICCOLE IMPRESE (PRE JOBS ACT)

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Sentenza pubblicata su Wikilabour

Articolo pubblicato su www.csdnroma.it 

Con sentenza dello 08.02.2018, n. 125, il Tribunale di Latina, in accoglimento del ricorso promosso dal lavoratore, ha escluso la sussistenza del giustificato motivo oggettivo addotto a sostegno del licenziamento intimatogli dalla Equipment & Service S.r.l., ha dichiarato l’inefficacia dello stesso e, conseguentemente, condannato il datore di lavoro a ripristinare il rapporto lavorativo con la ricorrente, nonché al pagamento del risarcimento del danno, liquidato in misura pari alle retribuzioni globali di fatto maturate in circa quattro anni, dalla messa in mora e sino alla sentenza.

 La pronuncia in oggetto si impone all’attenzione sotto un profilo duplice.

In primo luogo, il giudice, nel riconoscere la genericità del richiamo, nella lettera di licenziamento, alla “grave crisi economica” indicata dalla società quale ragione di carattere economico-organizzativo posta a fondamento della soppressione dell’unità lavorativa cui la era addetto il ricorrente, afferma che la società ha del tutto omesso di soddisfare il relativo onere di motivazione specifica nella comunicazione del recesso; infatti, tale onere, in ipotesi di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo, grava inequivocabilmente sul datore di lavoro.

Precisa il Tribunale che la motivazione del licenziamento deve essere sufficientemente completa e tale da consentire al lavoratore di approntare una difesa adeguata, dovendosi ritenere, in caso contrario, l’equivalenza tra le due diverse fattispecie rappresentate dalla comunicazione eccessivamente generica e l’assoluto difetto della stessa.

 Secondariamente, il Tribunale di Latina, in ragione della “lampante lacuna assertiva della società”, rileva l’inefficacia del suddetto licenziamento, poiché disposto in violazione dell’art. 2, 2°comma, L. n. 604/1966. In particolare, il giudice, nel ritenere la diretta applicabilità della L. n. 604/1966 in quanto l’azienda convenuta impiega meno di quindici dipendenti alle proprie dipendenze, sposa integralmente la tesi difensiva sostenuta dall’Avv. Salvagni, applicando la c.d. “tutela reale di diritto comune” che, sul versante delle conseguenze scaturenti dall’inefficacia del licenziamento, comporta il ripristino del rapporto lavorativo e il pagamento di tutte le retribuzioni maturate medio tempore, anche a titolo di risarcimento del danno.

Come anticipato, la pronuncia rappresenta un precedente importante poiché, a fronte della progressiva diminuzione subita negli ultimi tempi dalle tutele avverso i licenziamenti illegittimi, si pone in senso diametralmente opposto e, grazie al risultato ottenuto dallo studio legale M. Salvagni, apre uno spiraglio per l’effettività della tutela anche per i lavoratori i cui rapporti non sono assistiti dalle garanzie dell’art. 18 (reintegrazione nel posto d lavoro e risarcimento danni).

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Il repêchage in mansioni inferiori dopo il Jobs Act: obbligo o facoltà ?

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 4/2017

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Link all'articolo: www.csdnroma.it 

CASSAZIONE CIVILE n. 13379, 26 maggio 2017, Sez. lav. – Pres. Di Cerbo – Est. Patti – P.M. Sanlorenzo (accoglimento),  B.M. (avv.ti Lacagnina, Piccinino) c. M.D. S.r.l. (avv.ti, Magrini, Pisa, Cantone).

Diff. Corte di Appello di Venezia del 16 gennaio 2014.

 

Lavoro (Rapporto di) – Licenziamento individuale - Giustificato motivo oggettivo – art. 3, legge 15 luglio 1966, n. 604 – Soppressione posto di lavoro – Obbligo di repêchage – Mansioni inferiori promiscue - Illegittimità del licenziamento.

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro deve estendersi alla verifica della possibilità di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori se il dipendente esercitava, promiscuamente alle mansioni soppresse, anche compiti non riconducibili alla propria qualifica, sebbene in misura minore.

 

Il repêchage in mansioni inferiori dopo il Jobs Act: obbligo o facoltà ?

La modifica della norma sullo ius variandi (articolo 2103 c.c., come novellato dal D.Lgs. n. 81 del 2015) ha inevitabili ricadute anche sull’obbligo di repêchage che, proprio in virtù delle nuove disposizioni, risulta sicuramente dilatato sia in senso orizzontale che verticale, dovendo tale obbligo avere, come parametro di riferimento, non solo tutte le mansioni riferibili al livello di inquadramento del dipendente ma anche quelle di livello inferiore.

Sino all’entrata in vigore del citato decreto, l’orientamento giurisprudenziale in tema di repêchage in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo è stato condizionato dal principio dell’equivalenza ex art. 2103 c.c. e, in un certo senso, “imbrigliato” dall’inderogabilità delle disposizioni ivi contenute (la nullità dei patti contrari) e, quindi, dal limite legale posto dal rispetto del bagaglio professionale del prestatore. Su tale limite, ritenuto invalicabile, si era quindi fondato il prevalente indirizzo giurisprudenziale che riteneva ammissibile l’obbligo di ricollocamento del lavoratore solo con riferimento in posizioni di lavoro equivalenti (in tal senso, ex multis: Cass. 12.2.2014, n. 3224, in NGL, 2014, 522; Cass. 8.11.2013 n. 25197, in LG, 2014, 181; Cass., 1.8.2013, n. 18416, in Mass. giur. lav., 2014, 1/2, 35. Cass., 23.6.2005, n. 13468, in Orient. giur. lav., 2005, 647).

