Latina. Reintegrata lavoratrice. Il Tribunale annulla licenziamento

da Il Caffè.tv Mobile del 18/11/2017

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Il Tribunale di Latina ha annullato il licenziamento di una donna, “colpevole” di essere madre di un bambino di 6 mesi: il Giudice ha accolto la tesi difensiva dell’Avv. Michelangelo Salvagni, legale della Fiom-Cgil di Latina che ha patrocinato la causa dela lavoratrice licenziata, che riteneva “pretestuosa” la presunta giusta causa dell'allontameamento, soprattutto perché senza prove.

Il Tribunale ha, pertanto, ritenuto il recesso radicalmente nullo in quanto contrario ad uno specifico ed inderogabile divieto normativo, che non consente il licenziamento della lavoratrice madre nel primo anno di vita del bambino. Il Tribunale ha accertato che la società non ha in alcun modo provato, come sarebbe stato suo onere, né la colpa grave della lavoratrice, né il fatto in sé oggetto di contestazione, “essendo anche la documentazione prodotta dalla società a supporto del recesso in realtà sfornita di valenza probatoria ai fini della dimostrazione dei fatti addebitati alla lavoratrice”, spiega Tiziano Maronna della Cgil. Il Tribunale di Latina ha ordinato alla società la reintegra della lavoratrice (oggi ancora disoccupata e con un bimbo di un anno e 10 mesi) nel precedente posto di lavoro, condannando l’azienda al pagamento in favore della donna di tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento ad oggi. ”La vicenda esaminata dal Tribunale di Latina maschera configura l’ennesimo attacco ai diritti fondamentali del lavoratore ed ai valori assoluti e primari della maternità e della famiglia, garantiti dalla Carta Costituzionale, tramite un fittizio e pretestuoso licenziamento attuato al solo scopo di espellere la lavoratrice in quanto divenuta madre e, quindi, risorsa potenzialmente meno produttiva”, conclude Maronna.

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Licenziata dalle Fonderie Pontine Brevetti Catis dopo essere diventata mamma. Il giudice di Latina ordina il reintegro

da Latina 24 ore.it del 17/11/2017

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Viene licenziata dopo essere diventata mamma, ma il giudice la reintegra. Il Tribunale di Latina ha accolto la tesi difensiva dell’avvocato Michelangelo Salvagni, legale della FIOM-CGIL di Latina che ha patrocinato la causa di una lavoratrice licenziata quando il suo bambino aveva appena 6 mesi. L’azienda aveva indicato una giusta causa per motivare il licenziamento, una ragione che il giudice ha ritenuto non veritiera e, quindi, pretestuosa.

“Il Tribunale – si legge in una nota del sindacato – ha, pertanto, ritenuto il recesso radicalmente nullo in quanto contrario ad uno specifico ed inderogabile divieto normativo, che non consente il licenziamento della lavoratrice madre nel primo anno di vita del bambino. La presunta giusta causa posta dalla società a fondamento del recesso ed oggetto della contestazione disciplinare è stata, quindi, ritenuta dal Giudice del tutto insussistente in quanto generica e totalmente sfornita di prova. A tal proposito, il Tribunale ha accertato che la società non ha in alcun modo provato, come sarebbe stato suo onere, né la colpa grave della lavoratrice, né il fatto in sé oggetto di contestazione, essendo anche la documentazione prodotta dalla società a supporto del recesso in realtà sfornita di valenza probatoria ai fini della dimostrazione dei fatti addebitati alla lavoratrice”.

Il Tribunale di Latina ha ordinato alla società Fonderie Pontine Brevetti Catis la reintegra della lavoratrice (oggi ancora disoccupata e con un bimbo di un anno e 10 mesi) nel precedente posto di lavoro, condannando l’azienda al pagamento in favore della stessa di tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento ad oggi.

“La vicenda esaminata dal Tribunale di Latina – scrive il sindacato – maschera configura l’ennesimo attacco ai diritti fondamentali del lavoratore ed ai valori assoluti e primari della maternità e della famiglia, garantiti dalla Carta Costituzionale, tramite un fittizio e pretestuoso licenziamento attuato al solo scopo di espellere la lavoratrice in quanto divenuta madre e, quindi, risorsa potenzialmente meno produttiva”.

