Contratti a tempo determinato e mancanza di nesso di causalità tra le ragioni indicate nel contratto e le mansioni svolte dai lavoratori: IL TRIBUNALE DI ROMA CONDANNA GSE S.p.a. A RIPRISTINARE IL RAPPORTO DI TRE LAVORATORI

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con tre sentenze depositate a marzo 2017, il Tribunale di Roma condanna la Società GSE S.p.A. all’instaurazione tre rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con conseguenti condanne al pagamento delle indennità risarcitorie.

Nelle fattispecie, i contratti a tempo determinato, superiori a 12 mesi, sono stati stipulati adducendo ragioni di carattere organizzativo dovute ad una determinata esigenza aziendale; nonostante l’azienda abbia indicato la causale e il Giudice l’abbia ritenuta sufficientemente specifica, il Tribunale ha accertato la mancanza del nesso di causalità tra le ragioni poste alla base della stipula del contratto a termine e l’attività svolta in concreto dai ricorrenti. I lavoratori di GSE S.p.A., infatti, per l’intero periodo oggetto di causa, non hanno svolto l’attività indicata nel contratto, come emerso con evidenza in corso di giudizio tramite prova testimoniale. ...

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Adibizione del lavoratore a mansioni inferiori: CONDANNA DELLA SOCIETA AERO SEKUR AL RISARCIMENTO SIA DEL DANNO PROFESSIONALE SIA DEL DANNO BIOLOGICO A CAUSA DELL'ILLEGITTIMO DEMANSIONAMENTO

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con sentenza n. 260/2017 depositata il 11.04.2017 il Tribunale di Latina condanna la Società Aero Sekur S.p.A. a risarcire una lavoratrice per il danno professionale e biologico subito a causa di una illegittima dequalificazione professionale posta in essere durante il rapporto di lavoro. La società aveva infatti adibito la lavoratrice a mansioni inferiori invocando il proprio diritto di riorganizzare l’impresa a fronte della carenza di commesse patita nel reparto in cui la medesima era addetta. La Società assumeva in giudizio che la propria condotta fosse pienamente legittima. Tale assunto veniva smentito dal ragionamento del Tribunale di Latina. Ed infatti, secondo la disciplina dettata dall’art. 2103 c.c. (nella precedente formulazione prima del D. Lgs. 81/2015), è a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare di aver adibito il lavoratore, durante il rapporto di lavoro, a mansioni equivalenti a quelle del livello contrattuale posseduto e/o quelle in precedenza svolte, dovendo garantire la capacità professionale acquisita dal prestatore.

A parere del Giudice di Latina, invece, tale onere non è stato assolto in quanto l’istruttoria ha dimostrato che la lavoratrice era stata adibita a mansioni inferiori di semplice operaia addetta alle linee di produzione (in concreto, assemblaggio pezzi), quando invece in precedenza aveva ricoperto il ruolo di capo reparto. In sostanza, la ricorrente si era ritrovata a svolgere le stesse mansioni degli operai che invece prima dirigeva e controllava nella qualità di capo reparto.

Ciò ha determinato, secondo il Tribunale di Latina, non solo una grave dequalificazione professionale, ma anche un serio danno d’immagine e professionale per la lavoratrice, compromettendo il suo credito presso i colleghi ed impedendole di aggiornarsi e di avanzare ulteriormente di carriera. Il Giudice ha quindi quantificato il danno di tipo professionale considerando l’anzianità di servizio e la posizione raggiunta antecedentemente all’illegittima condotta aziendale utilizzando quale parametro risarcitorio la retribuzione mensile della lavoratrice.

Per quanto riguarda il danno non patrimoniale il Giudice, inoltre, ha condannato l’azienda anche al risarcimento del danno biologico liquidando una somma in base alle tabelle adottate dal Tribunale di Milano alle quali il Giudice di Latina attribuisce il pregio di considerare, non solo la lesione dell’integrità psico-fisica, bensì anche gli ulteriori pregiudizi areddituali che da tale lesione ordinariamente derivano.

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LICENZIAMENTI COLLETTIVI ILLEGITTIMI E VIOLAZIONE DEI CRITERI DI SCELTA: REINTEGRATI ALTRI QUATTRO LAVORATORI ALITALIA

Causa patrocinata dallo Studio Legale Salvagni

Con quattro ordinanze depositate in data 26.04.2017 il Tribunale Ordinario di Civitavecchia, sezione lavoro, ha annullato il licenziamento Impugnato da quattro lavoratori Assistenti di Volo condannando la Società Alitalia a reintegrarli nel posto di lavoro e a corrispondere agli stessi un indennizzo economico. La fattispecie concreta oggetto di contenzioso riguardava l’accertamento della violazione dei criteri di scelta nella procedura di licenziamento collettivo, apertasi nell’ottobre 2014, che ha riguardato circa 2000 lavoratori dipendenti dell’allora Alitalia CAI S.p.A.

Si domandava al Tribunale, previa declaratoria di nullità e/o illegittimità e/o inefficacia del licenziamento, la condanna alla reintegra dei Lavoratori e al pagamento dell’indennizzo di cui all’art. 18 della L. 300/1970; l’accoglimento è totale.

In ossequio all’indirizzo consolidato della Cassazione, il Giudice ha affermato che nel licenziamento collettivo e nel collocamento in mobilità è il datore di lavoro a dover indicare compiutamente i criteri e le modalità della sua scelta; secondo il Tribunale di Civitavecchia, infatti, grava sul datore di lavoro l’onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro piena applicazione individuale nei confronti dei lavoratori licenziati, mentre grava sul lavoratore l’onere di dimostrare che la scelta in concreto operata dal datore di lavoro non ha in realtà fatto applicazione di quei criteri, allegando l’indicazione dei lavoratori in relazione ai quali la scelta è stata illegittimamente applicata.

In base a tale principio, il provvedimento giudiziario ha osservato come la convenuta, a differenza dei ricorrenti, non abbia provveduto ad adempiere all’onere della prova circa il fatto contestato, ossia la maggiore anzianità dei ricorrenti rispetto ad altri lavoratori non soggetti a recesso datoriale. Infatti, nel caso di specie la convenuta si era limitata a produrre in giudizio un documento non idoneo a dimostrare il rispetto dei criteri di scelta ne lo aveva dimostrato a seguito della prova testimoniale.

Pertanto, il Tribunale di Civitavecchia, in assenza di idonea prova documentale e/o testimoniale, ha stabilito che l’onere della prova da parte datoriale non era stato adempiuto, determinando l’accertamento della violazione del criterio di scelta concordato e l’assunto per cui se tale criterio fosse stato applicato correttamente i ricorrenti non avrebbero dovuto essere licenziati stante la loro maggiore anzianità rispetto a quella convenzionalmente e illegittimamente assegnata da Alitalia ai fini di giustificare il loro licenziamento.

Il Tribunale di Civitavecchia ha condannato l’Alitalia a reintegrare in servizio i quattro lavoratori secondo i suesposti principi.

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LA TUTELA REINTEGRATORIA NEL CASO DI LICENZIAMENTO DISCIPLINARE

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L’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente, deve essere ricondotto all’ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cd. Reale. 

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