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LICENZIATO DALL’AGENZIA DI SOMMINISTRAZIONE PER UNA PRESUNTA “MANCANZA DI OCCASIONI DI LAVORO”: il Tribunale di Roma, condanna Randstad alla reintegra del lavoratore

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Ordinanze concernenti la causa pubblicate su:

 Lavoro e previdenza oggi, n. 5/6 2016, a cura di Paolo De Marco

 Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 2/2016, a cura di Lorenzo Giasanti

 Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.2/2017

CDSN Roma 

Il Tribunale di Roma, con sent. n. 8106/17 del 5.10.2017, ha confermato la precedente ordinanza dello stesso Tribunale, con la quale l’Agenzia di somministrazione era stata condannata a reintegrare un lavoratore licenziato per giustificativo motivo, basato su un’asserita perdurante “mancanza di occasioni di lavoro”.

In questa vicenda, come anche in altra analoga fattispecie decisa precedentemente dal Tribunale di Velletri (e patrocinata sempre da questo studio, cfr. ord. n. 12411/16 del 29.07.2016, est. Falcione), il lavoratore, terminata la missione presso la società utilizzatrice cui era stato destinato, veniva collocato in disponibilità per “mancanza di occasioni di lavoro” e, in seguito, licenziato per il perdurare delle suddette condizioni. ...

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IL TRIBUNALE DI LATINA REINTEGRA LA LAVORATRICE IN MATERNITÀ VITTIMA DI UN LICENZIAMENTO DISCIPLINARE: LA GIUSTA CAUSA È INESISTENTE

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Link all'articolo: www.latina24ore.itwww.buongiornolatina.itwww.latinaoggi.euwww.mobile.ilcaffe.tv  

Il Tribunale di Latina, con ordinanza n. 11863 del 31.10.2017, ha accolto il ricorso promosso da una lavoratrice madre che era stata licenziata durante il primo anno di vita del figlio, condannando la società alla reintegrazione della medesima nonché al pagamento di tutte le retribuzioni dal giorno dell’illegittimo licenziamento a quello di effettiva reintegra.

In questa particolare vicenda, la società ha proceduto a licenziare la dipendente durante il periodo di maternità adducendo quale ragione posta alla base del recesso una presunta grave condotta della lavoratrice che sarebbe stata posta in essere, tuttavia, addirittura in un periodo antecedente a quello in cui la medesima aveva comunicato lo stato di gravidanza.

Infatti, la asserita giusta causa posta dalla società a fondamento del provvedimento disciplinare è stata ritenuta dal Giudice del tutto insussistente in quanto generica e totalmente sfornita di prova. A tal proposito, il Tribunale di Latina ha accertato che la società non ha in alcun modo provato, come sarebbe stato suo onere, né la colpa grave della lavoratrice (che si limitava ad eseguire le direttive dei propri responsabili), né il fatto in sé oggetto di contestazione, essendo la documentazione prodotta dalla resistente del tutto priva di rilevanza probatoria.

Pertanto, il Tribunale ha dichiarato la radicale nullità del licenziamento in quanto contrario ad uno specifico ed inderogabile divieto normativo, che non consente il licenziamento della lavoratrice madre nel primo anno di vita del bambino, a meno che non venga dimostrata una colpa grave della medesima.

La pronuncia in questione rappresenta certamente una conferma della centralità e dell’importanza dei diritti fondamentali dell’individuo, dei valori assoluti e primari della maternità e della famiglia che sono sanciti dalla Carta Costituzionale e che sono difesi da specifiche disposizioni normative inderogabili.

Il Tribunale di Latina, quindi, disponendo la reintegrazione della lavoratrice nel precedente posto di lavoro con diritto a percepire tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento ad oggi, ha impedito al datore di lavoro di utilizzare una “fittizia” giusta causa per evadere una chiara e inderogabile norma di legge.

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ALMAVIVA: REINTEGRATO IL 154ESIMO LAVORATORE PER VIOLAZIONE DEI CRITERI DI SCELTA. La mancata comparazione rivela la volontà discriminatoria

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Il Tribunale di Roma, con ordinanza n. 108215 del 17 novembre 2017, ha reintegrato un altro dipendente di Almaviva (difeso da questo Studio Legale) che era stato estromesso a seguito della ormai nota procedura di licenziamento collettivo conclusasi nel dicembre del 2016, condannando la società al pagamento di tutte le retribuzioni dal giorno del recesso a quello di effettiva reintegra.

Come già abbondantemente riportato dai maggiori media nazionali, il Giudice ha accertato – in questa ordinanza, come in quelle del giorno precedente (vedi La Repubblica del 17/112017 e Il Fatto Quotidiano del 17/11/2017) – l’illegittimità del licenziamento a seguito della mancata effettuazione della comparazione dei lavoratori su tutto il complesso aziendale poiché, senza reali giustificazioni, la società ha proceduto ad un irragionevole ed irrazionale restringimento del perimetro aziendale sul quale applicare i criteri legali per la collocazione in mobilità.

In sostanza, ed è questo il motivo che rende illegittimo il licenziamento secondo la prospettazione del Tribunale di Roma, si sono scelti i lavoratori da estromettere comparando soltanto quelli della sede di Roma e non anche quelli impiegati nelle altre sedi sparse su tutto il territorio nazionale, violando con tale scelta l’art. 5 della legge 223/1991.

Il Tribunale di Roma, inoltre, ha rilevato la natura discriminatoria della scelta operata dalla società di licenziare i soli lavoratori addetti alla sede di Roma in quanto i medesimi non avevano accettato il taglio delle retribuzioni e del tfr, proposto, invece, anche per il tramite dei sindacati, quale misura alternativa al licenziamento stesso. Sul punto, scrive il Giudice che “… appare evidente che tale scelta, ..., si risolve in una vera e propria illegittima discriminazione: chi non accetta di vedersi abbattere la retribuzione (a parità di orario e di mansioni) e lo stesso tfr, in spregio dell’art. 2103 cod. civ., dell’art. 36 Cost. e di numerosi altri precetti costituzionali ancora vigenti, viene licenziato e chi accetta viene invece salvato. Un messaggio davvero inquietante anche per il futuro e che si traduce comunque in una condotta illegittima perché attribuisce valore decisivo ai fini della scelta dei lavoratori da licenziare, pur se tramite lo schermo dell’accordo sindacale, ad un fattore (il maggiore costo del personale di una certa sede rispetto ad altre) che per legge è invece del tutto irrilevante a questo fine”.