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L'interpretazione costituzionalmente orientata in materia di trasferimento del lavoratore che assiste il soggetto affetto da disabilità non grave

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Rivista Giuridica del Lavoro e della Previdenza Sociale, n. 2/2017

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CASSAZIONE, 12.12.2016, n. 25379 - Pres. Nobile, Est. Bronzini, P.M. Sanlorenzo (rigetto) – L.S.  (avv.ti Arrotta, Colucci) c. Capgemini Italia S.p.a. (avv.ti Zucchinali, Favalli)

Diff. Corte Appello Roma, 19.02.14

 

Disabilità – Richiesta di benefici ex art. 33, comma 5, l. n. 104 del  1992 per assistenza a disabile – Non gravità dell’handicap - Trasferimento nelle more dell’accertamento della situazione di handicap grave per il disabile – Rifiuto al trasferimento - Licenziamento disciplinare – Diritto a non essere trasferiti anche quando non vi sia disabilità grave - Illegittimità del trasferimento.

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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e l'obbligo di repêchage anche in mansioni inferiori nell'interpretazione dottrinale e giurisprudenziale prima e dopo il Jobs Act

Articolo di Michelangelo Salvagni

Pubblicato in Lavoro e Previdenza Oggi, n. 5/6 2017

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Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: brevi cenni. – 2. La nozione di licenziamento per giustificato motivo nell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale: i concetti di costo contabile e costo-opportunità – 3. Il controllo giudiziale sull’effettività del licenziamento per motivo oggettivo. – 3.1. Segue. Problematiche sui limiti del controllo giudiziale sull’effettività della ragione del recesso: la querelle sul licenziamento per mere esigenze di profitto. – 4. Il licenziamento per g.m.o. quale extrema ratio funzionalmente connessa all’obbligo di repêchage nell’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale.– 5. La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sull’obbligo di repêchage quale elemento costitutivo della fattispecie del licenziamento per g.m.o.: l’onere della prova esclusivamente a carico del datore di lavoro e conseguenze sanzionatorie – 6. L’obbligo di repêchage anche in mansioni inferiori ai fini della conservazione del posto di lavoro alla luce del Jobs Act (le modifiche del D.Lgs. n. 81 del 2015). – 6.1. Evoluzione normativa e giurisprudenziale del repêchage in mansioni inferiori prima del D.Lgs. n. 81 del 2015 e la ripartizione dell’onere della prova. – 6.2. L’art. 2103 c.c. a seguito delle modifiche del D.Lgs. n. 81 del 2015: il superamento della regola dell’equivalenza, l’ammissibilità della dequalificazione professionale e dei patti di declassamento. – 6.3. L’art. 2103 c.c. riformato e il repêchage anche in mansioni inferiori nell’interpretazione della dottrina: obbligo o facoltà per il datore di lavoro? – 6.4. L’esegesi giurisprudenziale dopo il Jobs Act: sussistenza di un obbligo di repêchage del lavoratore anche in mansioni inferiori.

 

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: brevi cenni.

L’analisi dell’istituto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, così come l’individuazione della sua nozione, non può prescindere da un inquadramento normativo della fattispecie che collochi la stessa all’interno delle norme generali dettate in tema di licenziamento dal Codice Civile e di quelle specifiche relative alla materia del licenziamento per giusta causa e giustificato motivo definite, principalmente, dalla Legge 15 luglio 1966, n. 604.

In primo luogo è opportuno effettuare un breve excursus delle norme codicistiche, partendo dall’art. 2118 c.c. che – all’interno del Libro V del Codice – disegna il confine del recesso dal contratto di lavoro a tempo indeterminato stabilendo che “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti, dagli usi o secondo equità”. Precisa, inoltre, tale articolo che “in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione[1] che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. La stessa indennità è dovuta dal datore di lavoro nel caso di cessazione del rapporto per morte del prestatore di lavoro”.

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