Il Giudice ha quindi dichiarato l’illegittimità del licenziamento ritenendo violati i criteri legali di scelta, nello specifico per la mancata comparazione dei lavoratori licenziati sull’intero complesso aziendale.

L’azienda, pertanto, pensando di trovare un giusto riparo grazie allo “scudo” dell’accordo sindacale, ha illegittimamente licenziato i lavoratori colpevoli di non aver accettato tale aberrante compromesso.

Il criterio posto alla base del licenziamento collettivo, ossia quello di limitare la procedura ai soli dipendenti della sede di Roma, senza considerare l’eventuale fungibilità delle mansioni espletate dai medesimi e quindi la loro collocazione presso le altre sedi site sul territorio nazionale, viola i criteri di scelta così come previsti dalla legge.

Nulla hanno potuto dimostrare le giustificazioni che la società ha posto a fondamento della scelta di limitare la procedura ai soli dipendenti della sede di Roma, sia in tema di infungibilità, sia a in tema di distanza geografica o per generiche e non provate esigenze organizzative, essendo evidente che l’unico tratto distintivo tra la sede romana e le altre era il maggior costo del lavoro a causa del diniego al taglio salariale.

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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e l'obbligo di repêchage anche in mansioni inferiori nell'interpretazione dottrinale e giurisprudenziale prima e dopo il Jobs Act

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n. 5/6 2017

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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: brevi cenni. – 2. La nozione di licenziamento per giustificato motivo nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale: i concetti di costo contabile e costo-opportunità – 3. Il controllo giudiziale sull’effettività del licenziamento per motivo oggettivo. – 3.1. Segue. Problematiche sui limiti del controllo giudiziale sull’effettività della ragione del recesso: la querelle sul licenziamento per mere esigenze di profitto. – 4. Il licenziamento per g.m.o. quale extrema ratio funzionalmente connessa all’obbligo di repêchage nell’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale.– 5. La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sull’obbligo di repêchage quale elemento costitutivo della fattispecie del licenziamento per g.m.o.: l’onere della prova esclusivamente a carico del datore di lavoro e conseguenze sanzionatorie – 6. L’obbligo di repêchage anche in mansioni inferiori ai fini della conservazione del posto di lavoro alla luce del Jobs Act (le modifiche del D.Lgs. n. 81 del 2015). – 6.1. Evoluzione normativa e giurisprudenziale del repêchage in mansioni inferiori prima del D.Lgs. n. 81 del 2015 e la ripartizione dell’onere della prova. – 6.2. L’art. 2103 c.c. a seguito delle modifiche del D.Lgs. n. 81 del 2015: il superamento della regola dell’equivalenza, l’ammissibilità della dequalificazione professionale e dei patti di declassamento. – 6.3. L’art. 2103 c.c. riformato e il repêchage anche in mansioni inferiori nell’interpretazione della dottrina: obbligo o facoltà per il datore di lavoro? – 6.4. L’esegesi giurisprudenziale dopo il Jobs Act: sussistenza di un obbligo di repêchage del lavoratore anche in mansioni inferiori.

 

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: brevi cenni.

L’analisi dell’istituto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, così come l’individuazione della sua nozione, non può prescindere da un inquadramento normativo della fattispecie che collochi la stessa all’interno delle norme generali dettate in tema di licenziamento dal Codice Civile e di quelle specifiche relative alla materia del licenziamento per giusta causa e giustificato motivo definite, principalmente, dalla Legge 15 luglio 1966, n. 604.

In primo luogo è opportuno effettuare un breve excursus delle norme codicistiche, partendo dall’art. 2118 c.c. che – all’interno del Libro V del Codice – disegna il confine del recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato stabilendo che “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità”. Precisa, inoltre, tale articolo che “in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione[1] che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro”.

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LICENZIAMENTI DISCIPLINARI NEL PUBBLICO IMPIEGO PRIVATIZZATO: IL TRIBUNALE DI ROMA REINTEGRA LA DIPENDENTE DELL’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile)

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con ordinanza del 20.07.2017, n. 75581, il Tribunale di Roma accoglieva il ricorso presentato ex art. 1, comma 48, L. 92/2012 da una lavoratrice dipendente di un ente pubblico condannando parte datoriale a reintegrarla nel posto di lavoro precedentemente occupato, nonché al pagamento di tutte le retribuzioni medio tempo maturate, dalla data dell’illegittimo licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

La vicenda giudiziaria riguardava un licenziamento disciplinare irrogato ad una lavoratrice, alla quale veniva contestata la veridicità dei numerosi certificati medici, giustificativi delle assenze dal servizio. Con il ricorso presentato alla sezione lavoro del Tribunale di Roma la ricorrente, assistita da questo Studio Legale, contestava e impugnava il licenziamento, poiché illegittimo, in quanto la certificazione medica era veritiera e la stessa aveva sempre seguito, nelle ore di assenza dal posto di lavoro, tutti gli adempimenti medici di cui necessitava e per cui tale certificazione medica era stata redatta. Il Tribunale di Roma, alla luce della prova testimoniale svolta, nonché alla luce dei certificati prodotti in giudizio da parte ricorrente, riteneva provati gli interventi medici subiti dalla lavoratrice e tutte le terapie fisioterapiche alla medesima prescritte nel corso del tempo.

Quindi, conseguentemente alle evidenze provenienti dalla escussione dei testimoni e dalla documentazione prodotta, non emergevano in corso di causa elementi volti a provare, in alcun modo, la falsità dei certificati medici della ricorrente. Pertanto, essendo privo di riscontri il fondamento del provvedimento disciplinare irrogato alla lavoratrice, il Giudice accoglieva totalmente la domanda e ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato, condannando l'ENEA al pagamento di tutte le retribuzioni medio tempore maturate, dalla data del recesso sino a quella della effettiva reintegrazione.

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VICENDA AVIOINTERIORS: ancora due reintegri per violazione dei criteri di scelta nella procedura del licenziamento collettivo

Con le ordinanze del 22.06.2017, il Tribunale di Latina, Sezione Lavoro pronunciandosi sui ricorsi avverso i licenziamenti collettivi intimati da Aviointeriors S.p.A. nel 2014, ha condannato la Società alla reintegra nel posto di lavoro, nonché al pagamento della massima indennità risarcitoria (12 mensilità), per altri due lavoratori. Il giudice, infatti, ha ravvisato, anche in questi casi, la violazione dei criteri utilizzati per selezionare il personale da collocare in mobilità e ha annullato i licenziamenti. ...

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Aviointeriors, reintegro e risarcimento: l’avvocato Michelangelo Salvagni vince il ricorso per licenziamento illegittimo

Massimiliano Nardi sarà reintegrato nel proprio posto di lavoro alla Aviointeriors, con il massimo di risarcimento previsto dalla legge pari a dodici mensilità. Lo ha deciso il giudice del lavoro del Tribunale di Latina, Sara Foderaro, che ha accolto il ricorso presentato dall'avvocato Salvagni (Fiom Cgil) dopo più di due anni dal “licenziamento illegittimo”.
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L'irrilevanza giuridica del fatto equivale all'insussistenza della condotta

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 1/2017

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CASSAZIONE, 20.09.2016, n. 18418 - Pres. Bronzini, Est. Balestrieri, P.M. Celentano (conf.) – P.I. S.r.l. (avv.ti Amorese, Corvino) c. Z. M. (avv. Arena).

Conf.  C. Appello Brescia, 12.05.15

 Licenziamento individuale – Licenziamento disciplinare – Uso di espressioni non educate -  Fatto sussistente  – Qualificazione di illecito - Irrilevanza disciplinare della condotta – Fatto privo del requisito dell’antigiuridicità -  Illegittimità del recesso – Reintegra.

L’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente, deve essere ricondotto all’ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cd. Reale. (1)

 

Il licenziamento disciplinare e la tutela reintegratoria “a maglie larghe”: l’irrilevanza giuridica del fatto equivale alla insussistenza della condotta.

Il caso di specie concerne un licenziamento disciplinare irrogato a causa di una serie di condotte poste in essere del lavoratore: un comportamento maleducato e offensivo nei confronti del personale che aveva il compito di formare; il rifiuto di procedere alla negoziazione del superminimo; l’aver rivendicato nei confronti dell'azienda un demansionamento.

La Corte di Appello di Brescia ha ritenuto provata la prima circostanza, ossia il comportamento non educato nei confronti di altri soggetti, valutandola tuttavia irrilevante, al pari delle altre due presunte mancanze, in ragione della manifesta insussistenza di illiceità o antigiuridicità dei comportamenti. I giudici di appello hanno altresì osservato che le condotte oggetto di contestazione erano punite dal c.c.n.l di settore con la sola sanzione conservativa.

La società ha proposto ricorso in Cassazione assumendo che nella cognizione di merito fosse stato provato l’addebito censurato al lavoratore, ciò comportando quale conseguenza la sola tutela risarcitoria di cui all’art. 18, comma 5, e non già quella reintegratoria.

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VINTI TUTTI I RICORSI CONTRO I LICENZIAMENTI COLLETTIVI AVIOINTERIORS S.p.A.: il Tribunale di Latina condanna la società a reintegrare i lavoratori per la violazione dei criteri di scelta

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Il Tribunale di Latina, pronunciandosi sui ricorsi avverso i licenziamenti collettivi intimati da Aviointeriors S.p.A. nel 2014, ha condannato la Società alla reintegra nel posto di lavoro di tutti i ricorrenti, nonché al pagamento della massima indennità risarcitoria (12 mensilità). Il giudice, infatti, ha ravvisato la violazione dei criteri utilizzati per selezionare il personale da collocare in mobilità e ha annullato i licenziamenti.

La procedura di licenziamento collettivo si fonda sulla rigorosa applicazione di criteri di scelta che devono essere correttamente utilizzati per individuare i lavoratori da porre al di fuori del perimetro aziendale; nel caso di specie, la Società ha utilizzato i criteri di scelta legali e ha quindi fatto riferimento ai “carichi di famiglia, all’anzianità e alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative”, attribuendo un punteggio per ognuno dei citati criteri, la cui somma corrisponde al punteggio totale di ogni lavoratore e ne determina la posizione in lista. I ricorrenti, contestando la corretta applicazione dei criteri legali, hanno dimostrato in giudizio che avrebbero dovuto vedersi assegnare un punteggio diverso da quello riportato nella comunicazione conclusiva. L’attribuzione dei punteggi, come è emerso nel corso del contenzioso, è stata determinata dall’erronea considerazione sia dell’anzianità che delle esigenze tecnico-produttive, essendo i ricorrenti più anziani di quanto considerato e, soprattutto, essendo essi idonei ad espletare mansioni in altri reparti (almeno 5 diversi reparti). Pertanto, il Giudice ha ritenuto che il punteggio totale che avrebbero dovuto avere i lavoratori licenziati risultava molto più alto di quello attribuito dalla Aviointeriors e, quindi, idoneo ad evitare il licenziamento dei ricorrenti. La Società, di contro, non è riuscita a dimostrare la correttezza dell’applicazione dei criteri di scelta in merito all’anzianità o alle esigenze tecnico-produttive.

Secondo il Tribunale di Latina, che accoglie totalmente la domanda dei ricorrenti, la società avrebbe dovuto confrontare i lavoratori licenziati sull’intero complesso aziendale e quindi su tutti i reparti dell’azienda.

Alla luce di tali evidenze, il Tribunale ha reintegrato i lavoratori condannando la società al pagamento di 12 mensilità.

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Licenziamento per giusta causa per presunta violazione del codice etico aziendale e svolgimento di attività lavorativa concorrente durante un periodo di aspettativa: ATAC S.p.A. CONDANNATA A REINTEGRARE UN LAVORATORE

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con provvedimento n. 36466/2017 del 11.04.2017 il Tribunale di Roma ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare intimato a un lavoratore dipendente di ATAC S.p.A., condannando l’azienda a reintegrarlo nel posto di lavoro e al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno. Il caso sottoposto al vaglio della magistratura tratta la vicenda di un dipendente a cui la Società ATAC S.p.A., al termine di un procedimento disciplinare, ha intimato il licenziamento in tronco. Le contestazioni disciplinari mosse da ATAC S.p.A. erano incentrate sulla violazione del codice etico e sullo svolgimento di una seconda attività lavorativa concorrenziale (asseritamente non autorizzata dalla Società) mentre il lavoratore fruiva di un periodo di aspettativa non retribuita; secondo il Tribunale, nessuna delle due violazioni sussiste dal momento che l’attività asseritamente concorrenziale tenuta dal lavoratore si era indirizzata nei confronti di una società diversa da quella effettivamente concorrente di ATAC S.p.A.

Nella lettera di licenziamento la Società ha posto a fondamento del recesso un comportamento del dipendente consistente in reiterate inadempienze nello svolgimento delle proprie mansioni di Direttore esecutivo espletate per la società in cui stava lavorando nel periodo di aspettativa; dalla documentazione prodotta in giudizio da ATAC S.p.A. e grazie soprattutto a quanto allegato nel ricorso dalla parte ricorrente, non è emersa nessuna prova circa l’effettiva sussistenza degli inadempimenti contestati. Pertanto, secondo il Giudice, il datore di lavoro non ha assolto all’onere della prova che grava sullo stesso circa la presenza di una giusta causa di licenziamento. Infatti, in base all’attuale nuovo testo dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla legge n. 92/2012, per i datori di lavoro che occupino più di 15 dipendenti, se si realizza l’insussistenza del fatto posto alla base del recesso, ovvero se il fatto stesso è sanzionabile alla stregua del CCNL solo attraverso una misura conservativa, trova applicazione la tutela massima della reintegrazione nel posto di lavoro, oltre il pagamento di una indennità risarcitoria. Nel caso di specie, infatti, non è emerso che il lavoratore durante l’aspettativa non retribuita, mentre lavorava per la nuova società, abbia espletato mansioni di concorrenza ad ATAC.

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LICENZIAMENTI COLLETTIVI ILLEGITTIMI E VIOLAZIONE DEI CRITERI DI SCELTA: REINTEGRATI ALTRI QUATTRO LAVORATORI ALITALIA

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con quattro ordinanze depositate in data 26.04.2017 il Tribunale Ordinario di Civitavecchia, sezione lavoro, ha annullato il licenziamento Impugnato da quattro lavoratori Assistenti di Volo condannando la Società Alitalia a reintegrarli nel posto di lavoro e a corrispondere agli stessi un indennizzo economico. La fattispecie concreta oggetto di contenzioso riguardava l’accertamento della violazione dei criteri di scelta nella procedura di licenziamento collettivo, apertasi nell’ottobre 2014, che ha riguardato circa 2000 lavoratori dipendenti dell’allora Alitalia CAI S.p.A.

Si domandava al Tribunale, previa declaratoria di nullità e/o illegittimità e/o inefficacia del licenziamento, la condanna alla reintegra dei Lavoratori e al pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 18 della L. 300/1970; l’accoglimento è totale.

In ossequio all’indirizzo consolidato della Cassazione, il Giudice ha affermato che nel licenziamento collettivo e nel collocamento in mobilità è il datore di lavoro a dover indicare compiutamente i criteri e le modalità della sua scelta; secondo il Tribunale di Civitavecchia, infatti, grava sul datore di lavoro l’onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro piena applicazione individuale nei confronti dei lavoratori licenziati, mentre grava sul lavoratore l’onere di dimostrare che la scelta in concreto operata dal datore di lavoro non ha in realtà fatto applicazione di quei criteri, allegando l’indicazione dei lavoratori in relazione ai quali la scelta è stata illegittimamente applicata.

In base a tale principio, il provvedimento giudiziario ha osservato come la convenuta, a differenza dei ricorrenti, non abbia provveduto ad adempiere all’onere della prova circa il fatto contestato, ossia la maggiore anzianità dei ricorrenti rispetto ad altri lavoratori non soggetti a recesso datoriale. Infatti, nel caso di specie la convenuta si era limitata a produrre in giudizio un documento non idoneo a dimostrare il rispetto dei criteri di scelta ne lo aveva dimostrato a seguito della prova testimoniale.

Pertanto, il Tribunale di Civitavecchia, in assenza di idonea prova documentale e/o testimoniale, ha stabilito che l’onere della prova da parte datoriale non era stato adempiuto, determinando l’accertamento della violazione del criterio di scelta concordato e l’assunto per cui se tale criterio fosse stato applicato correttamente i ricorrenti non avrebbero dovuto essere licenziati stante la loro maggiore anzianità rispetto a quella convenzionalmente e illegittimamente assegnata da Alitalia ai fini di giustificare il loro licenziamento.

Il Tribunale di Civitavecchia ha condannato l’Alitalia a reintegrare in servizio i quattro lavoratori secondo i suesposti principi.

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Nel contratto a tutele crescenti il licenziamento ritorsivo rientra tra i casi di nullità suscettibili di reintegrazione

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n.4/2016

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TRIBUNALE DI ROMA, 24.6.2016 - Est. Leone - C.N.B (avv.ti Crescenzio, Bernardi) c. Settembrini S.p.A. e M.L. (avv. Rinaldi).

 

Licenziamento individuale – Contratto di lavoro a tutele crescenti – Sanzioni disciplinari – Licenziamento  disciplinare - Consumazione potere disciplinare – Natura ritorsiva del recesso -  Motivo illecito determinante – Nullità - Sussistenza - Reintegrazione.

 

Il licenziamento disciplinare dev’essere considerato ritorsivo quando l’ordine temporale tra i provvedimenti e i comportamenti del dipendente è tale che tra la sospensione dal servizio e il licenziamento non è stato svolto alcun giorno di lavoro effettivo e, quindi, non può essersi realizzato, neppure in ipotesi, alcun comportamento da parte del dipendente (assente) se non la sola impugnativa delle sanzioni innanzi all’Organo arbitrale. Tale unico circostanza di fatto, in assenza di diverse indicazioni da parte del datore di lavoro, comprova che la scelta di quest’ultimo che determina il recesso risulta connotata dal chiaro e unico intento ritorsivo, quale risposta all’impugnativa delle precedenti sanzioni il cui potere disciplinare si era peraltro già consumato con la irrogazione delle stesse. (1)

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Il Tribunale di Latina reintegra 5 lavoratori licenziati dalla Sapa di Fossanova

Sentenza pubblicata su Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 2/2017

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Ordinanza Tribunale Latina, 27 settembre 2016

Al Tribunale di Latina vincono i lavoratori e i loro diritti.

La Sapa (ex ALCOA) di Fossanova, importantissima azienda siderurgica del territorio sud pontino, a luglio del 2014, a seguito di una procedura di mobilità, licenziava tutti i dipendenti di tale sede (ossia 136 lavoratori). Il 27 settembre 2016 il Tribunale di Latina ha accolto i primi ricorsi presentati da alcuni lavoratori appartenenti all’organizzazione sindacale CGIL – FIOM, tutti rappresentati in giudizio dall’avvocato Michelangelo Salvagni, reintegrandoli nel posto di lavoro ai sensi dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e condannando la società a corrispondere ai medesimi un risarcimento del danno pari a 12 mensilità (misura massima prevista per legge).

La controversia prende le mosse da una procedura di mobilità, apertasi e conclusasi nell’anno 2014 causa “forti perdite economiche”, allorché la Sapa comunicava la chiusura dello stabilimento di Fossanova e il licenziamento di tutti i 136 dipendenti che ivi prestavano servizio.

Il giudice invece, accogliendo la tesi dei lavoratori, ha dichiarato l'illegittimità della procedura di mobilità poiché il criterio di scelta indicato dalla Sapa è risultato del tutto falso. Il Tribunale di Latina, infatti, ha osservato sul punto che a fronte della sussistenza di 136 dipendenti effettivamente in organico presso la sede di Fossanova, i destinatari del provvedimento di recesso collettivo erano solo 130. Quindi, ben 6 lavoratori che espletavano la loro attività presso la sede di Fossanova non risultavano destinatari di alcun provvedimento di licenziamento. Il magistrato ha accertato al riguardo che questi 6 lavoratori erano stati ricollocati presso lo stabilimento di Atessa, in Abruzzo, facente parte del gruppo societario Sapa, nonostante “sulla carta” facessero parte dei 136 lavoratori che prestavano servizio nello stabilimento di Fossanova. Da qui l'illegittimità del criterio di scelta adottato dalla società al fine di giustificare il licenziamento collettivo, giudicato tutt'altro che oggettivo e veritiero, con conseguente riconoscimento per i lavoratori ricorrenti della tutela reintegratoria piena ex art. 18 Legge n. 300/70.

Per una migliore comprensione della vicenda, si segnalano i seguenti articoli pubblicati on line:

- Corriere di Latina

- Radio Luna 

- http://www.ilcaffe.tv/articolo/28103/reintegrati-i-lavoratori-licenziati-dalla-fabbrica-dell-alluminio

- Download rassegna stampa (pdf) 

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Jobs Act e licenziamento disciplinare: alla ricerca della reintegrazione tentando la strada del recesso ritorsivo o discriminatorio

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato Lavoro e Previdenza Oggi, n.9/10 2016 

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Tribunale di Roma, Sez. IV Lav., ordinanza 4 aprile 2016 – Giud. Marrocco – P. S. (Avv. Marongiu) c. T. S.r.l. (contumace)*

 

Rapporto di lavoro – Contratto di lavoro a tutele crescenti – Sanzioni e contestazioni disciplinari – Licenziamento disciplinare – Natura discriminatoria o ritorsiva del recesso – Ripartizione onere della prova - Nullità del licenziamento – Esclusione – Insussistenza del fatto materiale contestato – Sussistenza – Reintegrazione.

 

Il licenziamento discriminatorio si può ritenere dimostrato se risulti dagli elementi di causa la sussistenza del c.d. fattore rischio e del dato oggettivo che dia conto del fatto che il lavoratore, proprio a causa delle sue condizioni e delle sue scelte, sia stato trattato in maniera differente rispetto a un altro soggetto in analoga situazione e ciò a prescindere dalla motivazione addotta e dall'intenzione di chi ha adottato il provvedimento discriminatorio. Il recesso per motivo illecito ex art. 1345 c.c., invece, ricorre ove la condotta datoriale sia stata determinata esclusivamente da un intento contra legem e, quindi, nel caso in cui vi sia stata da parte di quest’ultimo una reazione abnorme rispetto ad una condotta lecita del prestatore.

Esclusa la natura discriminatoria e comunque illecita del licenziamento e quindi gli effetti sanzionatori della nullità del recesso, lo stesso può ritenersi illegittimo ai sensi dell’art. 3, co. 2, del D.Lgs. n. 23/2015, quando sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, con conseguente annullamento del licenziamento e reintegra nel posto di lavoro

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Sulla natura disciplinare del licenziamento per scarso rendimento in caso di notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n. 5-6/2016

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Sulla natura disciplinare del licenziamento per scarso rendimento in caso di notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore

 

Tribunale di Roma, ordinanza 24 dicembre 2015 – Est. Buconi – G. M. (Avv. C. de Marchis e V. Piresti) c. A. F. S.r.l.*

 

Licenziamento individuale – Assenze per malattia discontinue e irregolari – Scarso rendimento – Presupposti – Inutilizzabilità della prestazione – Carattere disciplinare del recesso - Necessità di colpa – Insussistenza – Reintegra

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Diritto di critica, utilizzo di espressioni sconvenienti e licenziamento del sindacalista

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.3/2016

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TRIBUNALE FERRARA – decreto ex art. 28 L. 300/70, 30 gennaio 2016 – Est. D’Ancona -  L.F. (avv.ti Piccinini, Mangione, Mozzanti) c.  B. P. I. S.r.l. (avv.ti Pavone, Marasco, Lopez).  

Lavoro subordinato – Condotta antisindacale ex art. 28 L. 300/70 - Lavoratore sindacalista – Uso di espressioni aspre e inopportune durante una trattativa sindacale - Rivendicazione del ruolo sindacale – Licenziamento disciplinare – Pertinenza delle espressioni utilizzate ai temi oggetto di critica - Sproporzione della sanzione e carattere strumentale del licenziamento – Nullità – Natura antisindacale e ritorsiva del recesso – Reintegra.

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Scarso rendimento ed eccessiva morbilità nel rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 1/2016

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CASSAZIONE, 2.9.2015, n. 17436, ord. – Pres. Stile, Est. Manna, P.M. Matera (conf.) – A.T.M. - Azienda trasporti milanese Spa (avv.ti Giacchetti, Zambello) c. A.G. (avv. Civitelli).
Conf. Corte d’Appello di Milano, 10.3.2013.


Licenziamento individuale – Rapporto di lavoro autoferrotranvieri – Ferrovie in concessione –
Esonero agente per scarso rendimento – Eccessiva morbilità – Necessità di colpa – Insussistenza –
Giustificato motivo oggettivo – Differenza dall’esonero del servizio per malattia.


Ai fini dell’esonero definitivo dal servizio dei lavoratori autoferrotranvieri dipendenti da aziende
esercenti il pubblico servizio di trasporti in regime di concessione, la fattispecie dello scarso rendimento previsto dall’art. 27, lett. d, del Regolamento attuativo, all. A, al r.d. n. 148 del 1931, è ipotesi diversa e separata da quella prevista dallo stesso art. 27, lett. b, che disciplina invece la malattia. Conseguentemente, e ripetute assenze per malattia non possono considerarsi come utili ai fini della configurabilità dello scarso rendimento idoneo a giustificare l’esonero dal servizio dell’agente. (1)

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Prassi aziendale, dichiarazioni confessorie rese in sede disciplinare e principio di proporzionalità della sanzione con riferimento al ccnl: applicazione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori in caso di insussistenza del fatto contestato

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi 1-2/2016

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Corte d'Appello di Roma, Sez. Lav., sentenza 7 aprile 2015, n. 3161 - Pres. Cambria - Rel. Michelini - B. A. (Avv. R. Chilosi e T. Calamita) c. O. I. (Avv. R. Troiano e A. Ciranna)*

Ragioni in fatto e diritto della decisione

Con ricorso ex art. 1, comma 48, L. n. 92/2012 depositato in data 5/3/2013 al Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, A. B., medico dipendente dell'O. I. dal 1982 e dal 2001 primario responsabile del reparto cardiologia quale dirigente medico di II livello, conveniva in giudizio l'O. I. chiedendo accertarsi la nullità o l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 8/8/2012 a seguito di contestazione disciplinare del 23/7/2012 relativa a fatti, accertati mediante incarico conferito ad agenzia investigativa, di omessa timbratura del badge di rilevazione delle presenze in uscita ed in entrata durante la pausa pranzo in una serie di giorni lavorativi tra giugno e luglio 2012, qualificati da parte datoriale come abbandono del posto di lavoro e mancato rispetto dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale prescritto dal CCNL (38 ore), con conseguente ingiusto profitto consistito nella percezione dell’intera retribuzione nonostante la mancata prestazione dell'attività lavorativa.

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Il controllo giudiziale sull’effettività del licenziamento per motivo oggettivo

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 4/2015

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CASSAZIONE CIVILE n. 5173, 16 marzo 2015, Sez. lav. – Pres. Macioce – Est. Buffa – P.M. Fresa (Conf.), Assitur s.r.l. (avv. Pessi) c. T.M. (avv. Agosto).
Conf. Corte di Appello di Catanzaro del 30 agosto 2011.


Lavoro (Rapporto di) – Licenziamento individuale - Giustificato motivo oggettivo – art. 3,
legge 15 luglio 1966, n. 604 – Controllo giudiziale sull’effettività delle ragioni – Calo di
commesse – Soppressione posto di lavoro – Attività affidata in appalto - Obbligo di repechage – Onere della prova – Illegittimità del licenziamento.


Non costituiscono idonea giustificazione al licenziamento per giustificato motivo oggettivo le ragioni addotte dal datore di lavoro ove tali ragioni richiamino a un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale che non può essere meramente strumentale ad un incremento del profitto, ma devono essere dirette a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti. Il lavoratore ha quindi il diritto che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo organizzativo, e non ad un mero incremento di profitti, e che dimostri, inoltre, l'impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale


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CASSAZIONE CIVILE n. 12242, 12 giugno 2015, Sez. lav. – Pres. Lamorgese – Est. Ghinoy –
P.M. Celeste (Conc. rigetto) Dolce e salato di Baucia Giovanni & C. s.n.c. (avv.ti Luponio e
Porrati) c. C.F. (avv.ti Spinoso e Grattarola).

Conf. Corte di Appello di Torino del 13 gennaio 2012.


Lavoro (Rapporto di) – Licenziamento individuale - Giustificato motivo oggettivo – art. 3,
legge 15 luglio 1966, n. 604 – Controllo giudiziale sull’effettività delle ragioni – Soppressione
posto di lavoro – Ingresso nuovi soci - Obbligo di repechage – Onere della prova –
Illegittimità del licenziamento.


Non costituisce giustificato motivo oggettivo, idoneo, in quanto tale, a giustificare il licenziamento del lavoratore per soppressione del posto di lavoro conseguente alla riorganizzazione aziendale, il subingresso nella società datoriale di nuovi soci lavoratori adibiti allo svolgimento delle mansioni prima assegnate al lavoratore licenziato. La circostanza che i predetti soggetti, a prescindere dalla configurabilità o meno in capo ad essi della qualifica di soci-lavoratori, siano impiegati nello svolgimento delle mansioni in precedenza svolte dal prestatore licenziato, invero, esclude chiaramente che il riassetto organizzativo, posto dal datore di lavoro alla base dell'intimato licenziamento, sia diretto a fronteggiare situazioni sfavorevoli e non contingenti, idonee ad influire sulla normale attività produttiva, imponendo una effettiva riduzione dei costi (1-3)


(*) il testo delle sentenze è pubblicato in www.ediesseonline.it/riviste/rgl

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Questioni in tema di qualificazione del rapporto di lavoro e onere della prova in caso di asserite dimissioni

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.4/2012

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TRIBUNALE DI ROMA, 12 ottobre 2011 – Est. Armone – P.P.S. (avv. Aiello) c. Compagnia di navigazione Ponte S. Angelo in liquidazione (avv. Napoletano).

Contratto di lavoro occasionale – Natura subordinata della prestazione - Contratto a termine di lavoro marittimo – Utilizzo abusivo del contratto a termine – Nullità del termine – Trasformazione in contratto a tempo indeterminato – Nullità del licenziamento orale – Dimissioni – Ripartizione onere della prova .

 Nel caso di successione consecutiva di un rapporto di lavoro di tipo occasionale e di un rapporto di lavoro subordinato a termine di lavoro marittimo, l’accertamento della subordinazione sin dal primo rapporto, formalmente qualificato come autonomo, travolge il successivo contratto a tempo determinato e la relativa apposizione del termine, con la conseguenza che il rapporto di lavoro deve considerarsi unico ed a tempo indeterminato sin dall’origine. Ove si controverta sulle modalità di risoluzione del rapporto con affermazioni contrapposte (licenziamento orale o dimissioni), sul lavoratore grava esclusivamente la prova della cessazione del rapporto lavorativo, mentre la controdeduzione del datore di lavoro riguardante le dimissioni ha valore di eccezione ed il relativo onere della prova incombe sullo stesso eccipiente. ...

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Il licenziamento del dirigente non apicale e applicazione della tutela reale

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.3/2007

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CASSAZIONE, SEZ. LAV., 22 dicembre 2006, n. 27464,  Pres. Senese -  Rel. D’Agostino – Consorzio Agrario Regione della Lucania e Taranto S.C.A.R.L.  (avv. G. Vesci) c/  Lettere Ermanno  (avv. G. Semeraro).

Licenziamento individuale - Distinzione tra la figura di dirigente apicale e pseudo dirigente – Ambito di operatività – Ampi poteri di iniziativa e discrezionalità tali da imprimere un indirizzo al governo complessivo dell’azienda – Mancanza – Limitazione di responsabilità - Applicabilità della legge n° 604 del 1966 e dell’art. 18 della legge n°  300 del 1970 – Reintegrazione nel posto di lavoro.

La qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell'imprenditore, sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale, ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell' osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello (c.d. dirigente apicale);  da questa figura si differenzia quella dell'impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell'imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità (c.d pseudo-dirigente) (1) (Massima non ufficiale)

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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e criteri di scelta

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro n.2/2005

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 CASSAZIONE, 11 giugno 2004, n. 11124, Sez. lav. – Pres. Sciarelli, Rel. Vigolo, P.M. De Augustinis (diff.), Cordeschi Luciana (avv.ti Alleva e Panici) c. Cooperativa Fra Produttori Latte S.r.l. (avv. Autieri).

Lavoro – lavoro subordinato – licenziamento individuale -  licenziamento per giustificato motivo oggettivo -  ragioni economiche – soppressione del posto di lavoro – inapplicabilità legge n. 223 del 1991 per mancanza dei requisiti occupazionali e dimensionali – lavoratori in posizione di fungibilità – comportamento vessatorio e persecutorio del datore di lavoro – profili di molestie sessuali – motivo illecito del licenziamento – insussistenza - illegittimità del licenziamento per violazione dei criteri di correttezza e buona fede ex art. 1175 c.c. – mancata applicazione analogica criteri di scelta ex art. 5 L. 223 del 1991.

In caso di licenziamento di un dipendente dovuto a ragione economiche, quando vi è una generica esigenza di riduzione del personale, il nesso di causalità tra questa necessità ed il licenziamento può non rappresentare una sufficiente funzione individualizzante del lavoratore licenziabile; dunque, la selezione del lavoratore non avrebbe dovuto essere compiuta liberamente, ma con applicazione analogica di criteri obiettivi quali quelli dei carichi di famiglia e dell’anzianità previsti dall’art. 5 della legge 223 del 1991, escludenti l’arbitrarietà della scelta, in attuazione degli artt. 2, 3, e 41, comma 2, della Costituzione (che impongono una maggior tutela del lavoratore socialmente più debole, rispetto al più avvantaggiato).

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